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Copa America 2024

Lautaro entra nel finale e segna il gol decisivo: l'Argentina vince la Copa America!

Tutto sulla finale del torneo, dalle lacrime di Messi e James fino ai terribili incidenti fuori dallo stadio

Lautaro Martinez

COPA AMERICA ARGENTINA • Lautaro Martinez, autore della rete che ha regalato la 16ª Copa America all'Albiceleste

«Lo que mas te gusta del fútbol?» gli domanda il giornalista. «Hacer goles» risponde un Lautaro Martínez ancora 20enne. Era il 2018. Lautaro era già Il Toro di Bahía Blanca, e, ovviamente, aveva già ben chiaro in testa quale fosse la sua passione calcistica più grande: «Fare i gol». Avendo disputato appena 242 minuti di gioco lungo tutte la varie fasi del torneo, il capitano dell'Inter si prende il titolo di capocannoniere della competizione con 5 centri messi a segno. L'ultimo, il più bello, il più importante. Lionel Scaloni decide di farlo entrare soltanto nel corso dei tempi supplementari e la scelta lo paga, come già successo in altre occasioni. Il Toro trova la perla nelle profondità di un oceano che per l'Albiceleste sembrava maledettamente oscuro e lo fa da centravanti vero. A tu per tu col portiere in area di rigore ecco il tocco sotto. Palla all'angolino e rete dolcemente accarezzata a poco dal termine dei tempi supplementari. Il pubblico argentino comincia a intonare Muchachos sugli spalti, passano gli 8, poi diventanti 10 con il recupero, interminabili giri d'orologio. La Colombia ci prova, come fatto d'altronde durante tutto il corso della sua gara, ma alla fine, il triplice fischio arriva e l'Argentina vince la Copa America.

A portare in Italia il titolo, oltre a Lautaro, ci sono l'altro interista, il classe 2005 Valentín Carboni, il romanista Leandro Paredes - co-protagonista nell'azione del gol - e i due fiorentini Martínez Quarta e Nico González, che in maniera totalmente surreale viene chiamato a sostituire un certo Lionel Messi.

LA FINALE

ARGENTINA COLOMBIA 1-0

Nell'estate del 2014 non c'era locale latinoamericano al mondo che, all'interno della propria selezione musicale, non contasse la «Ras Tas Tas» del gruppo colombiano Cali Flow Latino. La salsa choke - nome del genere musicale a cui appartiene il brano - del duo colombiano, era arrivata fino alle orecchie di Pablo Armero, in quanto originario di Tumaco, città che, oltre ad aver dato i natali all'ex terzino del Napoli, ha visto svilupparsi fra le sue strade proprio la salsa choke. Per la Nazionale di Armero e di un allora 25enne James Rodríguez la canzone diventa immediatamente una fonte d'ispirazione, sia fuori, che dentro il campo, dove i colombiani non mancano di esprimere un calcio euforico, celebrando per giunta le proprie reti proprio con la coreografia presente nel videoclip dell'hit dei loro compaesani. Nella finale contro l'Argentina, e più in generale durante tutta la manifestazione, si rivede finalmente quello stesso animo festoso che contraddistingue i paesi del Caribe. Lucho Díaz regala colpi di tacco, Richard Ríos non sbaglia un controllo e salta costantemente l'uomo, Santiago Arias, chiamato a sostituire quello che fino all'espulsione nella semifinale contro l'Uruguay era senza alcun dubbio il miglior terzino destro della competizione, ovvero Daniel Muñoz, arriva in più di un'occasione sulla linea di fondo, facendo sbiancare gli argentini sugli spalti. La prima frazione si chiude quindi con a bilancio, due conclusioni pericolose da fuori e un palo per la Colombia; e un rigore in movimento di Messi, che vede però il pallone finire comodamente fra le braccia del portiere colombiano. 

Messi si accascia a terra e Mojica è il primo a cercare di informarsi sulle condizioni del rivale. Il colombiano richiama l'attenzione della panchina argentina perché il Diez si è fatto seriamente male. La botta alla caviglia, rimediata in un precedente scontro di gioco, è più grave di quanto non apparisse inizialmente. Dire che il tobillo di Leo sia gonfio è scandalosamente riduttivo. Messi non ce la fa, deve lasciare il campo. Lo fa zoppicando e, una volta arrivato in panchina, scoppia in lacrime. Al di là della natura umana di un calciatore che in patria viene spesso e volentieri accostato a una dimensione superiore, quasi divina, il pianto della Pulga spiega alla perfezione un altro aspetto della gara: la tensione.

