• L'Editoriale •
10 Luglio 2025
Era il 1988 o forse 89, non mi ricordo di preciso, come volontario facevo il dirigente nella squadra del mio paese che all’epoca militava in Terza Categoria. L’allenatore era un ragazzo che aveva smesso da poco e il Presidente gli aveva assegnato la guida tecnica. Si era ormai ad aprile, mancavano tre giornate e si era ad un punto dalla prima in classifica con ancora lo scontro diretto che si sarebbe poi giocato alla penultima di campionato.
Il presidente era insoddisfatto perché aveva costruito la squadra per vincere il campionato. L’obiettivo dichiarato era arrivare in Promozione in cinque anni, cosa che poi per altro gli riuscì, e attribuiva la colpa della “disfatta” all’allenatore. Mancavano tre giornate alla fine del campionato regolare e all’epoca non esistevano i playoff, per cui bisognava vincere per il salto di categoria e nel frattempo il Pres aveva già preso contato con quello che sarebbe poi diventato l’allenatore a venire.
Il nostro tecnico, ignaro di quanto il presidente stava manovrando, arrivò al campo quasi con il magone prima della partita e ci disse che la stagione successiva non avrebbe più potuto allenare, impegni di lavoro lo avrebbero portato per un lungo periodo lontano da casa. Inutile dire che eravamo tutti dispiaciuti, ma non il Pres che al termine della partita, che la squadra vinse, lo esonerò e in settimana arrivò l’allenatore che avrebbe poi fatto le fortune del club.