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Il pungiglione

Ripartire dai dimostratori: una chiave per guarire il nostro calcio malato

Pagare meno i top allenatori e i loro staff, retribuire di più chi dà insegnamenti dalla base

Ripartire dai dimostratori: una chiava per guarire il nostro calcio malato

ANDREA GASBARRONI • Oggi dimostratore per la Juve, in passato grande calciatore di Serie A dove ha vestito anche la maglia del Torino (in foto con quella del Pinerolo in Serie D)

Parliamoci chiaro, diciamoci la verità: tutti i bambini possono giocare a pallone, e se scelgono questo sport lo devono fare finché lo vogliono, finché lo desiderano, finché si divertono. Lo possono giocare fino a tardissima età, costa relativamente poco, con pochi euro a testa si affitta un campo anche a undici, dà felicità e salute, mantiene in forma, e poi tutti in trattoria, dove dopo un buon bicchiere di vino, non si sbaglia più un passaggio e si diventa tutti campioni. Ma, non tutti i bambini possono giocare a calcio, è questa la differenza sostanziale con cui madre natura (come già scrissi in passato) separa gli uni dagli altri. È con certi bambini, nati con particolari pre-attitudini, che le società professionistiche lungimiranti, con investimenti importanti, potranno migliorare le loro squadre del futuro e ritornare a vincere, sanare i bilanci, far nascere nuovi talenti per la nostra Nazionale italiana.

Cosa dovrebbero fare? Semplice: il calcio italiano non può più aspettare, è malato, o si studiano rimedi partendo proprio dai bambini o in un prossimo futuro si corre un serio pericolo, quello di finire senza grandi giocatori e nessun fuoriclasse di nazionalità italiana. Il tennis, il nuoto, l'atletica, l'automobilismo porteranno via un sacco di tifosi, di sponsor e di contratti televisivi. Tanto per incominciare, con i bambini nel calcio, ci vogliono esperti di settore, i quali intuiscono chi a sette anni presenta già un profilo da giocatore: come cammina, come corre, come accelera, come porta in giro la palla, la furbizia nei gesti d'inganno, in sostanza il rapporto che ha con la sfera. Ai genitori di questi selezionati, si propone la scolarizzazione anticipata dei loro figli in ambito societario, si prendono al mattino e si riportano a casa alla sera, tutti i giorni studiano, riposano, svolgono i compiti, si allenano e giocano. Tutti i giorni? Sì, tutti i giorni, i bambini vogliono giocare sempre e con qualsiasi condizione atmosferica.

Le prime due tappe 7-10, 11-14 anni, sono l'età d'oro dei baby calciatori: tutte le giocate difficili, quelle estrose, insieme alle tecniche di partita quali la guida della palla in velocità, i lanci, il gioco aereo di piede, di testa, il tiro, i cross in corsa, i dribbling, tutto questo repertorio, che si automatizza nelle prime due tappe, diventa indispensabile per affrontare la terza e ultima tappa, 15-19 anni, dove tutto il bagaglio tecnico del giocatore viene perfezionato, velocizzato, muscolarizzato. Ecco che a fine percorso si potrà allora consegnare al professionismo giovani preparati, pronti a stupire e tutti convocabili dalla nostra Nazionale.

La formula magica per fare tutto ciò è la seguente: bambini piccoli-dimostratori grandi. In questo senso la Juventus si è già mossa da qualche tempo, con nomi come Lampo, Beruatto, Gasbarroni e Redavid a lavorare già nel settore agonistico secondo questo principio. Sì, gli allenatori-dimostratori (solo ex calciatori professionisti) i quali dovranno essere selezionati, scelti per bravura tecnica e serietà, meritano di firmare contratti economici pluriennali ben remunerati (addirittura a tempo indeterminato) che diano a loro una sicurezza economica tale da non voler scalare in fretta le categorie per un maggiore guadagno, abbandonando ciò che sanno fare meglio: dimostrare.

In sostanza, bisognerebbe pagare molto meno i top allenatori del calcio e tutto il loro staff, per retribuire molto di più chi ad esempio insegna e dimostra come stoppare una palla proveniente dall'alto di petto, poi, senza farla cadere a terra, un bel sombrero dosato sopra la testa dell'avversario, per infine calciarla al volo gonfiando la rete. I tre allenamenti, per i bambini non bastano più, il monte ore passato con la palla è troppo poco, se poi chi li allena non ha una specializzazione tecnica adeguata, ecco che il Lecce (portato come esempio in negativo) vince un campionato Primavera con 11 calciatori stranieri.

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