Serie D
13 Maggio 2025
SERIE D ARCONATESE •Giovanni Livieri
Alla fine è accaduto. Ed è arrivata nel modo più amaro possibile, dopo una vittoria di grande carattere per 2-1 contro il Chievo Verona, resa vana dalla contemporanea e fulminea rimonta della Castellanzese contro la Folgore Caratese. Quattordici anni di traguardi e imprese importanti, di cui gli ultimi otto trascorsi in Serie D, sembrano venir dimenticati dalla retrocessione diretta maturata con una giornata d'anticipo, al termine di una stagione di grandi difficoltà dentro e fuori dal campo. Sembrano, per l'appunto. Perché se in un primo momento veniamo totalmente sopraffatti dal dolore e vediamo crollare tutte le nostre certezze ad una ad una, dopo qualche giorno il nostro cuore ci viene in soccorso e fa riaffiorare i ricordi più belli, che trasformano la lacrima di tristezza in una di emozione e commozione profonda. Per la città di Arconate Giovanni Livieri non è e non è stato un semplice allenatore: colui che ha rafforzato il senso di appartenenza della comunità, portando tutti allo stadio e regalando gioie che in questo momento sono più gli occhi a descrivere rispetto alle parole. A sua volta per Giovanni l'Arconatese non è, né sarà mai una semplice squadra: la tuta oroblù con cui dirigeva gli allenamenti è diventata in breve tempo una seconda pelle, lo stadio una seconda casa, i giocatori e lo staff una famiglia.
15 anni, uno zaino sulle spalle, pieno di sogni e speranze: non è mai facile cambiare abbandonare il tuo paese natale, specie se sei un ragazzino e ti devi trasferire in un mondo e una realtà completamente nuove, come quella di Milano. Giovanni, che da qualche tempo giocava nelle formazioni giovanili del Casarano, era stato infatti chiamato dal Milan, società con cui svolgerà tutta la trafila nel settore giovanile. Siamo sul finire degli anni '90: Livieri alloggiava con gli altri ragazzi negli appartamenti di Milanello che la società gli aveva messo a disposizione e quando la mattina apriva la finestra poteva vedere le gesta dei campioni del tempo. «Vedevo gli olandesi che si allenavano, nel suo primo anno al Milan Fabio Capello mi convocò al ritiro estivo per svolgere la preparazione con la Prima Squadra. Un momento bellissimo, indescrivibile, era un onore potersi allenare con giocatori di quel calibro. Da lì ho proseguito la mia carriera nel professionismo tra Reggina, Maceratese, Tolentino e Legnano». Idolo incontrastato della tifoseria, che per 5 anni potrà ammirare le sue gesta: Giovanni segnerà reti importanti, tra tutte quelle nei derby contro la Pro Patria, che lo porteranno di diritto nella Hall of Fame del club lilla. «Ancora oggi sono molto legato alla squadra e i tifosi».
Sentire Giovanni Livieri raccontare delle sue passate esperienze calcistiche è una gioia: il coinvolgimento e l'emozione che traspaiono dalle sue parole tradiscono in più di un'occasione il suo amore profondo per il pallone e sanno trascinare l'ascoltatore in un mondo di ricordi, in una dimensione d'altri tempi, di farti rivivere momenti e attimi che nulla hanno a che vedere con il calcio di oggi. Se in campo Livieri era un attaccante implacabile, padrone incontrastato di ogni area di rigore, il suo idolo era invece un numero 10. In realtà, ascrivere ad un numero quello che Diego Maradona è stato e ha rappresentato sarebbe qualcosa di riduttivo: è difficile descrivere quello che El Pibe De Oro ha lasciato il calcio senza scadere nella banalità e nessuno meglio del tecnico dell'Arconatese sarebbe infatti capace di ricordare a tutti la sua magnificenza. «Ho visto Maradona e quelli della generazione attuale, ma Diego è qualcosa che non si può descrivere, di soprannaturale. Era di un altro pianeta, non puoi capire che cosa è stato». Sull'effettiva provenienza di Maradona si era del resto interrogato anche il celebre telecronista uruguayano Victor Hugo Morales nella celebre telecronaca di Argentina-Inghilterra dei Mondiali 1986, a seguito della seconda rete del diez argentino, tutt'oggi considerata come una delle reti, se non il gol, più bello della storia del calcio.
