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L'Italia parcheggia il talento: da Antonelli a Camarda, è sempre un problema di cultura

Il pilota classe 2006 in Sauber come il 2008 nel Milan Futuro: anche quando il talento c'è, non viene aiutato

L'Italia parcheggia il talento: da Antonelli a Camarda, è sempre un problema di cultura

Andrea Kimi Antonelli e Francesco Camarda, due giovani "vittime" di un modo tutto italiano di trattare il talento

«Antonelli? È veloce, non sbaglia, sta crescendo e poi è di Bologna! Peccato che guidi la Mercedes. Io lo avrei preso volentieri, lo avrei parcheggiato per un paio d'anni sulla Sauber e poi melo sarei ripreso»

Avete appena letto le dichiarazioni rilasciate ai microfoni di Sky da Luca Cordero di Montezemolo durante il weekend del 4° Gran Premio del mondiale di F1 sul circuito del Bahrain. Per i pochi che non lo conoscono: Presidente della Ferrari tra il 1991 e il 2014 e ben 14 titoli tra piloti e costruttori. L'ex Presidente del cavallino sta parlando di Andrea Kimi Antonelli: pilota che, dopo l'addio di Antonio Giovinazzi alla Alfa Romeo a fine 2021, ha riportato l'azzurro in Formula 1, che ha rimesso un italiano al comando di un GP e che, verosimilmente già in questa stagione, riporterà il tricolore sul podio. Il bolognese classe 2006, a giugno per lui sarà Esame di Maturità, è la risposta Mercedes all'addio, direzione proprio Ferrari, di Lewis Hamilton.

Penserete voi: «Ma ho aperto Sprint e Sport o MotorSport?». Oppure: «Ma cosa c'entra con il calcio Montezemolo, la Formula 1 e Antonelli?». Un attimo e proviamo a spiegarvelo. La dichiarazione di Montezemolo è lo specchio dell'Italia. Non l'Italia delle monoposto. Non l'Italia del calcio. L'Italia, tutta. In qualsiasi ambito. Perché siamo così: abbiamo pochi talenti, quelli che abbiamo li "parcheggiamo" in Serie B, Serie C, poiché abbiamo l'ossessione dei risultati e i giovani, da sempre, sono sinonimo di errori e cattivi risultati. Ecco a voi i risultati: Antonelli 6° nel mondiale di F1 con 30 punti, davanti a Hamilton solo 7° con 25 punti.

IL TALENTO, SE C'È, VA AIUTATO

Siamo tutti d'accordo che Mancini per trovare un po' di gol è dovuto volare in Argentina per naturalizzare Mateo Retegui e che di Lamine Yamal italiani non c'è manco l'ombra. Ciò significa, e i nostri amatissimi risultati sono lì che lo dimostrano con i due mondiali mancati di fila, che talento giovane ce n'è poco. Tuttavia, non è tutto da buttare e Alessio Vacca, Diego Pugno, Tommaso Gabellini, per citare solo ragazzi di Juve e Toro che seguiamo settimanalmente, sono esempi lampanti. Non avremo Lamine Yamal, e qui bisognerebbe aprire una parentesi sul fatto che negli ultimi 20 anni i maggiori fenomeni del calcio sono nati tutti al di fuori dell'Italia, ma abbiamo dei talenti. Talenti che a 16 anni, come nel caso di Francesco Camarda, non sono pronti per fare a sportellate con i difensori di Serie A, ma che con il giusto mix di dedizione al lavoro e fiducia di società e allenatore possono diventare grandi.

Il discorso vale anche per i "nostri" dilettanti: il talento, se c'è, va aiutato. Nella Scuola Calcio e nel Settore giovanile tutti, nessuno escluso, pensano solo al risultato. Forse durante gli allenamenti si provano determinate cose, con il fine del miglioramento del singolo ragazzo o all'interno di un sistema di squadra, ma la domenica alla prima difficoltà ciò che si è provato va a farsi benedire. Nelle prime squadre invece i giovani vengono letteralmente "usati". Finché sei fuoriquota sei utile, poi o sei davvero forte e fortunato o il tuo futuro non è così roseo. Per coltivare il talento servono strutture idonee, allenatori preparati, società all'avanguardia e, cosa più importante di tutte: bisogna cambiare la nostra cultura. La cultura che fa dire a Montezemolo che Antonelli lo prenderebbe volentieri, ma lo parcheggerebbe per 2 anni in Sauber a farsi le ossa. Dobbiamo cambiare e capire che i tempi sono cambiati: non siamo più un punto d'arrivo, ma di passaggio. Il talento non possiamo più acquistarlo all'estero, però possiamo crearcelo in casa.

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