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Serie B

Sente le urla e salva la vita a una turista accoltellata in strada, il centrocampista è un vero eroe

Il giocatore non ci ha pensato su due volte nell'intervenire, l'aggressore è stato poi arrestato dai Carabinieri

SAMPDORIA SERIE B - ALESSANDRO BELLEMO

SAMPDORIA SERIE B - Alessandro Bellomo, centrocampista classe 1995 alla seconda stagione in blucerchiato

Non sta scritto da nessuna parte che le giocate decisive si vedano solo sotto i riflettori di uno stadio. A volte la partita più importante scatta quando nessuno se l’aspetta, senza lavagna tattica né fischio d’inizio. È ciò che è successo ad Alessandro Bellemo, centrocampista della Sampdoria, che nel suo paese natale a Chioggia – mentre trascorreva una serata in famiglia – ha sentito le urla di una turista polacca. In quel momento, il pallone è diventato secondario: c’era una persona in difficoltà, e Bellemo, insieme al fratello, ha deciso di andare in pressing alto sulla paura. Interviene, aiuta, e di fatto le salva la vita. Poi la notizia che conta: dopo le indagini condotte dai Carabinieri è stato arrestato un uomo.



LA GIOCATA PIÙ IMPORTANTE, FUORI DAL CAMPO
La definizione non è un’iperbole: «La sua giocata più importante, seppure fuori dal campo». Perché quando un centrocampista lascia la comfort zone del campo e va oltre, trasferendo nel quotidiano i suoi istinti migliori – lettura, coraggio, tempismo – allora quella non è più cronaca sportiva, ma racconto umano. Bellemo, che era con la famiglia, ha soccorso la turista polacca di 34 anni rimasta vittima di un’aggressione da parte di un 25enne con problemi psichici. Il tempo di capire cosa stesse accadendo e la scelta: intervenire. Non per un titolo, non per una foto, ma perché certe scelte si fanno in diagonale, d’istinto, come una scivolata pulita da ultimo uomo quando l’avversario è l’ingiustizia.

ISTINTO DA CENTROCAMPISTA: LETTURE, TEMPI E CUORE
Che cos’è un centrocampista se non l’equilibrista della squadra? Quello che vede prima, che capisce dove scivola la partita, che anticipa. Serviva proprio questo: lettura rapida, tempi giusti, capacità di alzare il ritmo nel momento decisivo. Bellemo lo ha fatto dove non c’erano linee di fondo e bandierine, ma una strada e una richiesta d’aiuto. Il pallone qui diventa metafora: al posto del passaggio filtrante, un gesto che apre uno spazio di sicurezza; al posto di un tackle duro, una presenza ferma che interrompe un’azione pericolosa; al posto del gol, la cosa più preziosa, una vita aiutata.



IL VALORE CIVILE DEL GESTO
Si dice spesso che il calcio sia specchio del Paese: allora prendiamoci la parte migliore del riflesso. Il gesto di Bellemo racconta un’idea semplice e potente: essere cittadini prima che calciatori, persone prima che professionisti. A volte la differenza sta in una decisione in un secondo, e quella scelta ha un peso specifico enorme. Qui c’è una donna in difficoltà, una reazione pronta, e un epilogo che conta più di qualsiasi tabellino o di presenze tra Como, Pro Vercelli, Padova e Spal, le principali squadre della carriera del giocatore classe 1995: una vita salvata. E c’è anche un elemento che dà la misura della gravità dell’episodio: è stato arrestato un uomo. Le parole sono importanti, ma i fatti lo sono di più.

FAIR PLAY, QUELLO VERO
Il fair play non è un protocollo, è un riflesso dell’anima. Nel gesto di Bellemo c’è tutto il vocabolario del calcio tradotto in vita reale: il coraggio del contrasto, la lucidità del passaggio semplice (muoversi, aiutare, chiamare aiuto se serve), la verticalizzazione verso l’unica porta che conta: mettere al sicuro chi è in pericolo. Si potrebbe dire che ha mostrato la versione più pura del capitano, anche se la fascia qui non si misura al braccio, ma nel cuore. È il cartellino rosso sventolato, simbolicamente, alla violenza. È il VAR della coscienza che non ha bisogno di replay.



LA DOMANDA CHE RESTA NELLO SPOGLIATOIO DEL GIORNO
Qual è la nostra posizione in campo quando il destino lancia un pallone sporco in area? Difendiamo con coraggio, accorciamo, raddoppiamo, ci facciamo trovare? Bellemo, quella sera, ha dato l’esempio. E la risposta non è nelle statistiche, ma in una donna che oggi può raccontarlo. Il calcio, il nostro calcio, ogni tanto ci ricorda che le partite più belle non assegnano trofei, ma lasciano cicatrici buone: quelle della responsabilità condivisa. È la vittoria che non finisce in classifica, e proprio per questo pesa di più.

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