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Il difensore segna, il bomber segna due volte, l’artista chiude, sono i fotogrammi di Italia - Germania 4 a 3: "la partita del secolo"

Mondiale 1970: una mezz’ora che ha messo a dura prova i cuori di due popoli e che ha trasformato una semifinale da partita di calcio in leggenda

La formazione dell'Italia nella semifinale del Mondiale 1970

La nazionale italiana

Ci sono partite che finiscono al novantesimo e partite che continuano a vivere ogni volta che qualcuno ne pronuncia il risultato. Italia–Germania Ovest 4-3, semifinale del Mondiale 1970, appartiene alla seconda categoria: è diventata una specie di romanzo nazionale, un ricordo ereditato persino da chi non era nato.

Per molti italiani quella notte è un’istantanea in bianco e nero: la tv in salotto, le persiane abbassate, la radiolina che fa da controcanto alla telecronaca, un’intera famiglia che scopre di poter urlare nel cuore della notte senza chiedere il permesso a nessuno.

Un’Italia che vince soffrendo

L’Italia arriva a quella semifinale con addosso un’etichetta precisa: squadra solida, poco spettacolare, capace di vincere soffrendo. Il girone eliminatorio è stato una marcia a passo corto – 1-0 alla Svezia, due 0-0 contro Uruguay e Israele – con più sbadigli che entusiasmi.

Poi, ai quarti, il 4-1 al Messico ha acceso una luce diversa: improvvisamente gli azzurri sembrano capaci anche di segnare, non solo di resistere. Dall’altra parte c’è la Germania Ovest di Beckenbauer, Seeler e Gerd Müller, reduce da una rimonta clamorosa sull’Inghilterra: da 0-2 a 3-2, sempre ai supplementari. Una squadra che non conosce la parola “resa”.

In panchina, Ferruccio Valcareggi ha una scelta che diventa presto un caso nazionale: la staffetta Mazzola–Rivera. Il commissario tecnico ha deciso che i due talenti non possono giocare insieme dall’inizio: uno parte, l’altro entra nella ripresa. Una questione tattica che, come spesso accade in Italia, si trasforma in dibattito filosofico.

Il vantaggio di Boninsegna e il braccio al collo di Beckenbauer

La partita, all’Azteca, si apre come meglio non potrebbe. Dopo otto minuti, Roberto Boninsegna trova il gol dell’1-0: un tiro secco, Maier battuto, Italia avanti. Da quel momento in poi, per lunghi tratti, il copione sembra quello che gli italiani conoscono a memoria: squadra raccolta, difesa coriacea, contropiedi misurati.

Al 70’ arriva una delle immagini destinate a restare nella storia: Franz Beckenbauer cade male, si lussa la spalla. La Germania ha già esaurito le sostituzioni, il regolamento non offre scappatoie. Il “Kaiser” non esce: gli immobilizzano il braccio con una fasciatura, lui torna in campo così, mezzo giocatore e mezzo monumento, a reggere la baracca con un solo braccio utilizzabile.

È il simbolo di una Germania che non accetta l’idea di arrendersi. E infatti, quando il cronometro sembra pronto a chiudere la faccenda, la partita decide di prendere un’altra strada.

Schnellinger al 90’ e l’idea che il calcio non finisca in orario

Sul tabellone il tempo è già scaduto, ma il recupero concesso dall’arbitro messicano Yamasaki è più lungo del previsto. In Italia, davanti ai televisori, qualcuno ha già allentato la tensione: si pensa alle interviste, al Brasile in finale, a una semifinale vinta “all’italiana”.

Proprio in quel recupero infinito, il pallone spiove in area azzurra e finisce sul piede di Karl-Heinz Schnellinger, difensore del Milan, uno che in nazionale non segna mai. Ed è “proprio lui” a infilare Albertosi per l’1-1.

L’Italia scopre di colpo che nel calcio non basta saper soffrire: bisogna anche chiudere la porta al momento giusto. La partita, che sembrava finita, si riapre in modo brutale. E non è che l’inizio.

Cinque gol in mezz’ora: l’altalena del secolo

Nei supplementari succede qualcosa di irripetibile: in trenta minuti si segnano cinque gol, un record tuttora imbattuto in un Mondiale. È come se il calcio, dopo aver tenuto tutto compresso per novanta minuti, esplodesse all’improvviso.

La Germania passa avanti con Müller, l’Italia pareggia con Burgnich, difensore roccioso che si scopre goleador per una sera. Poi tocca a Gigi Riva, “Rombo di Tuono”, che firma il 3-2 con il sinistro che tutta Italia conosce a memoria.

Sembra il gol decisivo, ma non in una partita così. Müller trova ancora il 3-3 su calcio d’angolo, sfruttando una difesa esausta. E qui arriva il paradosso: mentre la tv indugia sul replay del gol tedesco, il gioco è già ripreso, Boninsegna va via sulla sinistra e mette in mezzo per Gianni Rivera.

Il “Golden Boy”, al centro di discussioni e staffette per tutto il torneo, apre il piatto e fa 4-3. È il colpo che chiude il romanzo: l’uomo simbolo dei dubbi diventa, in un istante, l’uomo della decisione.

 

La storia ufficiale dice che l’Italia, quattro giorni dopo, perderà nettamente la finale contro il Brasile di Pelé: 4-1, troppa stanchezza nelle gambe e forse anche un po’ di appagamento. Ma la partita che resta, nella memoria collettiva, è la semifinale.

All’esterno dell’Azteca una targa ricorda ancora oggi quel 4-3, definito “Partita del secolo”. In Italia, molti anni dopo, un film prenderà in prestito il risultato come titolo, a conferma che quella notte è diventata più di un evento sportivo: è un pezzo di autobiografia nazionale.

Italia–Germania 4-3 non è stata la partita più perfetta di sempre. Ci sono errori, rimpalli, scivolate, palloni che rimbalzano male. Forse è proprio per questo che continua a parlare a tutti: perché assomiglia alla vita vera, fatta di vantaggi sprecati, rimonte impossibili, colpi di fortuna e decisioni prese nel momento esatto in cui non puoi più rimandare.

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