Riflessioni
20 Febbraio 2024
Simone Pafundi, caso emblematico di giocatore talentuoso che è stato etichettato come un predestinato
Non so se ci avete fatto caso, ma l'aggettivo “predestinato” sta facendo proseliti dappertutto. Lo si sente e lo si legge. Si dice che (e in parte è vero), al Predestinato, madre natura abbia regalato un dono che gli permette nel corso della sua vita di fare una brillante carriera e di compiere grandi imprese nell’ambito o nella professione a lui più congeniale. È un PREDESTINATO, punto e basta.
Il pre-destinato però, deve essere riconosciuto prima, molto prima che il suo talento si manifesti apertamente o che faccia qualcosa di importante e sotto gli occhi di tutti. Lo sta a indicare proprio quella piccola particella PRE che forma la parola stessa “predestinato”. In sostanza per investire su di lui, bisogna saper riconoscere, intuire, e prevedere chi é destinato ad un grande futuro. Nel calcio invece spesso non è così. I soliti teorici in televisione e sui giornali, fanno a gara a chi per primo marchia un giovane calciatore dandogli del predestinato. Sì, loro lo timbrano, ma sempre e soltanto dopo il suo debutto in prima squadra, dopo le sue prime buone prestazioni, dopo che fa vedere, con la palla tra i piedi, che il calcio è la profonda conoscenza di un'arte.
Certi personaggi dell’informazione si travestono con velocità da trasformisti professionisti alla "Arturo Brachetti" mettendosi gli abiti di un conduttore televisivo, di un ex calciatore famoso, dell'opinionista, del giornalista. Tutti grandi sapientoni, tutti pronti al classico “Te lo avevo detto io… si vedeva lontano un chilometro il suo talento… solo un cieco non poteva accorgersene…” e così via. Tutte espressioni impiegate per darsi delle arie, per passare come veri intenditori che vivono di calcio, per il calcio, e con il calcio.
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Ma la realtà é ben diversa per chi è destinato a fare divertire il pubblico. Il predestinato non nasce come tale, non è un fenomeno e basta, nel suo destino va accompagnato al successo. Predestinato, fa rima con fortunato. Sì, deve essere anche fortunato che qualche osservatore lo noti e di conseguenza lo segnali fin da piccolo ad una società importante e che, nelle sue tappe calcistiche giovanili, incontri sempre grandi esperti di settore che gli permettano di giocare in libertà e perfezionare le sue doti. Migliorandone la tecnica in velocità, la crescita muscolare, influendo anche nella formazione del suo carattere, avvicinandolo così alla destinazione a lui più congeniale, dove un grande allenatore, competente, coraggioso, che non guarda l'età anagrafica dei propri calciatori, il loro passato, la loro fama, lasciandoli anche in panchina, fa posto al “destinato” di turno, senza nessun timore di presentare un "bambino" - come dice Mourinho - davanti a 70 mila spettatori. In quel momento, è l'allenatore, e lui solo, che decide. Sente di avere delle grosse responsabilità dell'esordio di un ragazzo. Una volta nel tunnel del sottopassaggio non si torna più indietro. Anche il tecnico in quel momento debutta con lui. Chi pensa che sia semplice e facile lanciare a 16/19 anni un giovane non sa nulla di calcio. Devono smetterla i soliti professori di football di far diventare tutto facile seduti dietro ad una scrivania, dare tutto per scontato come nei soliti bar dello sport dove si sentono frasi come: «Hai visto che gol ha fatto quel "bambino"? Eh beh è un PREDESTINATO».
Concludo con una mia riflessione velenosa e personale: in Europa, e anche qui da noi, sembra che gli allenatori facciano una gara tra di loro su chi lancia il maggior numero di calciatori sotto i 20 anni di età. È una loro evoluzione professionale? Diventano anche aziendalisti? Sono veramente convinti? O tutti questi grandi allenatori, internazionali e non, quando sentono puzza di esonero compensano una eventuale sconfitta con il lancio del solito bambino “mourinhiano”? Se è così, come io penso, dovremo prepararci a vedere ogni domenica sui campi di calcio italiani ed esteri, gli esordi di tanti PREDESTINATI. Se veri o falsi però, lo scopriremo solo vivendo. Intanto, soltanto in Italia, fino a metà campionato di Serie A ne ho contati 32.