Uno originario di Mesagne, cittadina nella provincia di Brindisi, una perla situata nella pianura salentina e meta estiva frequentata dai turisti per la sua storia e la bellezza delle sue architetture. L'altro, invece, nativo di Lanùs, capoluogo della provincia di Buenos Aires e centro economico argentino di discreta importanza. A dividerli, all'apparenza, la vastità dell'Oceano Atlantico. Si sa, però, che il pallone è foriero di vivida immaginazione, collante tra vite e persone che altresì non potrebbero mai incrociare i loro destini, ciò che spesso dà forma alle nostre vite e rende labile il confine tra possibile e impossibile: quattro anni dopo la celebre doppietta che aveva condannato l'Inghilterra, Diego sarà in Italia per disputare il leggendario Campionato Mondiale del 1990, un fatto storico e politico di rilevanza profonda, oltre che un evento sportivo tra i più memorabili nella storia dello sport italiano, al di là del terzo posto finale. San Siro, teatro dei sogni e stadio che trasuda storia e leggenda, si appresta ad ospitare la partita inaugurale tra Argentina e Camerun: tra i raccattapalle che quel giorno circondavano il campo spicca anche un giovane Giovanni Livieri, che ai tempi militava nelle giovanili del Milan. «La società ci aveva dato questa opportunità e io l'ho sfruttata subito». Quello che accadrà quel giorno è un qualcosa che l'allenatore oroblù difficilmente dimenticherà: perché se è vero che non si può vivere solo di ricordi, è nel passato che affondiamo le nostre radici, che troviamo le esperienze più belle a cui appigliarci nei momenti di tristezza e che custodiamo gelosamente nell'inviolabile scrigno della nostra memoria. «Eravamo nel tunnel dello stadio di San Siro. Diego è arrivato e ha dato il cinque a tutti i raccattapalle, me compreso! È stato qualcosa di incredibile, non mi sono più lavato quella mano penso per mesi. Del resto, io ero matto per lui». Eppure, per molti, il calcio resta soltanto un semplice per sport.
Terminato l'ultimo anno da calciatore con la maglia dell'Arconatese, nell'estate del 2012 a Livieri viene offerto l'incarico di allenare la prima squadra, che ai tempi militava nel campionato di Promozione: «Fu un'idea che partì del dg Vittorio Mantovani e dal direttore sportivo Enio Colombo. Accettai la proposta e pur non avendo alcuna esperienza in panchina riuscimmo a vincere il titolo. Dopo qualche anno in Eccellenza siamo poi riusciti a raggiungere la Serie D, dopo un memorabile testa a testa col Pavia e disputare 8 stagioni nel massimo campionato dilettantistico». Diverse volte vicino alla promozione tra i professionisti, con partecipazioni ai playoff e con una proposta di gioco che lo ha reso uno dei tecnici più all'avanguardia della Serie D. Numeri che parlano da soli, specie se consideriamo anche un budget ridotto rispetto a concorrenti più esperte e blasonate; c'è, però, un altro dato che bisogna tenere in considerazione e che ci fa comprendere come Livieri sia un tecnico in grado di sfruttare al meglio il potenziale della sua squadra: «Da quando siamo arrivati in D, ben 14 giocatori sono arrivati nel professionismo: mi ricordo Yannick Bright, che ora gioca all'Inter Miami con Messi e io lo avevo portato su in Prima Squadra quando giocava negli Allievi». Più recenti invece i casi di Quaggio e Mauthe, entrambi con parentesi in Serie C rispettivamente al Caldiero Terme e all'Arzignano. Se nei primi anni la formazione oroblù era riuscita a conquistare la salvezza, negli anni successivi Livieri sarà infatti costantemente in lotta per la vittoria del Campionato: raggiunta infatti la zona play-off sia nel 2019-20 (prima dell'interruzione forzata causa Covid) e nel 2022-23, andando a un passo dallo stesso obiettivo l'anno precedente, sarà nel corso della stagione scorsa che la formazione di Livieri terrà un ritmo impressionante sino al mese di febbraio, laureandosi campione d'inverno e rivelandosi una difesa pressoché impenetrabile; il calo accusato nel girone di ritorno, che impedirà ai varesini di conquistare i playoff per gli scontri diretti sfavorevoli, non cancellerà quella che resta una cavalcata memorabile, a cui ben pochi avrebbero pensato di poter auspicare anche nelle loro aspettative migliori.
A livello tattico Livieri è sempre stato un allenatore che ha saputo alternare con successo diversi sistemi tattici, cambiando anche modulo nel corso delle partite a seconda della situazione e delle caratteristiche tattiche degli avversari: «In fase difensiva utilizzavamo principalmente il 3-5-2, talora anche nella sua variante col trequartista, quando avevamo palla abbiamo invece cambiato tante volte le costruzioni, utilizzando la formula 4+1 o 4+2, dipendeva sempre dagli avversari, non abbiamo mai avuto un modulo predefinito». Tuttavia, è capitato anche che nel corso di questa stagione Livieri impiegasse un 4-1-4-1, con due dighe di 4 giocatori strette e compatte e un regista arretrato che potesse valorizzare il lavoro degli esterni: utilizzato in alcune partite del girone di ritorno, come nella sfida contro la Varesina dell'11 gennaio, si trattò di un sistema di gioco che portò a Livieri prestazioni di buon livello e che fece sperare in un tentativo di rimonta tuttavia mai concretizzatosi a causa di qualche errore di troppo soprattutto nelle sfide cruciali con dirette concorrenti, come Ciliverghe, Magenta e Castellanzese.
