Under 17 Élite
03 Maggio 2024
UNDER 17 CLUB MILANO: Migu Alvarez, talento biancorosso
All'anagrafe è Angel Miguel Ortiz Alvarez. Tre nomi, un cognome: qualcuno ha detto America Latina? Magari, chissà... Colombia? Piccolo (grande) spoiler. Per gli amici è Migu, quella persona capace di trasmettere il buon umore solamente respirando. È sufficiente la sua presenza, meglio ancora un sorriso. E quel dannato sorriso... Per tutti, ma proprio tutti è semplicemente un talento. Vero, genuino e innato? Affermativo, ma non solo. Un talento pazzo, folle, eccentrico. Quel personaggio impossibile da dimenticare. Migu ti entra in testa e no, non esce più. Un talento che divide: ha diviso in passato, divide nel presente e dividerà nel futuro. O lo ami o lo odi, non c'è altra strada. Quel talento che se ce l'hai dalla tua parte dici «wow» e te lo tieni stretto. Quel talento che se ce l'hai contro dici prima «oh!» (ovviamente con fare aggressivo), ma che ti porta a dire «oh oh...» (paura, timore). Entiendes?
Ma alla fine Migu sta tutto lì, in quella manciata di minuti sotto il diluvio di Vedano Olona, ridente cittadina in provincia di Varese. La tana della Varesina, il palcoscenico del suo ultimo ballo. Dal rammarico allo psicodramma, passando per un gol che difficilmente dimenticherà. Serviranno giorni, mesi, forse persino anni. Agli estremi due sentimenti forti, ricchi di significati e dalle mille sfumature. Per certi versi molto simili, per altri agli antipodi. Restano due istantanee, due ritratti a modo loro iconici. Migu sempre lì, a terra e con le lacrime. Dopo aver colpito un palo che sì, avrebbe potuto cambiare la storia. Riscriverla, stravolgerla. Dopo un triplice fischio che sulla carta mette fine a Varesina-Club Milano, ma scavando più a fondo mostra la scritta «the end» a un sacco di altre cose.
Quindi il gol, roba senza senso. Cogliati rinvia e Pecora liscia, dopodiché Migu... fa semplicemente Migu. Stop di petto, mancino al volo, traiettoria perfetta e pallone che finisce lì, laddove nemmeno un Borin in stato di grazia può arrivare. Era il gol della speranza, col senno di poi inutile. Ma che dire dell'estetica? Roba senza senso, appunto.
E che dire del significato? Non tanto della giocata in sé, comunque formidabile in tutto e per tutto. Si parla di passato, il suo e della sua famiglia. Si parla di un altro continente, l'America. Si parla di un altro stato, la Colombia. Si parla di un'altra squadra, il Cali. E si parla di un altro gol, o meglio un'altra occasione da gol. Mamma Juliet lo ricorda con il sorriso. Lo conserva gelosamente e lo tiene ancora lì, nella cartella "preferiti" della galleria. Un baby Migu ancora in Colombia che prende la rincorsa, lascia partire il solito mancino (marchio di fabbrica, ovviamente) e sfiora un gol pazzesco. Nel mezzo migliaia di chilometri percorsi (dall'America all'Europa, dalla Colombia all'Italia), milioni di avventure (dal Cali all'oratorio, dalla Pro Patria alla Rhodense, dal Club Milano a... chissà) e miliardi di connotati (quanti aggettivi servono? Dieci? Cento? Mille?) che rendono il suo percorso, quello di Migu, quello di Migu Alvarez, una storia bella per davvero.
Alvarez in Italia? Sì. Alvarez in Colombia? Pure. Alvarez in Spagna? Che domande... La famiglia di Migu è sparsa un po' dappertutto. I due fratelli maggiori, Cesar e Josè, vivono rispettivamente in Italia e Spagna, il secondo in dolce compagnia della nonna Miriam. Viceversa, papà Nelson e nonno Jorge Luis (detto "Lucho") si trovano attualmente in Colombia. Nel Bel Paese c'è ovviamente mamma Juliet con il suo compagno Sergio, quindi l'immancabile zio Mauro: «Devo a lui molto. Ai tempi del covid - racconta Migu - mi ha aiutato molto tecnicamente, giocavano tantissimo in giardino e provavo a mettere in pratica quello che mi chiedeva la Rhodense».
La Rhodense, appunto. La società che se l'è preso in mano e gli ha cambiato, stravolto la vita. L'artefice? Lorenzo Pirovano, uno che non ha avuto paura di dire «sì, lo voglio». Andando all-in e, col senno di poi, facendo decisamente la scelta giusta. «Il calcio italiano è molto diverso da quello colombiano», il resto vien da sé. Prima l'oratorio del paese e il Pero: «Segnavo tantissimo, lo ricordo ancora». Dopo il Club Milano, poi chissà... Con i biancorossi una soddisfazione dietro l'altra, dal record di gol in campionato nonostante la rottura del braccio (16 in 16 partite) alla più recente Coppa Lombardia vinta, ovviamente da protagonista, sabato 27 aprile contro il Villa. Nel mezzo tanto, molto altro: «Ho fatto due ritiri con la prima squadra e qualche presenza nelle amichevoli. Mi trovo molto bene, spero di continuare a fare bene».
Cuadrado o Marcelo? Un po' entrambi. «Mi ci rivedo in loro. Sono terzini offensivi e giocano bene con i piedi, sono i miei idoli». E quindi il ruolo? Vale un po' tutto, basta che di mezzo ci sia la corsia di sinistra. Alto o basso non fa differenza, avendo giocato (anzi, dominato) sia da esterno alto sia da terzino, trovando probabilmente la definitiva consacrazione da "quinto". L'artefice? Valerio Mandelli, uno dei due allenatori «più bravi che abbia mai avuto». L'altro? Lorenzo Digiglio, mica pizza e fichi. «Loro due mi hanno lasciato davvero tanto e li ringrazierà sempre».
Infine i ricordi, le emozioni. Quegli aspetti che lo hanno fatto diventare il Migu di oggi. «Prima di andare al Cali giocavo in una squadra del mio quartiere. Il loro blasone è paragonabile a quello del Milan, per intenderci. Sono stato lì un paio di anni e abbiamo vinto un titolo Regionale. Dopodiché sono passato al Napoles, anche lì super soddisfazioni. Ricordo ancora un campionato giocato tutta la squadra sotto età». Il risultato di quest'ultimo? Terzo posto, gradino più basso del podio. Ricordi indelebili, emozioni forse inarrivabili. Ma questo è Migu Alvarez. O lo ami o lo odi? Sicuramente, ma scavando più a fondo quel Migu lì, quello nato in Colombia e trasferitosi in Italia, probabilmente è anche tanto altro. Molto, moltissimo altro... Signore e signori, Angel Miguel Ortiz Alvarez. E scusate se è poco.