05 Settembre 2016
Ibrahimovic e Max Allegri
Le vacanze consentono di staccare la spina dal mondo reale e rilassarsi. E’ piacevole crogiolarsi nel dolce far niente, liberi di dedicare tempo a letture di libri, giornali e riviste. Attingendo a queste fonti ho avuto modo di colmare lacune calcistiche: Herbert Chapman, manager dell’Arsenal, il 28 agosto 1928 per la prima volta in Europa mandò in campo la sua squadra con i numeri sulle maglie dall’1 all’11, poi adottati nei match casalinghi da tutti i team del campionato inglese mentre le formazioni ospitanti prendevano i numeri dal 12 al 22. Nel 1940 la numerazione dall’1 all’11 entrò nell’uso comune. Nel 1993 in Premier League fu introdotta la numerazione con cognome e numeri fissi dall’1 al 99. Quando un grande campione cessa l’attività agonistica dal club di appartenenza, viene ritirata per sempre la maglia col suo numero. Il primo caso in Italia risale alla fine della stagione 1996-97 con l’addio al calcio giocato di Franco Baresi. Da allora la numero 6 del Milan non è stata più assegnata. Così come la 3 di Facchetti e Maldini, il 6 di Signorini e Aldair, la 10 di Baggio, Maradona e Pelè, l’11 di Riva. Chi ha vissuto accese dispute andate nel dimenticatoio, una volta che non ha più vincoli coglie l’occasione per riportarle alla luce. Gianluca Zambrotta dopo i trascorsi alla Juventus (7 anni) e al Barcellona fu acquistato dal Milan, col quale nel 2011 conquistò lo Scudetto. La stagione successiva il Milan iniziò con la vittoria a Pechino contro l’Inter nella Supercoppa Italiana. I rossoneri erano nuovamente protagonisti anche in campionato. La svolta è arrivata il 25 febbraio a San Siro contro la Juventus. Zambrotta racconta: «La partita finisce 1-1 con la polemica sul gol di Muntari e quello annullato a Matri per un fuorigioco inesistente. Se ci fosse stato assegnato quel gol regolare, con il 2-0 per noi il campionato avrebbe preso un’altra direzione. E invece prevalse la Juventus sfruttando anche le defaillance del Milan che nelle due partite casalinghe col Bologna e la Fiorentina ottenne solo 1 punto consentendo alla Juventus di raggiungerci e superarci in classifica. Altro episodio significativo di quella stagione. In Champions, dopo aver vinto all’andata 4-0 con l’Arsenal, perdemmo 3-0 nel ritorno. La squadra aveva imboccato la parabola discendente. Ci fu una litigata tra Ibra e Allegri perché secondo lo svedese Allegri non era riuscito a gestire e sfruttare le potenzialità del complesso milanista. Il buonismo del tecnico («Va bene così…») fece incazzare ancor di più Ibra tanto da sfiorare la rissa. Tra noi e l’allenatore non c’era grande sintonia». Nel calcio la scaramanzia scorre a fiumi. Zambrotta prima delle partite infilava sempre prima la scarpa sinistra e poi la destra. Tardelli giocava con un santino nei parastinchi. Trapattoni ai Mondiali in Corea si portava in panchina l’acqua santa. Gigi Riva, che indossava sempre la maglia numero 11, quando nel match Italia-Portogallo del 27 marzo 1967 lo mandarono in campo con la maglia numero 9 si ruppe una gamba. Non ne volle più sapere di vestire quel numero. I calciatori, come ogni essere umano, sono fortemente condizionati dai sentimenti che spesso prevalgono nelle scelte professionali. Gianluca Zambrotta: «Giocavo nel Barcellona e con mia moglie abitavamo in uno splendido appartamento ma ero sempre via, distratto da impegni professionali, quindi erano poche le occasioni di stare insieme. Il rapporto coniugale s’incrinò con inevitabili ripercussioni sul mio rendimento. Mia moglie si trasferì a Milano da un'amica. I miei problemi si accentuarono. Avevo grosse difficoltà a confidarmi. In un ritiro della Nazionale ne parlai con alcuni amici. Anche con Rino Gattuso, che sapevo avere ottimi rapporti con Galliani. Gli dissi che volevo tornare in Italia. Il mio agente contattò Galliani e la trattativa andò a buon fine. Se fossi rimasto a Barcellona e non mi fossi trasferito a Milano per giocare con i rossoneri non avrei riconquistato la mia deliziosa consorte e oggi nostro figlio Riccardo non sarebbe mai nato». Una storia a lieto fine.