Le difficoltà fanno purtroppo parte della nostra vita. La nostra esistenza è fatta di variabili, costellata di imprevisti, e per quanto noi ci possiamo sforzare di prevedere, cambiare e forzare il futuro a volte il destino fa sì che le cose debbano andare in un certo modo. E se in campo un esterno offensivo misura la propria abilità nel dribbling sfidando gli avversari che si frappongono sul suo cammino, nella vita testiamo la nostra forza d'animo e la resilienza con ciò che ci tocca affrontare. Al di là delle indiscutibili doti da allenatore, Livieri ha dimostrato di essere anche un uomo di immenso spessore. Sempre umile, nonostante i successi ottenuto in questi anni, sempre pronto a studiare ed aggiornarsi per restare al passo coi tempi, come dimostra anche il conseguimento del Patentino Uefa A presso la sede di Coverciano nell'Ottobre del 2023. «Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio» è solito ripetere un grande tecnico come José Mourinho. E quando gli è stato chiesto in cosa consistesse l'esame, Livieri ha infatti spiegato che oltre all'analisi tattica della partita al candidato vengono rivolte domande complesse di medicina e psicologia. Tradotto: per essere un grande tecnico devi possedere un enorme bagaglio di conoscenze.
Nelle interviste di quest'anno pubblicate sulla pagina Facebook dell'Arconatese lo si vedeva spesso stanco, pensieroso, a tratti provato. Una sensibilità differente, tipica di chi trasuda amore, passione e impegno sconfinato, di chi ha sempre avuto prima di tutto a cuore il futuro della società e la crescita tecnica e umana dei suoi ragazzi, per i quali in tutti questi anni ha rappresentato un punto di riferimento, il porto sicuro a cui aggrapparsi nei momenti complicati. «Purtroppo è arrivato quest'anno molto difficile, dopo le 7 sconfitte consecutive a ottobre ho rassegnato le dimissioni, poi respinte dalla società, e lo stesso è accaduto a dicembre. Le mie capacità non erano purtroppo sufficienti per migliorare i giocatori. Sono l'unico responsabile di questa retrocessione». Eppure, anche in una stagione difficile come quella trascorsa, Livieri è comunque riuscito a valorizzare alcuni dei giovani che la società gli ha messo a disposizione, come il portiere Leonardo Santulli, titolare inamovibile e messosi in evidenza come uno dei migliori portieri del campionato o il centrocampista classe 2004 Nicolò Sette, con un passato anche al Milan e al Cesena.
Anche in un'annata travagliata dentro e fuori dal campo, Giovanni ha sempre potuto godere della stima della società: per questo sono diverse le persone che meritano una menzione speciale: «Voglio ringraziare la famiglia Mantovani che mi ha dato la possibilità di allenare e messo nelle condizioni migliori per lavorare. Il presidente Sannino, poi il direttore sportivo Enio Colombo, una persona con cui ho condiviso tanti momenti e da cui siamo legati da un rapporto di grande stima reciproca. Sono tante le persone ad Arconate che andrebbero citate, anche i tifosi che ci hanno sempre seguito in tutte le trasferte». La grandezza del personaggio la si vede anche in questo, nel saper riconoscere i meriti di tutti coloro che lo circondano, anche e soprattutto di coloro che lavorano in silenzio e umiltà dietro le quinte, ma senza mai far mancare il loro contributo materiale e soprattutto psicologico: «Abbiamo il nostro Francesco Bienati, detto Wilson, una persona straordinaria. È il nostro tuttofare, ha più di 70 anni ma ha una forza incredibile, l'energia di un ragazzo. Lui e Azio sono speciali per noi, hanno sempre una parola buona, ci sostengono in qualsiasi momento: figure come loro sono imprescindibili all'interno di una società, rappresentano valori come la dedizione al lavoro che li rendono esemplari. Sono cose che ci tengo sempre a ricordare ai miei ragazzi».
In un momento di difficoltà come questa, con una delusione cocente e assillante, è difficile poter pensare con chiarezza al futuro: «In questo momento devo ancora metabolizzare il tutto, è una ferita ancora fresca. Al momento non ho ancora deciso nulla, devo staccare, poi nelle prossime settimane parlerò con la società. L'anno prossimo l'Arconatese giocherà in Eccellenza, ma non è mai facile vincere i Campionati: ricordo l'anno che siamo saliti in Serie D, fino all'ultima giornata c'era stato un testa a testa con il Pavia, e ho visto che è stato molto combattuto anche quest'anno. I ragazzi che avevo quest'anno sono tecnicamente e umanamente molto validi, però servono tante cose, tanti tasselli che si devono incastrare per trionfare». C'è però una sola cosa certa in questo clima di incertezza: qualora l'Arconatese e Livieri terminassero il loro rapporto, per ritornare a vincere sarà necessaria una figura dallo spirito e il carisma dello storico tecnico pugliese, un uomo capace attraverso un pallone di far sognare una città intera e regalare sorrisi a giocatori, alle loro famiglie e a tutti coloro che gravitano attorno al mondo Arconatese: per tutto quello che ha compiuto, anche se la classifica lo dichiara sconfitto sul piano sportivo, Giovanni Livieri mai come oggi può dichiararsi e restare per sempre un vincente, indipendentemente da tutto quello che verrà.