Calcio Solidale
26 Febbraio 2024
INTER CAMPUS • Il tecnico Gabriele Raspelli insieme ad alcuni ragazzi nel suo ultimo viaggio in Uganda
Più di 130mila chilometri, più di tre volte il giro dell'equatore, più di 20 paesi visitati, più di 200 viaggi fatti e infinite ore di jet lag, il tutto in quasi 20 anni. Tutto cosa? Aiutare i bambini più bisognosi utilizzando il potere di una lingua universale, quella del pallone. È a questo che ha voluto dedicare buona parte della sua vita Gabriele Raspelli, da un lato allenatore di calcio giovanile e dilettantistico, dall'altro membro attivo del progetto sociale Inter Campus, di cui fa parte ormai dal 2005.
Nato nel 1997, il Campus nerazzurro realizza interventi sociali e di cooperazione flessibili e a lungo termine in ben 30 paesi del mondo, utilizzando il calcio come strumento educativo per restituire a bambini e bambine bisognosi tra i 6 e i 13 anni di età il Diritto al Gioco. «Molto spesso le persone pensano che si tratti di campi estivi all'estero, invece è proprio un progetto sociale dove aiutiamo i ragazzi. Non andiamo in giro a cercare talenti, aiutiamo prima a crescere il bambino, poi il calciatore. Siamo andati in scuole speciali in Est Europa, in orfanotrofi e nelle favelas per educare e allenare i ragazzi. - spiega Raspelli, che da ormai 20 anni si divide tra Italia e il resto del pianeta - Nel 2004 ho partecipato a un corso che aveva organizzato l'Inter, ma già l'anno prima ne avevo fatto uno come dirigente sportivo con il CSI. Ho fatto anche il Consigliere Provinciale a Milano, mi occupavo di coordinamento tecnico, facevo da assistente e organizzavo eventi e tornei. Nel 2005 invece ero coinvolto nei camp estivi con l'Inter e da lì ho iniziato a lavorare per il Campus. Sono stato in Cina, Romania, Bolivia, Argentina, poi nel 2009 abbiamo organizzato una Coppa del Mondo con 19 paesi del progetto, mentre ora siamo a quota 30 stati. Io mi occupo dal punto di vista tecnico di Uganda, Nicaragua, Bolivia, Argentina, Polonia, Nepal, Ungheria e Italia, dove abbiamo fatto numerose iniziative con bambini autistici fino all'anno scorso, mentre dal 2012 abbiamo un progetto con il Comitato Letizia Verga Sport Therapy per i bambini malati di leucemia e che stanno uscendo dalla malattia».
In azione anche in Messico, Colombia, Camerun, Marocco, Tunisia e Bulgaria, l'attuale tecnico della Concorezzese - squadra di Promozione lombarda - aiuta non solo i bambini, ma anche gli allenatori: «Nelle nostre missioni organizziamo corsi di formazione, per esempio come strutturare un allenamento e come un allenatore di Inter Campus si deve comportare con il bambino. Trattiamo tematiche differenti, stiamo lavorando sulla resilienza e sulle life skills, mentre con i bambini improntiamo esercitazioni che possano aiutarli a superare le difficoltà, come collaborare con il proprio compagno, e vari giochi che possano aiutarli a maturare e crescere principalmente dal punto di vista umano, poi calcistico». Compiti non semplici, ma che Raspelli affronta con il massimo della passione: «È tosto, la cosa bella però è che ho due modi di vivere il calcio: uno con i ragazzi, uno con gli adulti».
Un lavoro che lo tiene lontano da casa almeno una volta al mese, ma che non si ferma neanche da remoto: «Oltre a preparare il da farsi nel periodo in cui non ci siamo, svolgiamo il lavoro di monitoraggio. Restiamo in contatto con i partner e i coordinatori, che ci mandano nei gruppi WhatsApp i video degli allenamenti».
Come a scuola, però, dopo la teoria arriva la pratica, e quella non sempre è facile. «Inglese e spagnolo un po' li ho imparati, ma il calcio è universale, quindi nel momento della dimostrazione facciamo vedere ai ragazzi cosa fare. - spiega Raspelli, che ricorda tuttavia un paio di situazioni in cui anche la lingua del pallone non è bastata - Una delle prime volte in Cina, in un villaggio fuori da Pechino, abbiamo fatto un allenamento con dei bambini che non sapevano giocare. Abbiamo fatto due squadre da 5 giocatori e abbiamo messo il pallone in mezzo, ma non sapevano cosa fare. Sono rimasti fermi perché non avevano mai visto una partita, così ho dovuto spiegar loro tutte le regole. Oppure, in Cambogia prendevano la palla con le mani e giocavano a pallavolo, quindi ci sono dei contesti molto particolari. Nelle favelas invece era tutto automatico».
Proprio in Brasile, però, l'allenatore si è ritrovato ad affrontare un altro tipo di situazione complessa: «Mi hanno puntato la pistola. Siamo entrati nelle favelas, ma non sapevano chi fossimo. In Cambogia invece siamo andati in un villaggio dove non c'era nulla, in molti casi i ragazzi vivono nelle discariche o nelle palafitte, mentre un progetto a cui sono particolarmente legato è quello in Bolivia, a Cochabamba. È gestito da Massimo Casari, bergamasco d'origine che con sua moglie ha creato un centro educativo dove i bambini vanno a fare i compiti e il doposcuola, mentre noi ci occupiamo dell'attività sportiva. Tutti i viaggi comunque ti lasciano sempre qualcosa di particolare ed emozionante».
Quelli che Raspelli inserisce nelle sue valigie ogni volta che torna in Italia, accrescendo il proprio bagaglio umano con quelle emozioni che cerca di restituire anche ai suoi giocatori. «Queste esperienze permettono di creare rapporti meravigliosi e ti formano tantissimo. Vai in posti dove non hanno niente, ma i bambini sono sempre sorridenti. - racconta l'allenatore della Concorezzese, che in occasione dei suoi viaggi porta divise dell'Inter e scarpe in regalo ai ragazzi più bisognosi - In Uganda giocano con la frutta che scendeva dall'albero, a piedi nudi, nel fango, non esiste il campo in sintetico, eppure non hanno mai da lamentarsi. Abbiamo portato loro dei regali tramite il nostro sponsor e ed erano felicissimi. Quando torni a casa sei sempre arricchito e il mio obiettivo è cercare di trasmettere ai miei ragazzi anche questo: le cose belle che ci sono nel mondo e quanto siamo fortunati, rendendoci conto di quello che abbiamo».