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L'intervento

Balotelli scuote i vivai: «I ragazzini fanno un tunnel e vanno in castigo». Fantasia sotto scacco?

L'ex Inter e Milan critica i settori giovanili: troppa tattica, poca possibilità di esprimersi

Mario Balotelli

Ma davvero in Italia un tunnel vale una punizione più di un cattivo controllo? Se lo chiede, anzi lo urla senza microfono, Mario Balotelli. E quando “Super Mario” mette palla a terra e dribbla il tema, difficilmente sbaglia porta. Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l’ex attaccante di Inter, Milan e Nazionale ha lanciato una palata vigorosa sul campo dei vivai, graffiando il calcio moderno con un’accusa semplice e tagliente: «Non seguo la tv, non mi aggiorno». Eppure, anche da spettatore disincantato, vede una Serie A che non gli assomiglia più, troppo ingessata, troppo poco innamorata dell’imprevisto.

«UN TUNNEL E FINISCI IN CASTIGO»
Il cuore del suo sfogo è una fotografia nitida: «In campo vedo tanti atleti alti 1,90 metri, ma nessuno salta più l’uomo. anche perché adesso appena i ragazzini fanno un tunnel finiscono in castigo». È una frase che pesa come un cartellino rosso. Cosa c’è dietro? L’idea che la creatività sia diventata un rischio da contenere, non una risorsa da coltivare. Il tunnel – simbolo di audacia e personalità – ridotto a peccato originale nei settori giovanili. Si predica il controllo, si punisce l’intuizione. E così il dribbling, una volta scintilla che accendeva la curva, oggi sembra un fiammifero vietato nello spogliatoio.



LA DERIVA ATLETICA E LA PERDITA DELL’UNO CONTRO UNO
Balotelli descrive campi popolati da “giganti” da 1,90, macchine perfette per atletismo e duelli aerei, ma poco avvezze a romperla, quella benedetta linea, con una finta o un cambio di passo. Domanda retorica: a furia di correre lineari, chi porta palla in verticale quando la partita scotta? Il calcio di oggi – nel suo racconto – ha messo il bilanciere sopra al pallone, privilegiando schemi e condizione fisica. Il risultato? L’uno contro uno è diventato merce rara, un gesto quasi controcorrente, come giocare a testa alta in un labirinto di automatismi.

VIVAI TRA TATTICA E TECNICA: LA SCINTILLA CHE SERVE
Il dibattito è antico come un derby: formare prima il soldato o l’artista? Nei vivai, sostiene Balotelli, “un dribbling di troppo” può trasformarsi in un rimprovero. L’errore tecnico letto come eccesso di individualismo, l’azzardo scambiato per arroganza. Ma senza libertà d’inventare – questo il suo appello implicito – non germogliano i giocatori capaci di spaccare le partite. In fondo, lo sappiamo tutti: il calcio vive di schemi, sì, ma campa di straordinarietà. E quella nasce spesso da un tentativo fallito ieri che diventa aprendistrada domani. Se il ragazzino non sbaglia, come imparerà a scegliere? Se non osa, come scoprirà la misura del suo talento?



IL BIVIO DI UNA CARRIERA: BARCELLONA NELL’ORIZZONTE, INTER NEL DESTINO
C’è anche una pennellata personale che rende il quadro più umano. Balotelli apre una finestra sul suo passato: «Anche se mi è rimasto un sogno, quel periodo passato a Barcellona, poi Moratti offrì di più al Lumezzane e passai all’Inter». Un ricordo che spiega molto. C’è il fascino del Barcellona, che nell’immaginario collettivo è scuola di tecnica e di coraggio, e poi c’è l’intervento decisivo di Massimo Moratti, il presidente che strappa il talento al Lumezzane e lo porta all’Inter. Sliding doors di una carriera che ha diviso e acceso discussioni, ma che nessuno può accusare di essere stata banale. E che oggi, proprio per questo, ha titolo per dire: lasciate giocare i ragazzi.

SERIE A, SPECCHIO DI UN CALCIO PIÙ CALCOLATO?
Quando Balotelli dice che “non segue la tv”, non va letto come un ritiro sull’Aventino. È piuttosto la misura di un distacco emotivo: il suo calcio – fatto di strappi, trucchi da strada e strappi ancora – non riconosce più se stesso in una Serie A che si è fatta cattedra di tattica. È davvero il progresso? O è una deriva che ci farà rimpiangere i numeri dieci di provincia, gli esterni col piede caldo, i centravanti capaci di cucire e strappare? Domande che suonano come cori dalla gradinata. E che chiamano in causa chi allena e chi educa: un giovane cresce se lo liberi dalla paura di sbagliare, non se lo blindassi nel copione.



IL PESO DELLE PAROLE E LA RESPONSABILITÀ DEL SISTEMA
Quando a parlare è chi ha assaggiato il top in Serie A e in Europa, l’eco non è un rimbalzo qualunque. Non si tratta di nostalgia fine a se stessa, ma di un checkpoint necessario: stiamo ancora insegnando a saltare l’uomo o stiamo educando a non provarci? Le accuse possono anche dividere, ma il pallone, alla fine, chiede sentenze semplici: chi osa crea superiorità. E chi crea superiorità cambia le partite. Se i vivai rimettono al centro questo principio, torneremo a vedere campioni che fanno alzare la gente in piedi per una finta, non solo per un gol. Balotelli ha servito l’assist: ora tocca al sistema andare in porta. Le sue parole, raccolte da La Gazzetta dello Sport e rilanciate come un cross teso, invitano tutti – allenatori, dirigenti, formatori – a rimettere la fantasia al centro del progetto. Perché il calcio, senza coraggio, diventa soltanto una corsa a ranghi serrati. E chi ama questo gioco lo sa: la corsa è il ritmo, ma è il dribbling che dà la melodia.

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