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La spinta FIGC e i benefici del calcio integrato

Andrea Riboni, referente calcio integrato Piemonte e Vda

Andrea Riboni, referente calcio integrato Piemonte e Vda

Da 3 anni a questa parte la FIGC e il Settore Giovanile e Scolastico promuovono il calcio integrato. Un progetto che coinvolge i bambini dai 6 anni in su con disabilità intellettiva e relazionale con l’obiettivo principale di far giocare insieme bambini con disabilità intellettiva, farli divertire e nello stesso tempo contribuire al loro sviluppo fisico, personale e sociale nell’ottica dell’integrazione con i coetanei normodotati. Il calcio integrato si gioca 5 contro 5 e la squadra è composta da 3 bambini diversamente abili e 2 normodotati. Tutti possono fare gol, calciare falli laterali, punizioni, calci d’angolo e rigori. Le partite durano 30 minuti, due tempi da 15 con un time out per tempo, i cambi sono illimitati ed è obbligatorio l’uso dei parastinchi. Ma la parola d’ordine è adattabilità. Il referente regionale SGS del calcio integrato per Piemonte e Valle d’Aosta è Andrea Riboni, nominato dal coordinatore regionale Luciano Loparco fin dall’inizio del progetto. Come nasce il progetto calcio integrato? La FIGC ha fatto nascere questo progetto che è ormai al suo terzo anno. In realtà lo ha sempre avuto, ma non lo ha mai spinto prima a livello regionale, non era messo nero su bianco. Il Settore Giovanile e Scolastico ha iniziato a spingere su quei settori dove eravamo più indietro come il calcio a femminile, il calcio a 5 fino ad arrivare alla promozione sportiva per i ragazzi diversamente abili. Il progetto è partito per spingere queste società ad accogliere questi ragazzi, affiancare un percorso parallelo per poi inserirli nel club. L’obiettivo del Sgs non è il risultato ma la crescita comune e perché no l’aiutare anche il bambino a livello sociale. Quante realtà sono coinvolte in Piemonte e Valle d’Aosta? Chi lo fa sono le associazioni. Mettere sin piedi cose simili non è semplicissimo. I numeri dei ragazzi affetti da disabilità non sono, fortunatamente, così elevati da poter creare delle squadre. Magari a una società arriva un bambinello in difficoltà e bisogna capire come gestirlo. Ad esempio in una squadra è arrivato un ragazzo affetto d’autismo e quindi lui di volta in volta decideva cosa fare. Capitava che giocasse e dopo 5 minuti volesse uscire e l’allenatore dell’altra squadra non era d’accordo e nascevano problemi. In quel caso è arrivata una deroga da Roma per far sì che il bambino facesse quello che voleva e fosse libero di entrare e uscire. Come società c’è la Pro Eureka che aveva iniziato qualcosa appoggiata a una cooperativa, poi anche il Garino ha provato un percorso con un’associazione per ragazzi autistici e anche il Vanchiglia si è mosso in questa direzione. Purtroppo la pandemia ha bloccato tutto. Quali sono i benefici che può portare il calcio integrato a chi lo pratica? C’è tutta la parte sportiva che porta benefici a livello motorio ma anche a livello mentale. E poi i benefici di essere all’interno di un gruppo squadra. Chiaramente sono ragazzi che hanno anche problemi sociali e che vivono alcune cose diversamente. Per fare un esempio, ai bambini quando fanno i tornei viene data una medaglietta che spesso loro ripongono nel cassetto quasi subito. Invece questi ragazzi, magari di 16/17 anni se gli dai una medaglia se la portano ad allenamento per le due settimane successive. Questo può portare anche a pensare all’altro ragazzino che dice ‘io la medaglietta la ripongo nel cassetto e guarda invece lui come è felice’. Perché il calcio integrato può essere importante per il ragazzo con disabilità, ma anche per quello normodotato. È poi molto importante che i ragazzi stiano con i pari età come a scuola, con il ragazzo disabile che è nel gruppo dei compagni. Una volta che escono dal Sgs è normale che si vadano a scontrare con ragazzi con le loro stesse disabilità come in Quarta Categoria, ma almeno da ragazzi stanno insieme. L’età varia molto perché a livello sociale non è facile confrontarsi con le famiglie che a volte non accettano che il figlio abbia problemi, quindi è difficile che ci siano bambini di 5 o 6 anni che comincino a giocare a calcio perché i genitori fino a una certa età tendono a proteggerli/nasconderli. Come stanno attraversando questo periodo i ragazzi? Stanno svolgendo qualche attività online? Loro chiaramente sono tra i più penalizzati di questo periodo. So che la Pro Eureka ad esempio ha continuato a fare qualcosa anche online, ma sono più chiacchierate che allenamenti, più importanti a livello umano che motorio. Quello che fa la federazione è continuare a proporre il progetto alle società per essere pronti quando sarà possibile tornare. È un vero peccato essere fermi perché avevamo fatto un evento dove hanno partecipato in tanti e sembrava che questa vetrina avesse aiutato a sbloccare la situazione. L’obiettivo sarà quello di creare 2 o 3 concentramenti ogni anno.
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