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Il pungiglione

Ma che gavetta?! I grandi ex calciatori meritano di allenare subito una big

La conoscenza acquisita in carriere ventennali ad alto livello dovrebbe bastare per allenare in Serie A o persino la Nazionale

Ma che gavetta?! I grandi ex calciatori meritano subito una big

Gianni Rivera, un patentato con Master Uefa Pro che non ha fatto la gavetta, così come Del Piero, fresco di conseguimento

Gianni Rivera, 16 agosto 1943, anni (81) e Alessandro Del Piero, 9 novembre 1974, anni (50), hanno superato entrambi il Master Uefa Pro che rappresenta il massimo livello di formazione per gli allenatori, garantendosi di poter allenare qualsiasi squadra professionistica, compresa la Nazionale italiana. A chi legge, chiedo: due fenomeni del calcio italiano (presi come esempio per una critica più pungente), uno avanti con gli anni, l'altro relativamente giovane, per poter allenare la Nazionale italiana, o una big di Serie A, dovrebbero fare prima la  gavetta? Esperienze in società minori, per vedere i loro risultati? Le loro attitudini al ruolo? Chi l'ha detto?! Basta con questo film!

Questo concetto della gavetta, che parte da Coverciano, raggiunge Presidenti, direttori sportivi, arriva nelle teste dei giornalisti e passa in quelle degli opinionisti, approda infine in quelle dei tifosi che nei bar sport (dove tutti sono allenatori) con la Gazzetta in mano sentenziano: “È un campione del mondo, sì, è stato un grande giocatore, sì, ma far l’allenatore è tutta un’altra cosa! Deve prima fare la gavetta, ci vuole esperienza, bisogna conoscere tutti i moduli di gioco, così da saper leggere le partite e cambiarle in corsa per vincere”. Allo stesso modo contestano così anche l'assunzione di un giovane mister che pur essendo stato un fuoriclasse non ha fatto la fatidica gavetta. Purtroppo stiamo andando avanti da anni con questi concetti, senza renderci conto che non è così. È inutile far fare la gavetta anche ai grandi calciatori usciti da Coverciano, consegnandoli a squadre minori, con giocatori mediocri, non in grado di far esaltare le loro idee, le loro conoscenze assorbite in 20 anni di calcio ad alto livello. Così in mancanza di risultati, vengono accompagnati all'esonero anche ex campioni ed ex idoli dei tifosi costringendoli a volte ad abbandonare il mestiere per dilettarsi come opinionisti o seconda voce nelle telecronache.

 

La gavetta voluta come indice di valutazione della bravura di ex grandi calciatori nella nuova professione di allenatori ha prodotto un cimitero di vittime: Giannini, Cabrini, Gentile, Giordano, Graziani, Di Biagio, Cuccureddu, Dossena, Galderisi, Bergomi, Tacchinardi, giusto per fare qualche nome. Invece, si stanno forse salvando in extremis: Nesta, Cannavaro e De Rossi, tutti e tre già con esoneri alle spalle. Al fotofinish l'ha scampata Gilardino, dopo qualche esperienza non fortunata in squadre minori. Per non parlare di Roberto Baggio, mandato a casa dal settore tecnico della FIGC perché con le sue 900 pagine di solo programma tecnico voleva cambiare il calcio giovanile facendo leva sulle sue esperienze di calcio giocato ad altissimi livelli. Sostituito dal solito Arrigo Sacchi il quale trascina dentro Maurizio Viscidi, ancora attuale responsabile di tutte le nazionali giovanili. Quello del calciatore è un mestiere diverso da tutti gli altri: prima lo si pratica, si guadagna, si conosce  il sistema calcio, si vivono a 360° tutte le vere situazioni di campo ed extracampo, poi, a fine carriera, si  studia. Andate a chiedere al diciassettenne  Yamal, la differenza che c'è tra un allenamento lattacido e uno alattacido: lui vi guarda, e se ha un pallone tra i piedi lo spedisce all'incrocio dei pali come risposta.

 

Signori, la gavetta si fa in campo: si parte dal settore giovanile, e poi chi arriva al professionismo per 20 anni si allena,  gioca,  vince,  perde,  si confronta con altri calciatori e i loro comportamenti. Si guardano gli allenatori quando vincono o perdono giocando con tutti i moduli, si conosce ogni centimetro del campo, tutti gli spifferi di spogliatoio, si conosce realmente cos’è la fatica, i tempi di recupero, i ritiri, si conoscono i presidenti uno diverso dall'altro, i comportamenti di chi non gioca, i giornalisti, i procuratori, i preparatori atletici, le migliaia di spettatori da soddisfare, gli applausi, i fischi, gli infortuni, i caratteri diversi dei calciatori. Dopo tutte queste esperienze vissute in prima persona, che chi non ha giocato non potrà mai avere, a fine carriera si studia, e si impara tutto ciò che non ha niente a che fare con il calcio giocato. I test di Cooper, di Gacon, lo yo-yo test, le pulsazioni cardiache, i globuli rossi, bianchi…col cronometro in mano valutano la velocità sui 10-20-30 metri. Tanto poi, giocano sempre i più bravi.

