Lo speciale
14 Febbraio 2024
C’è più rischio di farsi male, o di sviluppare problematiche, allenandosi e giocando su un campo sintetico, o in erba naturale/terra? La questione interessa tutti, così abbiamo chiesto un parere direttamente a un professionista della materia. Dario Tripol, personal trainer e chinesiologo specializzato in prevenzione e riabilitazione motoria, risponde così sull’argomento: «Da un punto di vista di impatto sul corpo i campi sintetici di nuova generazione hanno un fondo medio-morbido, e sono assolutamente efficienti in termini di stress tendineo e carichi esercitati su muscoli e articolazioni. Gli studi più recenti fatti in materia hanno dimostrano che questi campi non portano sollecitazioni meccaniche troppo diverse rispetto a un campo in erba naturale di pari regolarità in quanto a superficie (si fa riferimento ai campi che si possono trovare - indicativamente - in Eccellenza o Serie D, ndr); è stato però osservato che se da un lato il sintetico comporta meno infortuni di tipo osteo-articolare da impatto rispetto a un campo in terra - o a un sintetico più duro delle prime generazioni - dall’altro c’è un aumento esponenziale di trami distorsivi. Una classica scarpa a 13 spesso ha una presa eccessiva al contatto col terreno, riscontrando un grip tra gomma dei tacchetti e la fibra sintetica dell’erba che porta il piede a non scivolare abbastanza, esponendo a maggiori rischi di carattere legamentoso per caviglie e ginocchia. Negli ultimi 2-3 anni questo aspetto è emerso chiaramente da un punto di vista numerico e statistico».
In altre parole, il piede tende di più a “piantarsi” a terra, dunque, sul sintetico, a fronte di un beneficio evidente dal punto di vista di impatto sul corpo rispetto ai campi “di una volta”, siano essi naturali o no. «Chiaramente sì - prosegue Tripol - i campi di terra dura, o terra battuta, e i sintetici di prima generazione che sono assimilabili ormai a quelli, comportano una sollecitazione meccanica molto più ampia. Correre e giocare su un terreno duro, specie se con una scarpa non adeguata, porta molto più facilmente a dolori articolari e tendiniti di vario genere».
In conclusione, considerando tutti gli aspetti e facendo riferimento a dati scientifici, il sintetico di nuova generazione oggi è la scelta più conveniente per praticare in particolare il calcio? «È di sicuro la più comoda e meno rischiosa da un punto di vista della prevenzione degli infortuni e dei traumi di tipo meccanico. La cosa più importante sarebbe però - considerato che si andrà regolarmente a giocare in trasferta in situazioni anche molto diverse rispetto a quella della nostra società - insegnare al giovane a conoscere, e ad adattarsi, a diversi tipi di terreno».
Dario Tripol è dottore magistrale con lode in Scienze Motorie Preventive ed Adattate presso l’Università degli Studi di Milano. Dopo un passato da sportivo nel calcio e nel nuoto, ha abbracciato il mondo dello sport con un percorso polifunzionale. Il suo background si interseca tra le varie facce del recupero motorio, sia esso di tipo preventivo, sia esso di mantenimento delle capacità residue. Si occupa di allenamento a 360°, dal recupero post infortunio, passando per la riatletizzazione e l’allenamento funzionale. Allenatore di Calcio, lavora con Inter Campus e partecipa a interventi sociali in tutto il mondo, utilizzando il calcio come strumento educativo per ridare ai bambini il Diritto al Gioco e allo Sport.
