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Interviste

La storia del bomber di provincia: dalle giovanili della Juventus fino al traguardo dei 150 gol

Tanta passione in una vita dedicata al calcio, un perfezionista che vuole ancora stupire con il suo mancino e la maglia numero 10

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GIANLUCA PALMIERI: Il numero 10 classe '89 ha raggiunto quota 150 reti in carriera

Nel mondo del calcio, come nella vita, non c'è soddisfazione più grande che raccogliere i frutti del proprio lavoro. Se il traguardo raggiunto è stato conquistato con fatica e dedizione, la festa è ancora più bella. Questa è la storia di Gianluca Palmieri, attaccante classe '89 del Mirafiori, che, dopo trent'anni di calcio ad alti livelli, ha raggiunto la quota di 150 reti in carriera. Trenta anni di sacrifici, allenamenti, sudore, infortuni, retrocessioni, promozioni e un mancino consumato. Un fantasista di altri tempi, che indossa la maglia numero 10 e si accentra sulla trequarti per disegnare magiche traiettorie con il piede sinistro. La sua carriera è iniziata grazie all'appoggio della famiglia ed è stata segnata dalla scomparsa prematura della madre, arrivando ad un passo dal professionismo. L'approdo al Mirafiori ha rappresentato una svolta: il legame con il tecnico Antonio Caprì, la presidentessa Giovanna Corbo e la periferia di Torino ha reso il percorso ancora più significativo. Questo traguardo, voluto e conquistato insieme ai compagni, rappresenta un risultato importante per un perfezionista come lui, che non si pone limiti al tempo.

Una carriera lunga più di trent'anni, ma prima di ogni altra cosa, una passione. Un amore per il pallone nato, come spesso accade, grazie al padre, figura sempre presente durante la sua infanzia. Un'avventura iniziata nelle giovanili della Juventus, dove Gianluca stesso si definisce il meno talentuoso del gruppo a cui era stato aggregato, ma l'unico che ancora oggi gioca a calcio. Gianluca ha sfiorato il mondo del professionismo approdando alla Canavese in Serie C, assieme al compagno Giulio Dispenza, oggi suo attuale compagno al Mirafiori. Tante le esperienze poi tra Eccellenza, Promozione e Prima Categoria: con la CBS ("Alcuni degli anni più belli della mia carriera"), il Bsr Grugliasco, il Lucento, e il Pozzomaina ("Dopo l'infortunio subito, mi hanno dato un affetto incredibile, per me sono una famiglia"), fino al Mirafiori. Da sette anni ormai, questa è la sua nuova famiglia, con cui ha raggiunto il tanto desiderato traguardo dei 150 gol.

Come è nata la tua passione per il calcio?

«La passione è nata grazie a mio padre, che è sempre stata una persona importante nella mia vita, vista la prematura scomparsa di mia madre. Lui mi è sempre stato vicino e mi ha accompagnato, fin da piccolino, ad ogni singolo allenamento. Ho fatto il mio esordio nel mondo del calcio alla Juventus anche grazie a lui. Nenè (ex calciatore di Juventus e Cagliari, campione d'Italia con i sardi nella stagione 1969/70) mi ha visto giocare con lui in un campetto, e mia ha portato a fare il provino per la Juve. Mio padre ha fatto dei sacrifici che pochi altri avrebbero fatto».

Quali sono le caratteristiche che ti hanno permesso di avere una carriera così longeva?

«Questa sarà la mia trentesima stagione da calciatore. Mi sono tolto tante soddisfazioni nel corso degli anni, perchè ho sempre giocato in squadre importanti. Secondo me, le mie doti tecniche hanno sempre fatto la differenza. Una delle principali era la velocità. Adesso sembra un paradosso, ma alla mia età corro molto più rispetto a qualche anno fa. Con la fascia da capitano do l'esempio anche ai più giovani, un senso di sacrificio su ogni singolo pallone. Un'altra qualità che mi ha salvato è il mio mancino, che mi ha sempre permesso di esprimere il meglio di me in ogni situazione. Mi reputo un 10 dei vecchi tempi».

Che significato ha aver raggiunto il traguardo dei 150 gol in carriera? Come hai festeggiato il raggiungimento?

«È un traguardo bellissimo, raggiungerlo è stato difficile e ho avuto un grande insegnamento di vita. L'ultima partita dello scorso è stata contro l'Olympic Collegno, nessuna delle due squadre si giocava un obiettivo a livello di classifica. Sono sceso in campo con l'obiettivo di fare una doppietta a tutti i costi, per raggiungere quota 150. Ho giocato in modo egoista e non sono riuscito a segnare. Quattro mesi dopo sono tornato sul campo dell'Olympic, con lo stesso obiettivo, ma questa volta ho giocato di squadra e ho segnato la doppietta. È stato un paradosso, un cerchio che si è chiuso. Anche a 35 anni, ho capito che nel calcio se non hai i tuoi compagni affianco, non vali niente. È un traguardo che voglio dedicare a tutti, alla mia grande famiglia, a mia mamma che non c'è più, ai miei compagni, a mio fratello Vigna che mi ha fatto l'assist per il gol numero 150. Non abbiamo ancora festeggiato, aspetterò il 10 dicembre per fare una grande festa con il mio compleanno».

