Serie D
02 Maggio 2025
SERIE D CLUB MILANO • Giuseppe Scavo
Tornare a casa. Quanta vita può esserci in tre parole? Riassaporare ricordi un metro quadro alla volta, sentirsi protetti da uno spazio che travalica il tempo, desiderare di ritrovarsi, raccontarsi e brindare, insieme, ai momenti più belli. Con un pensiero rivolto a quello che è stato, con uno sguardo proteso sul domani, a quello che sarà. Non solo. Perché tornare a casa è anche rimettere insieme i pezzi. Rispolverare attimi che, in fondo, non ti hanno lasciato. E ripartire. Da te, dalle tue radici. Da un album completo a metà, da un mobile leggermente spostato in avanti. Da un giradischi arrugginito, che aspetta solo nuova musica, nuovi canti spensierati, nuove storie da raccontare. Perché il viaggio non avrà meta, se prima non passi da casa. Perché casa non dimentica, non giudica: al contrario, rappresenta. E tornarci è un atto di fede. Verso sé stessi, verso i propri sogni, verso chi ti ha sempre voluto bene.
Tornare a casa. Quanta vita può esserci in tre parole? Chiedere per informazioni a Giuseppe Scavo. Che, con il suo Club Milano, ha instaurato definitivamente un rapporto di simbiotica complicità. Sul campo e dietro le quinte, nella vittoria e nella sconfitta, nei sorrisi e nelle lacrime. Un connubio che va oltre gli ostacoli. E che, anche quest’anno, ha significato solo una cosa: salvezza.
A certificare il sopracitato epilogo, un pareggio esterno (2-2) sul campo del Crema. Semplicemente, il coronamento di un percorso di crescita continuo, che parte da lontano. Affondando le sue radici nelle difficoltà, nelle amnesie su cui il Club ha gradualmente imparato a costruire. Che cosa? Risultati, consapevolezza, certezze. Tre piccole conquiste che, con tempo e fatica, hanno forgiato un grande, grandissimo traguardo. Può sembrare scontato, non lo è affatto. Perché i biancorossi, a inizio anno, galleggiavano pericolosamente a ridosso della zona playout in Serie D. Un campionato che, notoriamente, non aspetta: per sopravvivere, urge accortezza. Detto, fatto.
Una volta formalizzato l’esonero di Manuel Scalise, appuntato in estate, il Club Milano volta pagina, alza la cornetta e richiama in panchina Giuseppe Scavo. Non un volto nuovo, in quel di Pero: il classe ’89 lega alla squadra l’intero evolversi del suo percorso da allenatore. Tortuoso, entusiasmante, vincente: l’apice, in tal senso, è stato agguantato proprio nell’estate del 2023. Riavvolgiamo il nastro.
Scavo, al secondo anno da tecnico (ha iniziato allenando la Juniores della Pro Sesto), trascina i peresi al quarto livello del nostro calcio. Doma l’Eccellenza attraverso i playoff, compie uno step stoico, si conferma allenatore serio e preparato. Prerogative che ne accrescono reputazione e bagaglio tecnico, permettendogli al contempo di stabilizzarsi in Serie D. Il Club, infatti, preserva la categoria, convince e sembra possa ambire a orizzonti ancor più definiti. Ma qualcosa, evidentemente, s’incrina: le parti si separano. Scavo lascia la sua creatura principe con il rimpianto di non aver portato avanti un processo elaborato, solido, ben avviato. Come da lui stesso dichiarato nelle ore successive all’arrivederci: «pensavo di avere ancora molto da dare». E aveva ragione: del resto, basta poco per (ri)accendere il diavolo che alberga dentro di lui. A volte, anche solo uno squillo, o una promessa di futuro. Torniamo a noi.
