Quando il grande calciatore Cesc Fabregas, adesso allenatore, capirà che è stato lui, insieme ai grandi campioni con cui ha giocato, nell'Arsenal prima, Barcellona poi, Chelsea dopo, a fare diventare famosi i loro coach, quelli che in tutto il mondo vengono riconosciuti come i vincenti, Arsène Wenger, Pep Guardiola, Luis Enrique, José Mourinho, Antonio Conte, mi auguro che per lui non sia troppo tardi. Questa mia premessa è necessaria per affrontare adeguatamente un tema di difficile svolgimento come quello dell'allenatore.
Cesc Fabregas è stato invitato come docente a Coverciano per intervenire al Master 2025 per allenatori di prime squadre. Il suo successo nel Como (salvezza e spettacolo) l'ha fatto diventare in poco tempo uno dei mister più ricercati non solo in Italia ma anche in Europa. Tutti a voler conoscere, studiare le novità, le strategie tattiche, le sue innovazioni e il modo di allenare. Insomma conoscere l'uomo del momento, colui che ha ringiovanito il calcio gettando via tutto ciò che era vecchio, diventando in un solo anno un fenomeno, tanto da farlo salire in cattedra a Coverciano per spiegare il suo calcio che guarda avanti con metodi moderni, frutto di studi e aggiornamenti continui. I corsisti, tutti futuri allenatori professionisti - da quanto ho letto - sono stati folgorati da alcune sue frasi che personalmente ritengo intelligenti, ma vecchie e banali: «Nel calcio come nella vita il cambiamento è l'unica certezza». Mi spiace Fabregas, ma nel calcio professionistico l'unica certezza la dà la vittoria, in qualunque modo la si ottenga, anche con la tattica più sballata, confusionaria, ma che ti fa uscire dal campo vincente, diventa subito materia di studio dei teorici da scrivania, e opinionisti in onda su tutte le televisioni nel dopo-risultato. Mi auguro che Fabregas non si prenda troppo sul serio, e non dimentichi mai i momenti individuali, suoi, e dei grandi fuoriclasse con cui ha giocato, i quali, insieme a lui si sono disinteressati delle novità tattiche dei loro allenatori, sì bravi, ma diventati i numeri uno grazie a loro. Fabregas nella sua grande carriera giocò con grandi campioni che insieme a lui resero famosi i loro allenatori e i loro moduli, uno diverso dall'altro. Cito ad esempio con chi giocò il grande Cesc. 2003-2011 Arsenal: Thierry Henry, Patrick Vieira, Robin van Persie. 2011-2O14 Barcellona: Lionel Messi, Xavi, Iniesta. 2014-2019 Chelsea: Diego Costa, Eden Hazard, John Terry.
La seconda frase che ha colpito i corsisti dell'ormai eletto professore, è quella contro chi sostiene il “Si è sempre fatto così”. Invece no, dice Fabregas, bisogna aggiornarsi, scorrere al passo coi tempi sempre più veloci. In realtà, questo concetto giusto e veritiero era già in vita negli anni ’60 e diceva: "Ho sempre fatto così, non deve essere un pregio, ma un grave difetto". Terza frase: «Prima di ogni partita mi pongo sempre una domanda: come voglio perdere? Con il pallone tra i piedi? Cercando soluzioni diverse per attaccare, o perdere lo stesso senza tentare di attaccare». Anche questo concetto è vecchio come il cucco, avevo 10 anni, ricordo il mio primo allenatore (il prete dell'oratorio) che diceva: «La miglior difesa è l'attacco, su forza ragazzi, attaccate!». Adesso i geni del calcio parlano di attaccare gli avversari non solo nell'area alta di porta, ma anche nell'area bassa di porta (Maurizio Sarri), fanno tutti a gara nel ricercare parole o frasi ad effetto, che nel calcio però non fanno gol.
Penso che Fabregas sia stato tirato dentro troppo in fretta, ho visto passare tante meteore riconosciute come innovatori, inventori di una scienza che il calcio non è, e finire presto dimenticati dagli stessi che prima li osannavano. Porto come esempio le fiammate di tre allenatori senza un passato da calciatore che dovevano stravolgere il calcio.
Corrado Orrico, Inter 1991/92 - Intendeva far giocare l'Inter come la sua Lucchese, portata in Serie B e poi sfiorata la Serie A, cultore della zona, voleva rielaborare il WM. Aldo Agroppi nel lontano 1992 su Orrico disse, (trascrivo alla lettera): «Orrico all'Inter farà bene, se capirà che l'allenatore è un servo inutile». Non lo capì, fuori da tutte le Coppe e dimissioni a fine girone di andata.
Gigi Maifredi, Juventus 1990/91 - Astro nascente, zona totale, calcio champagne e gabbia. Risultati? Fuori da tutte le Coppe ed esonero a fine stagione.
Andrea Stramaccioni, Inter 2012/13 - Aveva solo 36 anni quando Massimo Moratti lo chiamò presentandolo come l'uomo della svolta, un predestinato. Assunto nel marzo 2012 in sostituzione di Claudio Ranieri, esonerato a maggio 2013. Fuori anche lui da tutto ciò che c'era da vincere.
Anche tre grandi campioni del recente passato, da tutti pronosticati con un futuro da grandi allenatori hanno subito la stessa sorte: Ciro Ferrara, chiamato dalla Juventus nel maggio 2009, sostituisce Claudio Ranieri e viene esonerato a gennaio 2010 per mancanza di risultati. Clarence Seedorf al Milan nel 2014 sostituisce Massimiliano Allegri nei cinque mesi finali. Ottavo posto in classifica ed esonero. Andriy Shevchenko al Genoa nel 2021/22 viene esonerato dopo poche settimane, i risultati non arrivavano.
Mi piacerebbe, sì, mi piacerebbe tanto che il Como di Cesc Fabregas senza grandi campioni imitasse il Cagliari di Gigi Riva e Scopigno, o il Verona di Osvaldo Bagnoli e di Nanu Galderisi, ma mentre scrivo mi viene in mente una bella canzone di Gianni Morandi: “Uno su mille ce la fa, ma quanto è dura la salita”. Concludo: lei Fabregas non leggerà mai questo mio articolo, ma se per caso succedesse, si ricordi che solo con giocatori come lei e quelli sopra riportati si fanno diventare grandi le squadre ed i loro tecnici. Non vorrei che lei, rimanendo a Como convinto di portare avanti un suo progetto tecnico-tattico venisse in seguito accompagnato dalla nobile fama “zemaniana” del perdente di successo.