Lo 0-0 fra le due squadre sembra volersi erigere a unico sentiero percorribile in una selva di interventi prodigiosi, come quello di Vargas su Di María all'11', o i cross di Mojica, Arias e James, costantemente e puntualmente allontanati dalla difesa argentina. Al posto di Messi è entrato una certezza del calcio italiano: Nico González il quale, nonostante il 15 sulla maglia, a questo giro indossa metaforicamente la 10, caricandosi sulle spalle la manovra offensiva dell'Albiceleste. Gli viene anche annullato un gol, per un fuorigioco di un compagno sugli sviluppi dell'azione. De Paul, in una versione biondo platino potenzialmente già culto, si sacrifica durante tutto l'incontro correndo sì, come vuole il suo soprannome, come un Motorcito, ma con un ruolo più contenitivo che votato all'attacco. Il tecnico Néstor Lorenzo le prova tutte, rinuncia prima a Ríos e successivamente a Jhon Córdoba, in favore di Castaño e Santos Borré. Nessuna delle due formazioni riesce però ad imporsi, e questo significa soltanto una cosa: tempi supplementari. Sì, perché il regolamento del torneo prevede che, solo ed esclusivamente per la finale, ci sia una proroga da 30 minuti nel caso di parità al termine dei 90 regolamentari. 

Che poi appunto il coro Muchachos, è un brano del gruppo ska La Mosca Tsé-Tsé. Il testo è però stato ideato da un docente di 30 anni, di nome Fernando Romero. Romero prende ispirazione dalla base di un coro della squadra di cui è tifoso, e si rifà in particolare ad una strofa, la seguente: «Muchachos, traigan vino juega la Acadé». La «Acadé»? Sì, l'Academia, ovvero il Racing Club di Avellaneda, la stessa squadra dove un centravanti classe '97 nel 2018 suscita l'interessa dell'Atletico Madrid prima, ma soprattutto dell'FC Internazionale dopo. Scaloni è un uomo superstizioso. Un uomo di calcio ovviamente, ma anche appunto terribilmente superstizioso. Nelle conferenze pre-partita i giocatori che lo accompagnano sono, in ordine, gli stessi che erano presenti al Mondiale in Qatar. E quindi ritroviamo Mac Allister nella conferenza per-partita contro l'Ecuador, esattamente come contro l'Olanda nel 2022, c'è Nicolás Tagliafico in occasione della gara con il Canada, esattamente come prima della semifinale con la Croazia e, dulcis in fundo, ecco Emiliano Martínez per la finale.

Che poi quel centravanti ex Racing e classe '97 sia entrato al 97' è una mera coincidenza dettata dalle esigenze del momento. O forse no. Fatto sta che Scaloni la vince proprio con i cambi. Nel secondo tempo supplementare il subentrato Paredes che trova la linea di passaggio verso un l'altro subentrato, Giovani Lo Celso, che a sua volta inventa il filtrante per un Lautaro Martínez, che è meravigliosamente scappato alla marcatura di un fino ad allora impeccabile Carlos CuestaL'errore Cuesta caro ai colombiani, perché il Toro una volta in area, difficilmente sbaglia. Tocco sotto e palla che si abbandona dolcemente all'1-0 che schianta i sogni del popolo Cafetero. Corsa sotto la tribuna a cui segue ne segue un'altra, quella verso il suo capitano ancora dolorante. Doppio cinque, abbraccio e bacio in fronte.

La Colombia prova nel finale un arrembaggio che crea scompiglio nell'area di rigore argentina, senza però una conclusione degna di questo nome e, soprattutto, di sporcare i guanti del Dibu. James è uscito all'inizio dei supplementari e al suo posto è entrato un certo Juanfer Quintero, uno che in Italia qualcuno ricorderà per essere passato nel Pescara di Zeman, ma che ad almeno metà della popolazione argentina riporta alla mente un vero e proprio incubo«Moriste en Madrid» sussurrano nel sonno i tifosi del River Plate a quelli del Boca per quella finale di Copa Libertadores del 2018. Il sinistro di Quintero è all'altezza di quello di James, soprattutto da palla inattiva, anche se negli 8 minuti che rimangono, questi, non trova fortuna.

