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17 Luglio 2025
Pantaleo Corvino, responsabile dell'area tecnica del Lecce che poche ore fa ha denunciato a Radio Sportiva uno dei più grandi problemi del calcio italiano
«Ci rubano i calciatori fin dall'età di 12 anni, per questo il calcio italiano non può crescere!». La denuncia arriva da Pantaleo Corvino, attualmente Responsabile dell'area tecnica del Lecce, intervenuto pochi minuti fa a Radio Sportiva e protagonista di un acceso dibattito con Ciccio Graziani, ospite fisso della testata per la rubrica quotidiana Il Processo di Sportiva.
Incalzato dallo stesso Ciccio Graziani che ha ribadito come i nostri club e in particolare quelli di Serie A non siano propensi a investire sui giovani italiani, Pantaleo Corvino, che ha da poco preso dal Milan il wonderkid classe 2008 Francesco Camarda, ha risposto con un'accusa mirata: «In Italia si critica tanto il modo di lavorare di noi direttori e responsabili tecnici, ma la realtà è molto più complessa. Vi posso assicurare che se nel nostro paese, a Lecce, a Verona a Reggio Emilia o dove volete, ci fossero calciatori forti, noi saremmo i primi a prenderli e a investirci tutte le nostre risorse. Il problema è che non ci sono. Non ci sono nel senso che quelli forti vengono presi dai grandi club sin dalla tenera età. A 12 anni, le norme attuali del nostro ordinamento sportivo e calcistico permettono a una società che fa gola di andare in Salento e portare via ragazzini che invece dovrebbero poter crescere serenamente da noi e magari fare poi lo step in grandi club soltanto a livello di prime squadre. È questo il motivo per cui il Lecce, due stagioni fa, ha vinto un campionato Primavera con 11 stranieri in campo. Ci vuole molta attenzione nella critica, perchè è vero che le critiche fanno bene a noi per crescere, ma bisogna stare molto attenti a sapere ciò di cui si parla».
La risposta di Ciccio Graziani è stata in accordo con le parole del direttore Corvino: «La mia non è una critica diretta al Lecce e e ai nostri direttori sportivi. È giusto che voi facciate il vostro mestiere nel modo migliore per quelle che sono le norme che a oggi vi impediscono di agire diversamente. Il mio è un discorso più ampio, per far sì che torniamo ad avere i grandi campioni in Italia, bisogna avere un occhio di riguardo in più verso i nostri ragazzi che, ti assicuro, ci sono».
Difficile dare torto a Corvino, così come è giusto pensare che tutti gli addetti ai lavori possano effettivamente fare di più nei confronti dei nostri ragazzi. Dalle questioni tecniche agli aspetti burocratici, le problematiche sono tantissime e per questo tutti dovrebbero cercare di lavorare nella stessa direzione, ma i club si scontrano spesso con le esigenze di bilancio e finiscono per avere le mani legate. Sempre Corvino, ha infatti aggiunto un punto molto interessante: «Se qui al Lecce avessi lavorato esclusivamente sui ragazzi del Salento, non avrei mai potuto consentire alla società di incassare decine di milioni da cessioni come quelle di Dorgu, Hjulmand, Pongracic, Gendrey e magari questa estate da Krstovic. In un mondo in cui vigono le regole della globalizzazione in tutti i settori, anche quello del calcio non può essere imbrigliato in una logica del "local" e del chilometro zero a tutti i costi, non può esistere».
Parole alle quali è seguita ancora una controbattuta da parte di Ciccio Graziani: «Il discorso di Corvino è condivisibile ma resta il fatto che, almeno per me, avere il 68% di calciatori stranieri nel campionato di Serie A è un problema. Non si può pensare di tornare grandi con queste cifre». Anche questo un pensiero condivisibile, ma è chiaro che il dibattito è aperto e ognuno tenti di tirare acqua al proprio mulino. Se i tifosi italiani come è ormai Graziani vorrebbero tornare a vedere una Nazionale che domina i tornei internazionali, allo stesso tempo i direttori sportivi devono fare le fortune, prima di tutto economiche, dei club per cui lavorano. La logica del mercato resta in ogni caso quella prevalente, e allora ecco che la normativa di riferimento che consente ai club più grandi di attirare e portare via anche ragazzi di 12 anni senza pagare davvero le società, appare in contrasto con la meritocrazia e l'abilità dei club più piccoli di crescere giovani di talento. Se un giovane bravo è cresciuto nel Lecce, il Lecce dovrebbe sempre avere quantomeno la possibilità di ricavare dei soldi in caso di sua partenza. Se si arrivasse mai a un risultato di questo tipo, forse sarebbe il caso di obbligare i club a reinvestire le somme ricavate in infrastrutture, sviluppo dell'area tecnica e spese mirate di questo tipo, più che nell'acquisto di altri calciatori in giro per l'Europa. Anche questo però significa andare contro le leggi del mercato, e a questo punto uscirne vivi diventa davvero complicato. L'unica cosa certa è che finché il vincolo sportivo resterà aperto, i calciatori saranno liberi di circolare come il mercato vuole e le società continueranno a non voler davvero investire sui settori giovanili.