Il resto è storia nota: il tecnico prende in mano la squadra in un momento di apatia, tra risultati scarni (13 punti in 16 partite) e una situazione di classifica pericolante. Serve una scossa forte, serve rinvigorire lo spirito del Club Milano. Servono, insomma, mani sapienti e cuore impavido: chi meglio di lui? Nessuno. Il perché è presto detto: conosce l’ambiente, cura il dettaglio, ha voglia di riscatto. E trova soluzioni permanenti a problemi persistenti: «mi sono accorto che la squadra tendeva ad essere poco intensa nella fase di non possesso, e molto orizzontale con il pallone tra i piedi. In primis, ho provato a modificare questi aspetti». Concetti che superano l’ossessiva e quasi sistematica (se non proprio ridondante) ricerca di un modulo e di uno schema fissi: le squadre di Scavo, parola del diretto interessato, devono prima di tutto essere efficaci e possedere, oltre tutto e tutti, «la fame di scalare, l’ambizione di arrivare». Logica conseguenza, il calcio ripaga ogni sforzo. Uno alla volta.
I biancorossi raccolgono vittorie e risalgono progressivamente la china. E non preoccupa la sconfitta incassata all’esordio con la corazzata Ospitaletto, anzi: dà la spinta per volare. Seguiranno, infatti, i successi (tutti e tre arrivati per 1-0) su Crema, Fanfulla e Vigasio, succeduti prontamente da un altro, indiscusso, colpo di frusta, sempre contro una diretta rivale: il perentorio 4-0 rifilato al Ciliverghe. Ancor più appagante, invece, il pari esterno contro la Casatese Merate, per giunta archiviato senza subire gol. Insomma: il Club rispecchia appieno l’idea base del suo condottiero. «Ma la partita che ci ha sbloccato in consapevolezza – parola di Scavo - è stata a Sondrio: una rimonta nel finale che ci ha unito». Decisamente significativo, a tratti clamoroso, il trionfo interno contro la Folgore Caratese messo in cascina il 13 aprile scorso: «il match che fotografa al meglio il nostro girone di ritorno», racconta il tecnico. I cui numeri parlano chiaro: in 20 partite ha raccolto ben 33 dei 46 punti totali incamerati nel corso del torneo, frutto delle 10 vittorie e dei 3 pareggi iscritti a referto. Ma mancano altri 90 minuti: una vittoria contro il Fanfulla potrebbe addirittura valere l’aggancio all’ottavo posto, quindi parte sinistra del lotto. Una cavalcata eccellente.
Qual è, invece, l’aspetto che inquadra al meglio l’impresa portata a termine dal Club? La sua età media: 22 anni. In altri termini, la più snella del campionato insieme alla Pro Sesto. La fiducia nei giovani è lampante, complice un fulgido vivaio e una cultura del lavoro che ne valorizza gli interpreti. Emblematica, in tal senso, la presenza pressoché stabile in prima squadra di due classe 2007: Mattia Sartorelli e Angel Miguel Alvarez. Scavo, a riguardo, ha un’idea ben precisa: «la carta d’identità, nel calcio, conta poco. La differenza è a livello psicologico, risiede nella volontà dell’uomo e del calciatore di emergere e dimostrare». Tradotto, suona più o meno così: chi è pronto, si metta l’elmetto. E combatta, prendendo sempre nota dai grandi. Un esempio? Petar Rankovic, classe 2000 e 12 gol in stagione. Il giocatore che, per il tecnico, «rappresenta al meglio lo spirito del Club Milano», insieme ad altri due pilastri della vecchia guardia come Andrea Monzani e Lorenzo Costa. Uno strappo alla regola: a Scavo, di base, non piace fare nomi. La forza del Club, racconta, «è stata avere un gruppo coeso, che nei propri ruoli ha dato il massimo per raggiungere gli obiettivi». In questa frase, c'è tanto di questa realtà. Se non proprio tutto.
Adesso, arrivati a questo punto e considerate queste premesse, è più che lecito chiedersi cosa succederà l’anno prossimo. Scavo, dalla sua, non si sbilancia: «devo parlare con la società». Ma, a detta sua, una cosa appare inconfutabile: «il Club è molto ambizioso, crescerà ed eleverà ulteriormente il suo status». Con chi, lo dirà il tempo (anche se il matrimonio dovrebbe continuare senza intralci). La storia, invece, ci ha già esposto ad un fatto: a Scavo, il biancorosso dona. E per i biancorossi, Scavo è un dono. Molto, molto prezioso.