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09 Dicembre 2025
Arianna Quadro, arbitro della sezione AIA di Pinerolo
Una curva che dice “no”. Non uno striscione, non un coro organizzato, ma un rifiuto spontaneo, netto, quasi fisico. Alla mezz’ora del primo tempo, mentre il tabellone segnava ancora equilibrio, dagli spalti si alza la frase: «Vai a lavare i piatti».
Frase indirizzata all’arbitro Arianna Quadro, 26 anni, della sezione AIA di Pinerolo e che noi stimiamo molto avendo più volte assistito a partite, sia nel maschile che nel femminile, dirette da lei. Arianna sta arbitrando Moncalieri Women–Pro Palazzolo, ottavi di Coppa Italia di Serie C. Intorno al 30’ del primo tempo, subito dopo il gol del pareggio del Moncalieri Women, un sostenitore proveniente dal settore ospiti (e dunque identificato come tifoso della Pro Palazzolo) urla verso l’arbitro: «vai a lavare i piatti». Il silenzio che segue dura un battito di ciglia, poi parte un’ondata di fischi, «no!» ripetuti, richiami, finanche un «vergognati». Il video, ripreso da una spettatrice, documenta sia l’insulto sia la risposta del resto del pubblico, che lo isola e lo contesta. L’autore ripete la frase, ma viene sovrastato dalla disapprovazione degli altri spettatori. La partita finirà 4-3 per il Moncalieri, ma il dato sportivo, in questo caso, resta sullo sfondo. In primo piano finisce la scena di uno stadio che non accetta il solito, stanco stereotipo sessista.
LA PRESA DI POSIZIONE DEL MONCALIERI WOMEN
La società Moncalieri Women, club che da quest'anno opera esclusivamente nel settore del calcio femminile e prima in classifica nel campionato di Serie C, ha diffuso una nota di condanna, definendo l’episodio «spiacevole e vergognoso» e ribadendo che il linguaggio sessista non deve trovare spazio su un campo di calcio. Nella stessa nota si sottolinea l’aspetto più significativo: il pubblico, inclusi sostenitori ospiti, ha preso le distanze dal responsabile della frase incriminata.
COSA DICE IL CODICE DI GIUSTIZIA SPORTIVA
Nel Codice di Giustizia Sportiva (CGS) della FIGC, l’articolo 28 qualifica come «comportamenti discriminatori» le condotte che comportino offesa o denigrazione «per motivi di (…) sesso», con un regime sanzionatorio specifico. Il principio cardine è chiaro: lo sport non è zona franca, e l’ordinamento federale reprime «tutti i comportamenti discriminatori», distinguendoli dalla mera ingiuria.
Inoltre il comma 4 dell’art. 28 CGS sancisce la responsabilità dei club per cori, grida e manifestazioni «che siano, per dimensione e percezione reale del fenomeno, espressione di discriminazione». In linea teorica, quindi, episodi reiterati e percepiti come collettivi possono comportare sanzioni che vanno dall’ammenda alla perdita della gara, fino a misure accessorie. Il principio è volto a prevenire e reprimere le condotte discriminatorie in ambito sportivo. Nel caso di Moncalieri–Pro Palazzolo, i resoconti parlano di un singolo spettatore subito isolato, è possibile quindi che venga inquadrato più come episodio individuale che come condotta di “dimensione” collettiva.
La scena che più resta non è la frase urlata da uno spettatore nei confronti di Arianna, bensì la risposta compatta del pubblico. È un passaggio culturale non scontato, soprattutto nei campi dilettantistici, dove il clima di prossimità tra campo e tribune amplifica ogni gesto. In quel “no!” scandito a più voci c’è l’anticorpo necessario: la responsabilità diffusa di chi assiste a una partita e decide che tutto ha un limite, e quel limite non può essere la dignità di una persona, né l’identità di genere di una professionista che sta semplicemente facendo il suo lavoro.
Perché il sessismo non è un rumore di fondo inevitabile, perché le parole contano e in uno stadio di calcio contano ancora di più, diventano comportamenti, che però possono essere isolati, contestati, respinti da chi non li accetta e ha la forza di zittirli.