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Under 17 Serie C

È il capitano dell'impresa del secolo: ha 17 anni, gioca da veterano e diventa Campione d'Italia

Gianvincenzo Napoli trascina il suo Renate e alza al cielo la coppa più bella

UNDER 17 RENATE

UNDER 17 RENATE: Gianvincenzo Napoli, capitano delle Pantere

«Quando sono entrato mi è venuto quasi da piangere». Emozionato, commosso. È il capofila, il primo a entrare. Si ritrova davanti tutto il meglio che lo stadio Riviera delle Palme possa offrire. Uno stadio «pazzesco», un palcoscenico «che fa venire i brividi». Da buon calciatore, cuffiette e musica. Mani in tasca, occhi qua e là. Poi si piazza all'altezza del dischetto del rigore e guarda alla sua destra come se stesse per partire un calcio d'angolo di Valerin. Quindi salta, mima uno stacco di testa. Nella testa due vocine, diavoletto e angioletto. Una dice «fallo, esulta». L'altra «no, mi raccomando non farlo». Ha scelto la seconda.

Tutta la sua vita in un paio d'ore. «Una volta dentro, ho ripensato a quando ero all'Enotria». Il mitico campo in erba, quello all'ombra del palazzo di RCS. Iconico. «Sognavo di poterci giocare, vedevo i grandi dell'Inter e mi chiedevo se un giorno sarei riuscito a farlo». Ce l'ha fatta. «È davvero pazzesco, un sogno che si avvera». Da lì a poco ne avrebbe vissuto un altro. indelebile, indimenticabile. Valgono un po' tutti gli aggettivi. Quindi il dato di fatto: Gianvincenzo Napoli, 17 anni dallo scorso 21 gennaio, capitano del Renate e Campione d'Italia, avrà una storia da raccontare. Domani in spiaggia, dopodomani sui banchi di scuola. E tra qualche mese al cenone di Natale, schivando con maestria i vari «ma la fidanzatina? La pagella?». 

LA FINE

Parte dall'inizio, vola alla fine. «Quando ho alzato la coppa non ci credevo». Fortunatamente esistono svariate prove video. Se lo sarà guardato in loop. La stretta di mano con Vito Tisci, la foto di rito. Quattro chiacchiere, un mezzo sorriso. Tensione, adrenalina. Avrebbero potuto parlare di qualsiasi cosa, se la sarebbe comunque dimenticata tempo zero. La camminata lenta, qualche indicazione ai compagni: «Vado lì in mezzo, poi la alzo». Si ferma, urla. Un passo in avanti, poi la coppa al cielo. Era lì con la fascia al braccio, quella del capitano. Capello riccio e biondo, da lì a poco diventato una rivedibile "pelata" a metà. «La foto fammela da davanti, mi raccomando». Pare che la macchinetta si sia scaricata, parola di insider. La fonte è protetta.

"È tutto vero". «Grande citazione del Mondiale di Germania». Parola di un altro insider, la fonte è sempre protetta. La notte del 9 luglio del 2006 era in grembo a mamma Giusy, mentre la sorellina Beatrice avrebbe visto il mondo solamente tre anni dopo. Papà Fabio davanti alla televisione, poi gli amati nonni. «Lo dedico a loro, assolutamente. Mio papà mi segue dappertutto, tutta la mia famiglia ha fatto tantissimi sacrifici». Lo sguardo è tutto un film. Poi gli amici, quelli di sempre, incollati alla televisione a tifare: «So che mi hanno guardato, un abbraccio a tutti loro».

PAROLE

Irrequieto, non stava fermo. Da buon italiano, tra una risposta e l'altra gesticolava. Movimenti per lo più nord-sud, quindi una serie ovest-est degna del miglior Antonio Conte. Era in fibrillazione, come se Manuel Marchetti non avesse mai fischiato la fine. E in effetti il finale non è propriamente roba che si dimentica in fretta, anzi. «Non è stato il miglior momento per subire il gol, gli ultimi minuti di partita sono sempre delicati. Siamo però stati bravi a soffrire, l'abbiamo fatto insieme ed ha pagato». Mancavano sei minuti, sembrava una vita. Prima i gol di Diego StagiGiocare in coppia con Napoli è un privilegio») e Luca ValerinUn gol importantissimo»), poi un epilogo da cuori forti. Degno di una finale Scudetto, chiaramente. E nel mezzo, ovviamente, i miracoli di Tommaso AlfieriLa parata nel finale non ha senso»). Il "portierino" appassionato di pizza e film al sabato sera. Altra storia.

Ma guai a gridare al miracolo, o peggio ancora alla fortuna. "This is Renate, baby". «Lavoriamo tantissimo sull'intensità. A volte giochiamo sporchi, lo riconosco. Altre volte, forse, potremmo giocare un calcio migliore. Ma noi diamo tutto, sempre». E da buon italiano quale è, immancabile il virgolettato un po' sopra le righe: «Siamo grintosi, cazzuti». Continua poi con un tono di voce che si alza passo dopo passo, step by step: «Andiamo più forte degli altri, non c'è niente da fare».

CHIOSA

La domanda è forse scomoda, la chiosa è da brividi. «Cosa ci ha detto il mister all'intervallo? Semplicemente che avremmo avuto un'opportunità che capita poche, pochissime volte nella vita». Intanto gesticola, ovviamente. Chiude gli occhi, li riapre. Questione di attimi. «Potrebbe essere anche l'ultima, ne ero consapevole». Fu così che Gianvincenzo Napoli scelse di essere straordinario. Nel secondo tempo si è elevato su un livello inimmaginabile. La terra lasciata in basso, il cielo dolcemente accarezzato. Quasi un sopralluogo per capire meglio fin dove alzare la coppa. «Il primo tempo è stato difficile, lo ammetto». È così. «Però abbiamo resistito, siamo un grande gruppo». Sempre così. Quindi gli ultimi ringraziamenti: «Cristiano, Falcinelli, Cossa, Marcandalli, Corti... tutti sono stati fondamentali».

Parla da veterano. Rientrerà nella sua Milano con una medaglia d'oro al collo e una coppa, la più bella. In testa qualche riccio in meno, ma ricresceranno. I compagni gliel'avevano promessa: «Tagliati, tagliati, tagliati i capelli...» e via così. È la ciliegina sulla torta, l'epilogo più bello di una stagione straordinaria. C'è altro? C'è altro e anzi, c'è molto altro. Ma tempo al tempo...

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