Under 18
15 Giugno 2024
UNDER 18 GENOA: Marco Romano, talento del Grifone
«Non dimentico da dove sono venuto». Vero, genuino. Emozionato, commosso. E chissà se nella sua testa non stesse ripercorrendo tutta la sua vita. Passo dopo passo, capitolo dopo capitolo. La voce lo suggerisce, gli occhi tolgono ogni dubbio. Lo fa a pochi metri dalle persone che gli vogliono bene: mamma Linda, papà Mimmo, la fidanzata Rosita («È partita questa mattina con mia mamma») e Diego Grieco («Ogni estate mi alleno con lui, gli devo tanto»), il padre datogli dal calcio. Mancano solo Ferdinando e Giovanni, i due fratelli: «Uno è a Milano, l'altro in Belgio. Sono sicuro che mi hanno seguito».
Mentre parla gli dedica uno sguardo, poi li mette a fuoco con l'indice della mano destra. Sono tutti lì, sui celebri seggiolini rossi dello stadio del Conero. A pochi passi dal campo, il suo posto felice. Visibilmente orgogliosi, forse commossi. Anzi, sicuramente. Perché sanno, perché conoscono. Tutto. Ogni dettaglio, ogni connotato. Ogni caduta, ogni traguardo. E poi quel viaggio, da sud a nord: lasciandosi alle spalle la sua Campania e varcando la soglia della Liguria, salutando Napoli e presentandosi a Genova. Sponda rossoblù, ovviamente. È la storia di un Campione d'Italia, la storia di Marco Romano: 18 anni lo scorso 1 marzo e quindi tante, troppe altre cose.
Figlio, fratello, fidanzato. Ma prima di tutto ischitano doc: «Vengo da un piccolo paese, ci sono molte cose in meno rispetto a Genova. Per me è un orgoglio, non dimenticherò mai le mie origini». Lo ribadisce. Poi un passo indietro ulteriore: «Ricordo perfettamente i primi calcio al pallone. Avevo tre anni e giocavo nel Real Forio (Eccellenza campana), ogni due settimane dovevamo fare diversi chilometri per andare a giocare». Lo racconta con il sorriso, un po' come piace a lui.
Ha lo sguardo di chi si è fatto da solo, di chi è cresciuto prima degli altri. E poi un pizzico di presunzione, né troppa né troppo poca. Il giusto mix. Vedere per credere. Alla fine sta tutto in quel rigore, una serie di immagini che racconta lui stesso: «Non voglio essere presuntuoso - dichiara ridendo - ma ero sicuro che avrei fatto gol». Prende il pallone, lo posiziona sul dischetto e calcia: «Tra me e me mi sono detto di calciarlo lì, sono riuscito a farlo e sono contentissimo di questo». Finisce lì, sotto l'incrocio dei pali. Alla sua destra, alla sinistra del portiere: «Ho aperto ed è andata bene». Sempre con il sorriso. E poi la corsa, quella dannata corsa... Sotto la tribuna, in visibilio. Con le braccia aperte come a dire: «L'ho messa lì, visto?». Da lì a poco sarebbe successo un po' di tutto, nell'ordine: triplice fischio di Barbetti di Arezzo, Stefano Arata che la mostra al cielo e un coro. È il più vecchio, il più bello: «Siamo noi, siamo noi...». E poi? «I Campioni dell'Italia siamo noi».
Mentre parla è in dolce compagnia. Niente Rosita, almeno in quel momento. L'avrebbe vista poco dopo fuori dallo stadio. Un qualcosa di più materiale, la medaglia d'oro. Quella mostrata poco prima a chi gli vuole bene, quella che tiene in mano stretta stretta, quasi a non volerla lasciare più. «Questa me la godo, per me è stata una rivincita dopo aver perso la finale due anni fa». Tutto qui? Macché, tempo un paio di secondi e continua: «Proprio contro la Roma, mi sono preso una bella rivincita».
Si ricorda tutto perfettamente. Ma tutto per davvero: campo, risultato e pure orario. Era giugno, precisamente il 29. Era Ravenna, ovviamente il Bruno Benelli. Era la finale Scudetto di Under 17 contro la Roma... persa. Ma qualcosa non torna. Chi se l'è domandato ancora stenta a crederci: «Ma com'è possibile che abbia giocato una finale Scudetto tre anni fa?». Semplicemente giocando non uno, ma ben due anni sotto età. E giocando per davvero, più precisamente tutto il secondo tempo di un ultimo atto più "agro" che "dolce".
Quel vizio ce l'ha ancora. E forse forse basterebbero le 25 presenze e i 5 gol in Primavera. Chiaramente da sotto età, altrimenti che gusto c'è? Poi il "passo indietro" con l'Under 18, quindi il primo Scudetto della sua vita: «È stata una partita fantastica, abbiamo dato anche l'anima e siamo stati ripagati. Non se l'aspettava nessuno, vincere così è stupendo».
Arrivederci al prossimo anno? Nossignore. O meglio, non ancora. Prima c'è un Europeo da conquistare e chissà, magari pure da vincere: «Spero tanto di poter essere convocato, vedremo. Intanto sono felice di aver dato il mio contributo». Fattuale? Fattuale. Due partite strepitose, la prima contro l'Inter e la seconda contro la Roma. Lui era sempre lì, sulla trequarti mancina alle spalle di Ekhator. Ovviamente con tutto il meglio che la casa sa offrire: tecnica (tanta), estro (tantissimo), talento (a grappoli) e fantasia (serve davvero dirlo?). Roba da Marco Romano, roba da Campioni d'Italia.