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Il Pungiglione

Il Vangelo del calcio contemporaneo

Quando i dieci comandamenti vengono a mancare

Il Vangelo del calcio contemporaneo

IL PUNGIGLIONE • Dan Ndoye è tra i protagonisti della rubrica a cura di Guido Mattei di questa settimana

Atalanta-Lazio, al 9' del secondo tempo una long ball (palla lunga) del portiere della Lazio Cristos Mandas, calciata nella zona"POMO"(posizione di massima opportunità ), invita Isaksen a tagliare il campo da destra verso il centro; Kolasinac, difensore dell'Atalanta, distratto, va a sbattere contro il suo compagno di reparto Hien, condizionando il suo intervento su Dele-Bashiru, il quale confeziona l'assist per Isaksen libero di gonfiare la rete dell'incolpevole Carnesecchi.
Bologna-Napoli, al 19' del secondo tempo Odgaard, dopo buone giocate, ha la bravura di dosare l'assist a Ndoye che andando incontro alla palla effettua una deviazione con l'interno del piede sinistro dietro la gamba d'appoggio destra, ed è gol (non è un colpo di tacco).
Queste due giocate (così come per altri due argomenti già da me precedentemente trattati in altri due articoli: L’Italia non è andata ai mondiali per una giocata POMO e Il colpo di tacco non esiste ma nel calcio fa spesso gol), a sette partite dalla fine del nostro campionato di Serie A, ahimè, fanno fallire progetti, ridimensionano obbiettivi importanti, creano dubbi sui valore delle rose, mettono in discussione allenatori e fanno traballre anche il vangelo del calcio con i suoi dieci comandamenti. Eccoli: 1) Avere forti motivazioni 2) Uno spirito di gruppo 3) Gioco collettivo 4) Cuore e pressing 5) Palla rasoterra 6) Possesso palla a metà campo 7) Passaggi corti veloci e precisi 8) Attacchi negli spazi vuoti 9) Mantenere la compattezza 10) L'umiltà che è figlia dell'intelligenza.
Che meraviglia, il calcio si disinteressa di tutto ciò, pur recitando ogni domenica a memoria i dieci comandamenti, si diverte a renderli inutili, a volte dannosi, una long ball e una giocata estrosa mandano in crisi una squadra (Atalanta) e allarmano la corsa di una favorita allo scudetto (Napoli). Sai che rabbia per i teorici da computer, per i tattici, i mental coach, i match analyst, non poter prevedere situazioni di gara improvvise, impossibili da allenare, o un numero talentuoso che nasce improvvisamente da un talento naturale, ai quali si arrende anche l'intelligenza artificiale.
Ai Sacchiani, Zemaniani, Sarriani, De Zerbiniani, dico che il calcio è si uno sport di squadra, ma le Coppe si alzano solo se nel collettivo ci sono giocate e momenti individuali dei grandi fuoriclasse. Nei 90 minuti si trova sempre un solista che sovverte la tattica disegnata alla lavagna, dove lì sì che i grandi campioni  si possono marcare con il gessetto. Loro si disinteressano del gioco di squadra. Bisognerebbe far ritornare di moda alcuni schemi del passato, occupare bene tutto il campo a zona, e affidarsi solo  a quelli che sanno giocare bene.
Il centrocampo è sempre stato un settore zeppo di traffico, numerosi allenatori lo riempiono di atleti senza tecnica, agilità, destrezza, e di conseguenza tamponamenti, falli continui, interruzioni del gioco a discapito dello spettacolo. Oggi si dà la regia a chi non sa creare legami tecnici con tutta la squadra: fin da giovane, se con i piedi non sai soddisfare le tue idee, a centrocampo non puoi giocare, punto e basta. Se prima era il centrocampo la zona più importante per dominare una gara, adesso qualche allenatore che pensa esclusivamente al risultato si interessa meno della metà campo, ma lavora  per migliorare tutto quello che i propri giocatori possono dare di se stessi nelle due aree, offensiva e difensiva (è lì che ci sono in ballo i tre punti).
Per concludere, fidatevi, le vittorie delle più grandi squadre di tutti i tempi, come il Real Madrid, il Milan, l’Inter, la Juventus, il Benfica, l’Aiax, il Liverpool, il Manchester, il Bayern di Monaco non sono dovute al collettivo, alla preparazione atletica, o al sistema di gioco ideato dai loro tecnici, ma esclusivamente alla enorme classe dei loro singoli calciatori.
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