Il fatto che il campo sintetico di ultima generazione sia la scelta più consigliabile, non deve tuttavia distogliere da un’analisi più ampia secondo Dario Tripol: «Credo che sia molto importante non “demonizzare” i campi in terra indicandoli come più rischiosi in senso assoluto, perché in fondo è tutta una questione di adattamento. Noi, giustamente, dobbiamo fare attenzione alle superfici e ai materiali di scarpe e suole, eppure vediamo i grandi atleti africani che vincono le maratone correndo per quarantadue chilometri a piedi nudi sul cemento. Com’è possibile questo? La risposta, come dicevo, sta proprio nel concetto di adattamento. La tendinite sopraggiunge perché appunto il tendine non è sufficientemente preparato e allenato a sopportare quel tipo o livello di sollecitazione. Chi corre la maratona scalzo è abituato fin dalla più tenera età a quei terreni e a quegli sforzi. Non dimentichiamoci mai che l’uomo è cresciuto e si è evoluto sulla terra. Oggi noi conduciamo delle vite evidentemente più sedentarie, il moto e l’allenamento non sono componenti necessarie o indispensabili alla nostra sopravvivenza, e facciamo spontaneamente attività sportiva proprio per compensare questa mancanza. Non esiste dunque un giusto o sbagliato, un sicuro o rischioso, l’interpretazione è bensì quella di un corretto processo di adattamento alla superficie e al contesto. Alternare il lavoro su superfici diverse e con le dovute accortezze sarebbe in linea teorica la scelta migliore per l’atleta, che allenerebbe così il suo corpo a far fronte a ogni situazione. Ma chiaramente questo richiede strutture, spazi e tempi di difficile conciliazione con l’attività di una società sportiva».
Qualcuno si ricorderà del celebre “coniglio nel pallone” di Hernan Crespo ai tempi dell’Inter, in relazione a un prato di San Siro in quell’occasione non perfetto, che portava la sfera ad avere rimbalzi irregolari e imprevedibili. Chi ha passato la quarantina (ma forse anche la trentina) sorriderà di questa cosa, perché si ricorderà su quali tipi di terreni si giocava il più delle volte da ragazzi: i famosi o famigerati “campi di patate”. Nostalgia a parte, la questione è d’attualità, secondo molti, perché oggi esiste una generazione di giovani calciatori “nativi sintetici”, che fin da piccoli sono abituati a giocare con delle reazioni diciamo “regolari” del pallone quando questo viene colpito, o quando rotola da una parta all’altra del campo.
L’interrogativo è il seguente: un ragazzo cresciuto sul sintetico può andare in difficoltà quando si trova a giocare su un terreno irregolare? Forse il problema è meno banale di quanto sembri, perché quando si va a stoppare, a controllare o in generale a gestire il pallone, il cervello si trova a dover calcolare tante diverse variabili, a prevedere un maggior numero di possibilità anche a livello coordinativo. Una zolla, un sassolino, un ciuffo d’erba tagliato male, e la palla può spostarsi di quei tre centimetri decisivi che fanno la differenza tra un tiro perfetto e una “ciabattata”. Quando giochi sul sintetico, invece, rimbalzi e reazioni sono perlopiù prevedibili, e il rischio può essere quello di abituarsi a viaggiare su binari sempre uguali, intorpidendo in qualche modo la reattività e le percezioni del calciatore. Il calcio di strada non esiste più, e piano piano sta scomparendo anche quello dei “campi di patate”. Sta succedendo lo stesso anche a una parte del talento?
Gli attuali campi sono composti da tappeti di erba sintetica di polietilene o polipropilene, mantenuti in posizione verticale da uno strato di sabbia e granuli elastici, provenienti da gomma riciclata da Pneumatici Fuori Uso (PFU). L'European Chemicals Agency (ECHA) ha recentemente condotto uno studio sulla sicurezza della gomma riciclata, che ha esaminato la migrazione di sostanze tossiche dai granuli ai giocatori attraverso contatto e inalazione. I risultati hanno rassicurato sulla sicurezza evidenziando una scarsa biodisponibilità delle sostanze tossiche, rendendo altamente improbabile la migrazione degli IPA per contatto dermico. I test hanno confermato l'assenza di rischi significativi per la salute, ma si suggerisce una corretta ventilazione per i campi al coperto.