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Black Friday nerazzurro: Inter e Atalanta salutano la corsa Scudetto

I classe 2003 di Chivu si devono arrendere contro un grande Genoa, a quelli di Lorenzi non riesce il miracolo contro la Roma

Alessandro Fontanarosa, Inter

Alessandro Fontanarosa, centrale dell'Inter, in lacrime dopo la sconfitta in semifinale

Due date: 26 novembre e 25 giugno. La prima è del cosiddetto “Black Friday”, ovvero il venerdì nero durante il quale - sia online che nei negozi - si può approfittare di diversi sconti. La seconda è di un altro “Venerdì Nero”, ma questa volta non c’entra niente lo shopping. Parliamo delle semifinali Scudetto, che hanno visto le due portabandiera lombarde - Atalanta e Inter - uscire con le ossa rotta dalla trasferta in Emilia Romagna. Modalità diverse, medesimo risultato: sia Chivu che Lorenzi dicono addio alla corsa Scudetto. Se i nerazzurri di Milano - contro un Genoa ordinato e rivelatosi essere più squadra - hanno pagato un approccio risultato essere decisamente sbagliato, per quelli bergamaschi contro la Roma non c’è mai stata partita. Poco cambia perché, in qualsiasi modo la si voglia guardare, perdere una semifinale Scudetto è un qualcosa che ti resta appresso in modo indelebile. Indipendentemente dalle modalità e dalle premesse della vigilia.

Sul più bello. Lo sa bene Christian Chivu, che manca l’appuntamento con la finalissima dopo aver dominato in lungo e in largo la regular season. Ma si sa, nel calcio non sempre vince la squadra più forte. Ed ecco che subentra il Genoa: una squadra nel verso senso della parola - creata a sua immagine e somiglianza da Ruotolo - che approda meritatamente in finale. Che nell’aria del Manuzzi di Cesena ci fosse qualcosa di strano lo si è percepito già alla lettura dell’undici iniziale. Chivu sceglie un “4-2 fantasia”: una mossa, col senno di poi, rivelatasi quasi “suicida”. La qualità in avanti non manca, mentre l’equilibrio è un miraggio: De Milato e Fabbian in mediana sono troppo soli, la difesa fa acqua da tutte le parti e nel reparto offensivo - seppur di qualità - è solo Peschetola (e tratti Abiuso) e metterci qualcosa in più. Chiudere il primo tempo sotto solo di un gol appare come una manna dal cielo per Chivu, chiamato a cambiare qualcosa nella ripresa. Il risultato? Stessi undici e Inter sotto di due gol dopo venti minuti. Tanto nervosismo, poche idee e la paura di non farcela. Il “coast to coast” di Fontanarosa vale il prezzo del biglietto ma è la dimostrazione che qualcosa non va, lo sfogo di Fabbian durante il cooling break è l’emblema della serata thriller dell’Inter. La reazione - seppur fievole - c’è ma è decisamente tardiva: Peschetola accorcia le distanze ma in finale ci va il Genoa. Tanto bella quanto incompiuta: l’Inter di Chivu ha divertito, si è divertita ma si è dimenticata di vincere. Vi dice qualcosa? Il tutto ci riporta all’Olanda del 1974: Oliver Jurgens come Johan Cruijff, Giovanni Fabbian come Johan Neeskens, Alessandro Fontanarosa come Ruud Krol, Peschetola come Johnny Rep. Infine Christian Chivu come Rinus Michels, con una differenza sostanziale. L’ex campione d’Europa con Mourinho, pur azzardando forse un po’ troppo nella partita decisiva, ha dimostrato di avere anche da allenatore la stoffa che mostrava sul terreno di gioco da calciatore. Inoltre ha ancora un’intera carriera davanti, la quale potrebbe prendere il volo se venisse ufficializzato il suo nome come successore di Armando Madonna in Primavera. E con una rosa di 2003 come questa, pensare a una rivincita in Primavera è tutt’altro che utopia.

Troppa Roma. Il discorso per l’Atalanta è diametralmente opposto. La “manna dal cielo” di cui parlavamo in precedenza c’è stata anche per i bergamaschi, approdati decisamente a sorpresa in questa final four. Un campionato deludente e ben al di sotto degli standard della Dea dell’ultimo decennio non è certamente un bel biglietto da visita per una semifinale, specie se devi affrontare una squadra come la Roma. Il risultato racconta di un sonoro 6-0, che sarebbe potuto essere ancora più largo se Vismara non avesse compiuto 3/4 parate decisive. La squadra di Lorenzi regge il colpo per venti minuti, durante i quali la Dea a dire la verità ha anche dimostrato di avere qualità individuali interessanti (su tutti Falleni), dopodiché è uno show giallorosso: Cassano e Pagano inventano calcio, Afena Gyan è una sentenza e Volpato è ovunque. Sei gol, una prestazione sontuosa a tratti spettacolare e un pass meritato per la finale (da favorita): questa è la Roma di Aniello Parisi.

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