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Under 16 A-B

A 16 anni ha stregato l'Italia: gioca da fenomeno, segna due gol clamorosi e vince lo Scudetto

Isaac Isoa, classe 2008 dell'Atalanta, ne fa due in finale contro il Milan

Isoa Atalanta

Niente surf, un "must" per la next gen. Lui è diverso, differente. Apre con una coppia di emoticon insolita. Sopracciglia basse, occhi tristi, bocca aperta. Sembra uno sbadiglio. Poco sotto, nell'ordine: cognome, numero e pagella. «Isoa 10Manda il Diavolo all'inferno con due stacchi di testa "divini". Si prende la finale da solo. Un lusso per l'età e per la categoria». Tra un repost e l'altro («Campioni d'Italia fra!», «Fiera di te, te lo meriti», «Congratulations my G»), nel cuore delle sue storie Instagram, due video. Niente surf, niente sbadiglio. Niente di niente, silenzio totale. A tratti assordante. Perché lui è diverso, differente. È Isaac Isoa. Bresciano di nascita, bergamasco d'adozione, talento per definizione, Campione d'Italia per antonomasia. 

DUE VIDEO

Lascia parlare le immagini. Matteo Colombo accarezza il pallone. Niente di nuovo dal fronte talento. Rincorsa breve e destro sopraffino, roba prelibata. Quando un semplice calcio d'angolo diventa un'occasione da gol. Netta, nitida, ghiotta. Isaac Isoa sale in cielo. Niente di nuovo dal fronte fisico. Fabio Pandolfi sovrastato, terzo tempo alla LeBron James e girata di testa. Rimane in aria un paio di secondi, giusto un attimo in più dei comuni mortali. Perché lui è diverso, differente. Il pallone che entra, la corsa sotto la curva, la scivolata alla Wayne Rooney. Iconico. 

Matteo Colombo accarezza il pallone, ancora. Isaac Isoa sale in cielo, ancora. Fabio Pandolfi sovrastato, ancora. Sembra un replay. È tutto vero. Cambia l'angolo, dal sinistro al destro. Cambia la direzione, dalla corsa pazza sotto la curva est a quella, sempre pazza, sotto la curva ovest. E cambia anche l'esultanza. Niente Wayne Rooney, più Zlatan Ibrahimovic. Parte, si ferma. Sguardo fisso, braccia larghe. Apertura alare da fare invidia. L'abbraccio dei compagni, l'urlo liberatorio. Altrettanto iconico.

ANIMA

Otto minuti, il tempo che impiega un raggio di sole a raggiungere la terra. E la partita cambia, svolta. Per sempre. Sembrano due semplici colpi di testa, ma è un'illusione. Sono due cazzotti, uno in fila all'altro. Prima il gol di Tartaglia e i miracoli di Longoni. Un'illusione il Milan. Quindi il sigillo di Michieletto, solida realtà per l'Atalanta. 14 in stagione, 11 lontano da Zingonia. Messaggio subliminale per Samaden? Poi Lontani la riapre. È un'altra illusione, l'ennesima. Infine Buzzone fischia tre volte. Un'altra solida realtà, l'ennesima. L'Atalanta è Campione d'Italia.

Isoa di qual, Isoa di là. Isoa di su, Isoa di giù. L'anima della festa. Frenesia, estasi. Irrequieto, non stava fermo un attimo. Foto con la coppa, selfie con i compagni, saluti alla tribuna. Era la sua notte, se l'è goduta fino in fondo. Dall'alto del suo metro e novanta (centimetro più centimetro meno), forte di due occhi che sanno parlare. È il suo tratto distintivo. Perché lui è diverso, differente. Perché lui è Isaac Isoa.

DESTINO

L'uomo del destino. Quattro gol in campionato, tutti in 42 giorni. Como, Sudtirol e Lecco. Dall'8 ottobre al 19 novembre, poi il nulla. O meglio, tutto il resto. Quelle «doti fisiche fuori dal comune» e tanto, troppo altro. 203 giorni d'astinenza, quindi il guizzo. Angolo di Colombo, spizzata di Regonesi e tocco da zero metri. Era il 9 giugno, era Zingonia, era la semifinale d'andata contro l'Inter. Il resto è storia.

La sua parte dalla periferia di Brescia. Lontano dal centro, la parte più a ovest. Ironia della sorte, quella più vicina a Bergamo. A proposito di destino. I primi passi alla Voluntas Montichiari, poi la grande chiamata. Quindi lo Scudetto, primo di tanti? Chissà. Tempo al tempo, ovviamente. Ma la sensazione è che il meglio debba ancora venire. 

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