Cafeteros si devono arrendere sul più bello. Alle porte di un sogno atteso per 23 anni. La loro scia di partite senza sconfitte si ferma alla numero 28. L'arbitro fischia e la festa è tutta dell'Albiceleste. Messi non piange più. Quelle lacrime ora sono sul punto di rigare il viso dell'altro Diez, il quale, però, non scoppia. Chi invece non trattiene l'emozione, è il Fideo Di María«Estaba escrito. Soñe que llagabamos a la final. Soñe que me retibara de esta manera» confessa alla giornalista che lo intervista a fine gara. Non vuole una partita di addio a Buenos Aires, vuole lasciare così, alzando assieme a Messi e Otamendi - anche per lui si parla di ritiro dalla Nazionale - un ultimo trofeo, lo stesso che nel 2021 aveva dato una nuova linfa alla sua selezione. «Argentina Campeón de la Copa América, otra vez Argentina, otra vez Argentina y siempre Argentina, y hasta cuando Argentina? Y todo es de Argentina». A voler rubare da uno dei più grandi telecronisti argentini, che nel 2007 raccontava un'altra pagina del fútbol sudamericano.

DISORGANIZZAZIONE TOTALE

«Che Copa America è stata?» potrebbe domandare qualcuno. Dal punto di vista calcistico il pubblico ha dovuto fare i conti con l'inesorabile avanzare del tempo e quindi con i saluti a Di María e possibilmente anche al Pistolero Suárez, il quale quanto meno si è tolto lo sfizio di segnare il gol decisivo nella finale valida per il 3° e il 4° posto. Ci sono stati i definitivi exploit internazionali di giocatori come il colombiano Ríos, il venezuelano Aramburu o il canadese Shaffelburg. E tante altre storie che hanno già trovato il loro spazio. Poi, c'è l'altra faccia della medaglia.

La CONMEBOL non è stata in grado di garantire alle proprie federazioni e a quelle della CONCACAF le strutture necessarie alla corretta preparazione di un torneo di tale importanza. La Bolivia ha dovuto interrompere uno dei propri allenamenti per le condizioni impraticabili del campo di allenamento quando si trovava nello stato del Texas. McKennie ha dichiarato come i manti erbosi fossero stati applicati negli stadi appena poche settimane prima dell'inizio della competizione, senza comunque tenere in considerazione le diverse esigenze rispetto agli sport più popolari negli Stati Uniti.

La CONMEBOL non è stata in grado di regolare la vendita dei biglietti in modo tale che i tifosi delle diverse nazionali non venissero a contatto sugli spalti e, ancora più grave, non è neanche andata lontanamente vicino a mitigare il fenomeno delle rivendite di biglietti falsi. Qualcuno si è scomodato a sostenere che il calcio sudamericano non lo rappresentasse, ma le immagini dei tifosi dell'Eintracht a Napoli e degli olandesi del Feynoord a Roma raccontano un'altra realtà. E questo non lo si dice per sminuire quanto accaduto al termine di Uruguay-Colombia, ma per implementare ancor di più l'eco attorno a una situazione critica in più parti del mondo, ma che le alte sfere del calcio globale sembrano non voler affrontare.

La CONMEBOL non è stata in grado di predisporre, per la finale, del sufficiente numero di addetti ai controlli fuori dallo stadio, proprio dopo i fatti di quell'Uruguay-Colombia, lasciando quindi che i tifosi più esaltati e senza ticket d'ingresso valido finissero esclusivamente fra le candide braccia della polizia statunitense

Gli Stati Uniti sono altrettanto colpevoli? No. Negli Stati Uniti il calcio è uno sport minore, il cui interesse è mosso spesso e volentieri dai liquidi che esso produce. Anche per questo la CONMEBOL ha fallito. Ha scelto come sede della propria competizione di punta un paese dove l'interesse nella corretta riuscita di un evento degno dell'importanza di una Copa America fosse pari a zero, sempre per la mancata preparazione della CONMEBOL nel gestire situazioni che, tuttavia, le son ben note.

Gli Stati Uniti hanno forse avuto la colpa di aver peccato di tracotanza, credendo di essere pronti per queste manifestazioni, scommettendo su se stessi anche in occasione del Mondiale per Club nel 2025 e per la Coppa del Mondo nel 2026. Anche qui si è speculato sostenendo che, quanto meno, questa Copa America sia servita come «banco di prova» e che difficilmente ora gli Stati Uniti commetteranno gli stessi errori. Un pensiero che lascia però il tempo che trova dinanzi alle immagini e ai video arrivati in nottata. Infine, mentre la polizia interveniva con forza sui tifosi fuori dallo stadio, il presidente della CONMEBOL Alejandro Dominguez era impegnato a farsi ritrarre assieme alle celebrità presenti alla finale. Non proprio il miglior biglietto da visita. 

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