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L'ex giocatrice del Milan riparte dalla Croazia: «Avevo bisogno di qualcosa di totalmente diverso»

Dopo la Serie A e le esperienze con Real Meda, Orobica e Freedom, Anita Coda cambia aria: destinazione Medimurje Cakovec

ANITA CODA •

ANITA CODA • Pronta alla sua nuova esperienza con il Medimurje Cakovec

Ci aveva abituato al suo girovagare: fondamentale, perché, per Anita Coda, l'importante è giocare. Trovando una scintilla che ti spinga avanti. Fin da quando, a diciotto anni, aveva salutato Meda direzione Milan. Un'occasione presa al volo - un'arrivederci alle Pantere, che avrebbe rincontrato nel 2023 - un anno in Serie A che avrebbe definito la sua «esperienza più bella». Poi un giro d'Italia, fra Nord, Centro e Sud, fino al 2024: lo sbarco in Serie B, alla Freedom, un undicesimo posto che è significato salvezza. «Ma a fine stagione sentivo di aver bisogno di qualcosa di diverso; stavo recuperando da un infortunio, ma già avevo detto al mio procuratore di voler provare un'esperienza all'estero. Non è la distanza - fra Como e Roma ci sono circa 500km, ma sei sempre in Italia - ma proprio un cambio radicale; qualcosa da cui non sapevo cosa aspettarmi. Mi son detta: "proviamo a vedere dove posso arrivare". D'altronde, finché non ti butti, non sai mai qual è il tuo limite. Ma sono contenta». Settecento chilometri, più o meno, fra casa sua e la sua "nuova casa", il Medimurje Cakovec, Prva hrvatska nogometna liga za žene. O, più semplicemente, Serie A croata. 

CAMBIO NECESSARIO E RADICALE

Un salto nel buio? Più o meno. Un paesino di nemmeno 3000 anime, una lingua sconosciuta, un contesto del tutto nuovo; calcisticamente e personalmente. Eppure qui Anita sembra aver trovato la giusta scintilla: «Sono molto contenta, a livello calcistico e umano. Sto vedendo a livello concreto un altro modo di vivere che, a prescindere dal tuo percorso professionale, ti porta a crescere a livello personale. E credo che questo arricchimento serva, anche per ciò che dai in campo. Ma sto anche vedendo un modo tutto nuovo di vivere lo sport. sono altre modalità di allenamento e di gioco che fanno bagaglio; più esperienze vivi, più ti arricchisci. Più poi puoi avere dei plus. Mi sto trovando davvero bene: io e Marta Razza siamo state accolte dal gruppo nel migliore dei modi, ma credo che questo discorso vada aldilà della squadra. Un ambiente "ristretto" mi ha dato la possibilità di ambientarmi fin da subito; ho trovato una mia dimensione, le mie abitudini. E delle persone che, vedendo due italiane in un piccolo borgo, si son dimostrate incuriosite. Ma questo rispecchia l'animo di qui: lo sport è sport, ed è sempre oggetto di interesse. Ovunque ti giri, c'è un campo di calcio aperto, dove accedi e giochi quando e quanto vuoi: è un'attività che è sempre a tua disposizione; è come se ti dicessi "ok, ho un momento libero, posso andare a fare una partitella". E questo si ritrova nel seguito che abbiamo: non è tanto una questione di numeri, ma di passione. E non sento una differenza fra maschile e femminile. E sono un po' amareggiata da quanto sta accadendo in Italia: il riconoscimento del nostro calcio non è legato a un fattore economico, ma proprio a una dimensione d'impegno; se io vado al campo dopo una giornata di lavoro, è ovvio che mentalmente e fisicamente avrò un altro approccio. Si vuole fare, senza però, al momento, riuscire ad avere: e mi spiace, perché ho conosciuto tante persone che hanno deciso di abbandonare il maschile, ritrovando da noi quella passione e quei valori più puri del calcio. Se queste cose vengono notate, non capisco perché non si riesca a dare quella scintilla in più: creare una condizione per cui io calciatrice posso occuparmi esclusivamente di quelle attività che sono funzionali al mio voler giocare».

Ma prima di addentrarsi nel presente, è bello - e quasi necessario - fare un passo indietro: riguardando un percorso eccezionale, fra Serie B e Serie C. Che è servito a Coda per arrivare fino a qui, ma che soprattutto l'ha formata come giocatrice a 360 gradi. «Quando sono arrivata al Milan ero giovane e mi son trovata di fronte giganti delle Nazionale come Sabatino e Giacinti: ho cercato di catturare tutta la loro esperienza, tutti i loro valori. E da lì ho capito com'è essere una calciatrice. Ho cambiato il mio stile di vita, perché tutto ciò che faccio fuori dal campo dev'essere funzionale a ciò che faccio poi nel rettangolo verde. Sei sempre un'atleta, a prescindere da dove ti trovi. E questo l'ho riportato e arricchito in tutte le squadre che mi hanno accolta. Per me la cosa fondamentale è giocare a calcio, a prescindere da dove: non mi interessa poter dire di vestire la maglia di un Top Club, per rimanere poi in panchina. Il mio sogno era questo sport e ho compiuto scelte che mi arricchissero su questo principio. Come il Real Meda, a cui devo molto: sono arrivata lì a quindici anni e ci sono tornata nel 2023. Per me è casa: quando ho bisogno di stare bene, di trovare un buon ambiente, penso subito a quello. Perché solo se ti trovi nell'ambiente giusto, puoi giocare bene: e la mia carriera lo dimostra».

Carriera che l'ha portata in Croazia: un calcio tutto diverso, dove però l'ex Freedom sta facendo la differenza. Dieci gol nelle prime sei uscite di campionato, una media di 1,6 reti a partita. L'ambientamento sembra stia proseguendo nel modo migliore: «Rispetto all'Italia, è molto più fisico; si sta dietro alla preparazione atletica, molto di più di quanto non si faccia da noi. Può essere un vantaggio, ma per me, da italiana, è stato strano: "io corro, corro, ma poi con la palla cosa faccio?" Ma credo sia una questione di adattamento. Il gioco è molto diverso, molto più veloce: il giro palla non è concesso, si cerca sempre l'azione e la conclusione. Col che le partite sono ricche di azioni e di gol: un 3-1 è un risultato quasi scontato». 

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