Ma torniamo al nostro Gianni Rivera, il quale, con determinazione si presenta agli organi federali e si propone come CT della Nazionale al posto del dimissionario Mancini suscitando nei presenti imbarazzo e, come lui stesso intuisce, di essere persona scomoda. Il suo curriculum:  esordio a soli 15 anni in Serie A nell'Alessandria, 658 presenze nel Milan, 164 reti segnate, Campione d'Europa, 2 coppe dei Campioni, 2 coppe Uefa 4 Coppe Italia, 2 Coppe Intercontinentali, Pallone d'oro 1969, 60 presenze in Nazionale, 14 reti; da sempre allenatore sul terreno di gioco, direttore d'orchestra a metà campo, e primo violino in zona gol. Non basta, manca  la gavetta, non  è aggiornato (nonostante il Master Uefa Pro). Pensate, ad una domanda rivoltagli da un giornalista: «Senta Rivera, lei cosa ne pensa di Donnarumma che fa partire il gioco dal basso?» Risposta: «Io non lo farei, con la palla tra i piedi avere 10 avversari davanti non è come averne 5». Solo per questa risposta meriterebbe la Nazionale italiana.

No, il nostro Rivera, preso come esempio, non può guidare la Nazionale. Non ha iniziato il suo percorso d'elite da allenatore magari del Fusignano, l'Alfonsine, il Bellaria, il Cesena (Primavera), il Rimini, le giovanili della Fiorentina, il Parma in C e B, finalmente il Milan dove un Presidente miliardario ex allenatore della Edilnord (che già praticava il 4-3-3) gli ha cambiato la vita. Questa si che è gavetta di un tecnico che, come già scrissi, non ha mai risposto a Marco Van Basten il quale disse: «Noi al Milan abbiamo vinto tutto nonostante Arrigo Sacchi».

  

Ora passiamo a Del Piero, sempre come esempio, che dopo aver conseguito il Master non ci risulta abbia ricevuto nessuna chiamata di una grande squadra. Anche per lui ci vuole la  gavetta? Non basta essere stato un grande campione da 19 stagioni in bianconero (11 da capitano), 705 partite, 290 reti, 6 campionati italiani, 1 Coppa Italia, 4 Supercoppe Italiane, 1 Coppa Uefa, 1 Campionato di Serie B, 1 Supercoppa Uefa, 1 Coppa Intercontinentale, 91 presenze in Nazionale (Campione del Mondo), 27 reti segnate. Nonchè un fantasista dall’eccellente controllo di palla, grandissima inventiva, specialista nei calci piazzati, grande realizzatore, freddo nei momenti decisivi e potremmo andare ancora avanti a lungo.

 

Bravo Del Piero, ma tutto ciò che hai fatto non basta: manca la gavetta, magari quella che ha fatto Sarri, che inizia come calciatore, poi allenatore di una squadra de Seconda Categoria, lo Stia, poi Faellese, Cavriglia, Antella, Tegoleto, Valdemia, Sansovino, Sangiovannese (dimesso), Pescara in Serie B (dimesso), Arezzo (esonerato), Avellino (esonerato), Hellas Verona (esonerato), Perugia (esonerato), Grosseto, Alessandria, Sorrento (esonerato), Empoli (vinti 2 campionati di C e B), Napoli, Chelsea (vinta l' Europa League), Juventus (vinto il campionato) e Lazio. Bravo Sarri, che fatica però senza aver mai giocato! Questa si che è gavetta, ha lasciato un posto sicuro da bancario, forse ispirato dalla canzone di Gianni Morandi «Uno su mille ce la fa, ma quanto é dura la salita».

Ma il nostro Del Piero, che se domani entrasse in uno spogliatoio di una big o in nazionale come allenatore, tutti si alzerebbero in piedi ad applaudirlo ancora prima di iniziare, lui non può allenare subito ad alto livello. No! La gavetta ai Gianni Rivera o ai Del Piero no, vi prego! Date loro subito squadre top e campioni in campo da gestire, e vedrete i risultati. La gavetta non esiste, sono i bravi calciatori che in qualunque categoria fanno la differenza. Diamo subito le grandi squadre in mano ai campioni che hanno lo status per affrontare un mestiere difficile e insicuro come quello del coach. La gavetta lasciamola agli Arrigo Sacchi e ai Maurizio Sarri.

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