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Che cosa vuol dire per te giocare nel Mirafiori? Che importanza ha per te la società?

«Per me il Mirafiori rappresenta casa e famiglia. Tanti valori che la presidentessa Giovanna (Corbo ndr), una persona d'oro, mette al primo posto. Il Mirafiori è una società seria, con dei valori che in questa categoria non si ritrovano con facilità. C'è molto rispetto e senso del gruppo, in una società che reputo seria e pulita. Inoltre rappresenta una delle zone più importanti di Torino, ogni volta che sei a Mirafiori respiri un pò di storia».

Qual è il tuo rapporto con i tuoi compagni e con il tecnico Antonio Caprì?

«Prima di essere una squadra di calcio, siamo un gruppo unito e di amici. C'è molto impegno da parte di tutti, ci mettiamo il cuore dove la tecnica non può arrivare. Ho dei compagni molto forti e di qualità, dal mio vice capitano Varriale, a Vigna, D'Attilo, fino al mio amico Dispenza con cui ho il piacere di rigiocare insieme.

Per me Caprì è come un padre calcistico, lui è un perfezionista come me. Tutti conoscono le sue qualità da allenatore, è una grande forza per tutti noi. Avere una figura come lui negli spogliatoi è importante, è un tecnico di categoria superiore. Con lui e Dispenza siamo gli unici superstiti del percorso in Promozione, delle grandi imprese, come quando espugnammo il Fausto Coppi contro il Derthona. Scendere in Prima Categoria è stato inaspettato, avevamo un parco attaccanti di alta Promozione, ma poca compattezza. Dopo gli addii nella finestra invernale, la retrocessione è stata traumatica. Non ci siamo però pianti addosso e siamo migliorati, giorno dopo giorno. Ho anche dovuto cambiare mentalità, un giocatore tecnico fa la differenza solo se si immedesima nella categoria. In Prima serve più sacrificio, ho imparato anche a sporcarmi le mani».

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Cosa vuol dire essere capitano? Quali responsabilità hai verso i tuoi compagni?

«Per me vestire la fascia da capitano vuol dire essere un esempio. Un esempio per gli altri, per i miei compagni, ed è soddisfacente. Io sono un capitano buono, cerco di fare la differenza in campo e negli spogliatoi. Come Caprì, anch'io sono un perfezionista. Sono molto critico con me stesso, negli ultimi due anni ho fatto quasi 40 gol, ma affronto ogni anno con umiltà. Io gioco solo per fare la differenza in campo. Se non faccio più la differenza, è arrivato il momento di ritirarmi. Ci sono andato vicino, due anni fa, quando la mia ex compagna mi chiedeva di essere più presente in famiglia. Sono stati i miei compagni che mi hanno convinto a non smettere, dato che sono ancora ad alti livelli»

Cosa vedi nel tuo futuro? Hai già pensato al ritiro e ad un ipotetica carriera da allenatore?

«Il mio unico sogno è riportare il Mirafiori dove merita. Caprì ci ha trasmesso questo pensiero: ogni domenica è come una finale, dobbiamo pensare partita dopo partita. Essere presuntuosi può essere la cosa più naturale, dobbiamo avere la massima umiltà, metterci il massimo impegno perchè è una categoria difficile. Dobbiamo dimostrare i nostri valori in campo, a fine anno tireremo le somme. Già lo scorso anno ci è mancato quello step per mantenere costantemente il piede sull'acceleratore, come hanno fatto la Torinese e il Bsr Grugliasco. Ci sono state voci quest'estate sull'addio di Caprì, il mister è voluto rimanere perchè non ha portato a termine quello che voleva, ovvero vincere un campionato.

Confermarsi per 15/20 anni è difficile. Quello che mi inorgoglisce di più sono i giovani che mi guardano con occhi di ammirazione. Io punto sempre in alto, quest'anno preferisco anche fare meno gol personali e raggiungere il nostro obiettivo. Non esiste il singolo, solo la squadra. Al ritiro non ho ancora pensato, qualche volta dico a Giulione (Dispenza ndr) che potremmo giocare anche fino a 40 anni. Ho avuto qualche offerta, anche per allenare le giovanili del Mirafiori, ma non è una cosa che fa parte del mio futuro vicino. Per adesso, mi sento ancora la gioia di un ragazzino nel giocare».

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