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Il pungiglione

Eugenio Scalfari parlava di calcio

La visione di un uomo d’altri tempi che si incastra perfettamente nel dibattito pubblico delle ultime settimane

Eugenio Scalfari parlava di calcio

Eugenio Scalfari con Giovanni Floris, giornalista la cui scelta di iscriversi al corso allenatori della federcalcio ha fatto recentemente il giro del web

Una dissertazione sul calcio di Eugenio Scalfari (giornalista, scrittore e politico, morto nel 2022 all'età di 98 anni) ha suscitato in me forti emozioni, facendomi come al solito riflettere sul significato del suo pensiero. Dice Scalfari: «Amo il calcio, ma lo conosco poco, parteggio per una squadra ma conosco poco i giocatori e la sua formazione, non vado allo stadio, seguo solo la Nazionale Italiana. Sono un uomo antico, ho sentito parlare del Metodo, del Sistema, la marcatura a uomo, il catenaccio, il gioco a zona, il contropiede, il fuorigioco e via via fino ad oggi. Nell'atletica, chi è più veloce vince, chi salta più in alto o in lungo vince, nel pugilato chi è più forte vince…nel calcio no! Nel calcio c'è la palla. Ah, la palla! La palla è femmina, a volte fa i capricci».

Come dargli torto, e personalmente aggiungo: è vero, la palla ama andare tra i piedi di chi la tratta bene, di chi le fa fare traiettorie impensabili, chi la manda a riposare in fondo alla rete prendendo in giro il portiere e suscitando felicità nei tifosi, facendo così anche proselitismo tra i bambini. Sì, Scalfari ha ragione, la palla é femmina.

E sugli allenatori, ecco cosa dice: «Ah! I famosi mister super pagati che urlano, si sbracciano dalle panchine, in realtà servono solo a far lavorare i calciatori, e se ci riescono, a dare loro entusiasmo, fiducia, regole da rispettare, ma niente di più, perché quando arriva la giocata che vale un gol, in campo ci sono loro: 11 ragazzi in calzoncini corti. È vero, non c'è coach che tenga, e in più, aggiungo personalmente che tutti i progetti societari, le carriere dietro le scrivanie, presidenti, imprenditori vincenti, sponsor, abbonamenti, coppe alzate, salvezze raggiunte, dipendono solo da loro, esclusivamente da loro, da quegli 11 ragazzi in calzoncini corti sul campo.

Aggiunge ancora Scalfari che filosofare sul calcio, ragionare da sportivi sul calcio, pretendendo di aver capito come si è giocato, o come si dovrebbe giocare, sdottoreggiando su quel giocatore, su quella squadra, su quella tattica, mettendo in campo tutta la propria scienza, in realtà non spiega assolutamente nulla. Perché il calcio è soltanto grazia e fortuna (anche qui mi permetto di aggiungere, la fortuna di avere grandi campioni in squadra).

Meno male che Eugenio Scalfari ha scritto di non sapere niente di calcio. Secondo me meriterebbe una laurea ad honorem: con poche righe ha spiegato chiaramente il calcio dei grandi, quello che conta. Sì, per me avrebbe meritato di frequentare le aule di Coverciano tenendo lezioni di saggezza calcistica per chi pensa che, dopo aver preso il patentino di allenatore professionista di prima categoria, possa diventare uno scienziato del calcio, e che far giocare il Borgorosso come il Manchester City di Guardiola, magari partendo dal basso, sia anche per lui indice di modernismo vincente.

Concludo con un bravo a Scalfari. Personalmente sono rimasto colpito dalla sua sintesi sul calcio italiano che solo un anziano e saggio Niels Liedholm avrebbe potuto scrivere, aggiungendo anche che gli schemi vincenti nel calcio consistono nell’avere in squadra grandi giocatori e grandi possibilità economiche per comprarli.

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