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È il capitano più giovane d'Italia: ha 18 anni, fa il fenomeno in Serie D e giocherà nei prof

Il classe 2005 protagonista nella festa di domenica all'Area Civica

SERIE D ALCIONE

SERIE D ALCIONE: Capitan Caremoli

Piangere? Sorridere? Piangere e sorridere? Un po' la prima e un po' la seconda. O più semplicemente la terza, un bel mix. Alla fine è andata proprio così, ma il dubbio è rimasto fino all'ultimo: «Non sapevo come reagire, volevo piangere per l'emozione e sorridere per la gioia». Con voce chiara, limpida. Sinonimo di consapevolezza, ma che (splendida) fatica per raggiungerla... Con il suo accento milanese, immancabile. Marcato il giusto, né troppo né troppo poco. A modo suo iconico. E pure splendido perché racconta una storia. «La macchina? L'ho parcheggiata nel box di casa, poco distante da qui». L'ha detto Matteo, il padre. Mentre tutti, ma proprio tutti impazzivano per trovare posteggio: «Giro da mezz'ora...». Poco distante dall'Arena Civica, capolavoro architettonico incastonata tra gli alberi di parco Sempione. In pieno centro della city, in pieno centro a Milano. È storia? È storia. È destino? Forse.

E mentre il padre, Matteo, presentava l'evento dell'anno (a Milano, nella city, non si parlava d'altro da settimane), lui, Tommaso, si preparava alla camminata più importante della sua vita. In mano, la destra, il gagliardetto dell'Alcione, la favola più bella d'Italia. Per lo più arancione, anzi orange. Sul braccio, il sinistro, la fascia da capitano dell'Alcione e sì, sempre la favola più bella d'Italia. Per lo più blu, questa volta niente inglese. In faccia un sorriso particolare, più spaventato che consapevole. Poi gli occhi, quindi lo sguardo. Eloquente, espressivo. Quasi come stesse dicendo «sta succedendo davvero? Sta succedendo proprio a me? Mi date un pizzicotto per cortesia?». 

STORIA

È tutto vero. A 18 anni, 7 mesi e 9 giorni, Tommaso Caremoli ha scritto la sua storia. Ha quindi dato un senso al suo essere straordinario, sia in campo (tanto) sia fuori (tantissimo). Ha pure dato ragione a quel destino che sì, voleva che la sua prima volta da capitano fosse speciale, indimenticabile. Proprio lì, a pochi chilometri da casa. Proprio lì, in pieno centro della sua Milano. Proprio lì, sotto gli occhi di chi lo ha visto crescere. Il papà Matteo, la mamma Monica, il fratello Nicolò, le nonne Mariella e Lella, il nonno Renato, le zie Laura e Paola, lo zio Andrea, le cugine Matilde e Alice. C'erano tutti, non mancava nessuno. Neppure gli amici di una vita: Alessandro, Giorgio, Rachele e Beatrice.

E infine proprio lì, all'Area Civica vestita ad hoc per le grandi occasioni e con quella maglia, quella dell'Alcione. Da dieci anni il suo Alcione. Ovviamente ieri, sicuramente oggi, probabilmente domani e perché no, forse forse anche dopodomani. Dopotutto «once orange, always orange», o no?

DAY AFTER

Non dev'essere stato facile svegliarsi lunedì. Il classico «day after», quando tutto, purtroppo, torna alla normalità. Prendere, alzarsi dal letto, fare colazione, lavarsi, vestirsi, uscire e andare a scuola. Frequenta il quinto anno del liceo Enrico Fermi, indirizzo scientifico... sportivo, ovviamente. La domenica sei capitano dell'Alcione e uno stadio intero fa il tifo per te, il lunedì sei tra i banchi di scuola a impazzire tra derivate, integrali e versioni di latino. No, non dev'essere stato facile svegliarsi lunedì.

E che dire degli altri giorni? Quelli che hanno accompagnato l'Alcione alla festa per la promozione in Serie C? Non devono essere stati facili nemmeno quelli. Se non altro dopo un primo colloquio con Giovanni Cusatis, il condottiero e uno degli artefici del miracolo: «Sto pensando di darti la fascia». Pianto? Sorriso? Pianto o sorriso? Lecito domandarselo di nuovo. E poi il secondo colloquio, quello che non dimenticherà mai: «Oggi sarai il capitano». Il resto è storia, il resto è un virgolettato che vale più di ogni altra parola: «Sono emozionatissimo. È una giornata unica, la festa dell'Alcione e la fascia da capitano, sono incredulo. Gioco qui da dieci anni, dal primo giorno sogno qualcosa di questo tipo».

SCATTI

Tre scatti, uno in fila all'altro per rendere l'idea. Opera di Alessandra Viola, la domenica fotografa ufficiale dell'Alcione e nella vita di tutti i giorni anima gemella di Christian Foglio. Il talento ex Milan, rilanciatosi in Serie D e... niente, altra storia (stay tuned). Quell'amico datogli dal calcio, quel fratello acquisito, quel compagno di avventure. E quel TikTok? «E anche se un giorno non giocheremo più insieme... ringrazierò per sempre questo sport per avermi fatto conoscere una persona come te». Semplicemente brividi, anche solo per quella canzone lì in sottofondo.

  • La sua faccia parla da sé. Probabilmente il processo di consapevolezza era ancora in alto mare. Insomma, se ne stava ancora rendendo conto. L'Arena piena zeppa di arancione, anzi orange. Vittorio Uboldi che legge le formazioni, nome dopo nome. Poi arriva il suo, rigorosamente diviso in quattro parti, tutte uguali: ca-re-mo-li. Quindi l'omaggio del Vado, come l'Asti sette giorni prima. Un gesto non scontato, un gesto apprezzato.

  • E poi c'è lui, Tommy. Uno scatto semplice, uno scatto iconico. In primo piano tre dettagli: Caremoli, "19" e fascia da capitano. Poco dietro, fuori fuoco, si intravedono i due presidenti (Montini e Gallazzi) e pure suo papà, Matteo. Poi un pezzo d'Arena. Era il secondo tempo, era il secondo tempo di una partita che no, non dimenticherà mai.

  • E infine c'è ancora lui, Tommy. Testa bassa, come se stesse per piangere. Che sia stato proprio quello il momento della consapevolezza? Solo lui, solo Tommy. Nessun altro. Di schiena, come piace ai giovani d'oggi. E sempre loro, la scritta, il numero e la fascia. Ma non solo, quel "Milano orange" che forse vale più di ogni altra cosa.

FUTURO E FOTO BONUS

«Se lo meritava». Tre parole, un milione di significati. Sempre Giovanni Cusatis racconta da dov'è nata l'idea: «È da noi da quando ha 7 anni, ha fatto tutta la trafila e mi sembrava giusto. Inoltre ha giocato un campionato straordinario». Il tutto sotto gli occhi di tutti i ragazzi del settore giovanile. «Lui lo rappresenta» dice Cusatis, poi le ultime parole di Caremoli: «Mi rivedo in tutti quei bambini, spero che un giorno possano raggiungere il loro sogno». Altro? Sì, una foto con i due presidenti. «Vieni a farla con noi» l'invito unanime di Gallazzi e Montini. Il resto è (l'ennesima) storia.

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