Il personaggio
14 Gennaio 2025
IL PERSONAGGIO: Yannick Bright ora gioca all'Inter Miami
Un libro, una pellicola retro, un manuale, un geroglifico inciso sulla pietra e lasciato ai posteri. In tre parole: una storia bellissima. Una storia che collega l'Italia all'America, un filo rosso legato a tante puntine in giro per il mondo: una sta a Zibido San Giacomo, una a Settimo Milanese, una ad Arconate e una laggiù, dove forse nessuno se lo sarebbe aspettato, a Miami. Mappamondo alla mano, dunque: c'è un filo rosso da riavvolgere con cura. Passo passo, tappa dopo tappa, per non perdersi neanche una virgola. Manca un elemento soltanto, forse il più importante: il narratore. E allora, la presentazione: Parla Yannick Bright, un ragazzo come tanti, uno che come molti ha custodito con cura il suo sogno nel cassetto di giocare a pallone. La differenza con tutti gli altri? Tra tanti alti e bassi, tra pochi "sì" e una miriade di "no", tra tante porte chiuse e spiragli sottilissimi dentro i quali infilarsi, alla fine Yannick è tra quelli che ce l'hanno fatta. Lo si capisce dallo stemma che porta sul petto, dalla maglia che veste, dai numeri che ha collezionato e dal fatto che il suo spogliatoio lo divide - tra gli altri - con Lionel Messi. Sì. Tutti indizi abbastanza eloquenti.
Questione di percentuali bassissime, questione forse di numeri infinitesimali. D'altronde, in quanti possono dire davvero di aver fatto del calcio il mestiere di una vita? Tra l'altro, pareva proprio che il destino fosse piuttosto avverso: l'inizio in una piccola realtà alle porte di Milano (lo Zibido San Giacomo), il morbo di Schlatter a rovinare la festa, il lungo periodo di stop forzato... Lo dicevamo: all'inizio pochi alti e tanti bassi (alcuni anche bassissimi, come i provini andati male con Milan, Inter e Atalanta). Ci voleva una certa testa dura per non mollare. O un filo di follia, dipende tutto dai punti di vista. Fatto sta che Yannick il suo sogno nel cassetto non ci pensa neppure a lasciarlo indietro: comincia a coltivarlo allo Zibido, lo annaffia sotto l'ombra delle tribune di via Kennedy con la maglia dell'Alcione, lo fa esplodere finalmente al Seguro.
Non serve inventarsi nulla, lo ha detto lui papale papale: «A Settimo Milanese ho ritrovato la voglia e mi si è riaccesa la passione». Al Seguro il gruppo funziona, la squadra è forte, arriva la gloria della vittoria e qualche ottima soddisfazione. È quello che serve per riaccendere una scintilla mai del tutto spenta, ma ormai vessata da tante ventate cha avevano rischiato di farla sparire. Le stagioni lì sono un toccasana per il sogno nel cassetto, che esce dagli anni di Settimo rimpolpato e in ottima forma. Ma c'è ancora un'altra tappa intermedia prima che le cose comincino a farsi davvero interessanti. Dal vivaio dei blues alla Juniores dell'Arconatese è un attimo: sembrava davvero che le cose stessero andando finalmente per il verso giusto, con il talento classe 2001 che già pregustava le possibilità offerte dalla vetrina di uno sbocco in Serie D. E poi... altra ventata gelida: la panchina. Per uno che sognava di spaccare il mondo a suon di assist e marcature strette (Yannick gioca a centrocampo, ma la propensione è quella difensiva) la lontananza dal rettangolo verde è deleteria. Comincia a fare male questo sogno nel cassetto che pare non riuscire a prendere il volo. E un dubbio si insinua nelle crepe lasciate da tante speranze disilluse: che sia forse il caso di lasciare perdere?
La differenza sta tutta qua. È la differenza tra chi ci riesce e chi no, tra chi arriva e chi si ferma. «Due or die», proprio come approccia ogni singola partita da quando è arrivato a Miami. Finisce la frase con uno switch veloce di lingua, usa l'italiano per far passare bene il messaggio: «Lo dovevo a me stesso». Per tutti quei "no", per tutte quelle porte chiuse, per tutte quelle volte che quel ragazzino con un sogno scorreva la lista dei convocati e non trovava il suo nome. Ora invece il suo nome sta di fianco - tra i titolari! - ad assolute leggende del calcio come Messi («È uno che sta per le sue, è un bravo ragazzo che è rimasto umile: se non sai chi è, non diresti che è il miglior giocatore della storia») e Busquets («Gioca nel mio stesso ruolo: non avrei mai pensato di poter entrare in squadra, e invece...»). Come è strana la vita, eh? A volte serve davvero aggiungere quell'ultima puntina - magari dall'altra parte del mondo - per sbrogliare il filo rosso e dare un lieto fine a ogni singolo sacrificio. All'Inter Miami quel mediano con la testa dura che arriva dall'Italia colleziona 25 presenze in MLS (Major League Soccer), 4 in Leagues Cup e serve due assist deliziosi che lo consacrano (il tutto con una laurea in Finanza appesa in bacheca come piano B, cose da nulla insomma...). Tutto bellissimo, ma «ora non posso star a guardare il passato, voglio fare un’altra stagione al top come ho fatto nell’ultima. Da qui a un anno voglio avere 30 presenze, vorrei comparire due volte nel team della settimana, spero di vedermi con dei titoli, con un nome mio che le persone guardino con rispetto». È il sogno nel cassetto che prende forma e si trasforma finalmente in qualcosa di reale.
Un po' come un tuffo nel passato. Il 20 dicembre 2024, Yannick era a Milano - la città che lo ha visto nascere e crescere - sulle tribune di uno Stadio Breda gremito di gente per quella che era la partita dell'anno. Alcione - la sua vecchia maglia - contro Atalanta, una delle strade che gli si erano chiuse davanti anzitempo. In campo c'è il fratello, Kevin. È uno degli inamovibili di Cusatis, una delle stelle più luminose di questa Serie C italiana. «Spero che anche lui riesca a trovare la sua strada: ci supportiamo sempre, mi aggiorna sul suo campionato e io gli parlo del mio». Sulle tribune ci saranno stati anche loro, Oliver e Antonella, papà e mamma, quelli che «ci hanno creduto più di tutti, forse solo escluso me stesso». Sul polso l'inconfondibile elastico di Tasmin, la fidanzata, l'immancabile porta fortuna. Forse proprio quell'elastico lo riporterà nel vecchio continente un giorno: «Ora sono concentrato su Miami, ma mi piacerebbe poter giocare per in Europa. Mai dire mai...». In fondo, tutta questa storia è un grande "mai dire mai" urlato contro destino, stelle, vita e compagnia cantante, con quel filo rosso a tracciare il sentiero di ogni singola avventura. Dove sarà la prossima puntina?