Dopo 69 anni di calcio vissuti senza sosta, Attilio Barbieri ha deciso di appendere la lavagnetta al chiodo. Un monumento del calcio lombardo che lascia cifre da capogiro: 49 anni di patentino FIGC, una vita intera dedicata al pallone, ben oltre i comuni anni lavorativi di una carriera normale. In quasi sette decenni, Barbieri ha seduto su 47 panchine diverse, ha guidato 23 società (sempre nell’ambito dilettantistico, fino all’Eccellenza) e ha allenato la bellezza di 1374 giocatori. Numeri fantasmagorici che raccontano più di mille parole la grandezza di un uomo che ha fatto del calcio non solo una passione, ma una vera ragione di vita.
UN TUFFO NEL PASSATO
Nato e cresciuto calcisticamente al Cusano Milanino, Barbieri ha mosso i primi passi nel 1962 in quella che all’epoca era una fucina di talenti (nello stesso gruppo c’era persino Trapattoni). Dal Cusano fu pescato dal dirigente Redaelli e nel 1963 approdò al Como, dove vestì la maglia delle giovanili fino al 1969, facendo la trafila dalla Juniores alla Primavera e poi ai Beretti e vivendo anche qualche apparizione in prima squadra. Il ricordo più luminoso di quegli anni? Senza dubbio l’amichevole giocata con il leggendario Real Madrid di Puskás e Di Stéfano: «Marcare Puskás è stato un sogno – racconta – alla fine mi regalò la spilla ufficiale del Real, un momento che porto nel cuore». Dopo un’esperienza anche alla Pro Sesto, Barbieri ha cominciato un lunghissimo viaggio da allenatore che l’ha portato a girare ben 47 panchine, segnando tappe storiche anche al Niguarda, dove forse ha vissuto i momenti più intensi della sua seconda vita calcistica.
Tra i ricordi più vividi legati a questa società, Barbieri non ha dubbi nel citare la stagione 2016/17, quando guidava i Giovanissimi classe 2002: «Un’annata speciale, che ha portato un vero cambiamento all’interno della società. Molti di quei ragazzi sono poi arrivati fino alla prima squadra, segno che il lavoro fatto ha lasciato il segno». Una cavalcata emozionante in un campionato Provinciale strutturato su due gironi, con le migliori due che si contendevano il titolo: «Abbiamo perso la finale, ma il percorso è stato straordinario e resta uno dei ricordi più belli». Il viaggio con il Niguarda è stato lungo e intenso: «Ho fatto la trafila completa – racconta – partendo dai Primi Calci, passando per gli Esordienti, dove abbiamo vinto due campionati giocando contro realtà blasonate come l’Aldini, e poi fino all’Under 18». Quasi 19 anni in totale tra un’esperienza e l’altra, vissuti sempre con la stessa passione per quella maglia che, un tempo, portava ancora il nome storico di Azzurri Niguardese.
PERSONAGGIO POLIEDRICO
La parabola di Barbieri non si ferma al campo da gioco: nel corso degli anni ha saputo unire sport e lavoro aziendale con una capacità davvero rara. Da dirigente della Philips negli anni ‘80, ha ricoperto un ruolo chiave nell’avvicinare il marchio al mondo dello sport e della cultura, creando ponti e iniziative innovative. Barbieri, nel corso della sua carriera poliedrica, ha avuto l’occasione di conoscere leggende dello sport come Gianluca Vialli, Roberto Mancini, ma anche Dan Peterson, Mike D’Antoni e persino Michael Jordan.
Proprio con il fuoriclasse NBA, il tecnico fu protagonista di un episodio memorabile: durante un evento promozionale della Nike a Bormio, gli organizzatori si rivolsero a lui per fare da tramite e cercare di convincere Jordan a prendere parte a una partita di esibizione. La star americana non voleva saperne di scendere in campo, ma dopo le numerose richieste, avanzò una proposta curiosa: avrebbe giocato solo a condizione di essere accompagnato sullo Stelvio per vedere la stele commemorativa di Fausto Coppi. Barbieri, con prontezza, organizzò tutto: prenotò l’elicottero e accompagnò personalmente Jordan sulla vetta. «Quando gli proposi di salire fino in cima, non ci credeva. Abbiamo prenotato l’elicottero, e lì, davanti a quella piccola pietra, Jordan si emozionò quasi fino alle lacrime», ricorda oggi il tecnico.
UN’EREDITÁ IMPORTANTE
L'ultima stagione di Attilio Barbieri sulla panchina dell'Under 18 del Niguarda non è stata solo un capitolo conclusivo, ma un banco di prova entusiasmante e impegnativo. «Quest'anno è stata una vera sfida, una di quelle che mi piacciono e mi motivano – racconta Barbieri –. Con questi ragazzi abbiamo iniziato un percorso di crescita e già a fine stagione si nota la differenza; basti pensare alla bellissima vittoria per 3-0 riportata nell'ultima partita contro l'Afforese: all'andata avevamo perso per 4-2 contro la stessa squadra, giocando un calcio sterile, invece adesso siamo riusciti a non subire gol giocando con personalità». Un miglioramento tangibile, frutto del duro lavoro e dell'attenzione ai dettagli, che ha permesso alla squadra di fare un salto di qualità.
«Rispetto ad inizio anno i ragazzi hanno le idee molto più chiare dal punto di vista tattico, si muovono senza palla e giocano ragionando invece di buttare avanti il pallone sperando che succeda qualcosa – continua il tecnico –. Questo testimonia una grande crescita dal punto di vista calcistico e spero di essere riuscito a trasmettere a questi ragazzi qualcosa che si porteranno dietro per il resto delle loro carriere. Il fatto che abbiamo accumulato solo 9 punti nel girone d'andata e ben 22 in quello di ritorno (con una partita ancora da giocare) credo renda bene l'idea di quanto questi ragazzi siano cresciuti grazie al lavoro svolto, sia dal punto di vista tecnico individuale che come collettivo».
L’ultimo pensiero è un messaggio di gratitudine e affetto: «Spero di poter lasciare un bel ricordo nel cuore di tutti, ragazzi, staff, dirigenti, perché per me il Niguarda è stato come una seconda casa. Dirsi addio è sempre difficile, ma quando arriva il momento di dire basta lo senti: la stanchezza supera la motivazione ed è giusto lasciare spazio ai giovani che hanno fame di realizzare i propri sogni». Una chiusura degna di una carriera vissuta sempre con passione e dedizione, con l’augurio che il seme lasciato da Barbieri possa continuare a germogliare nei cuori e nelle gambe delle nuove generazioni.