Quanto pesa un debutto in Nazionale a 16 anni? E cosa succede quando, dopo l’onda lunga dell’hype, ti ritrovi a giocare spezzoni, aspettando il varco giusto per riaffermarti? Simone Pafundi, classe 2006, trequartista con i piedi che sanno accendere la notte, queste domande non le evita: ci mette la faccia, le gambe e soprattutto la testa. Alla vigilia della sfida dell’Italia Under 21 contro il Montenegro (venerdì 5 alle 18.15 allo stadio Picco di La Spezia), seduto accanto al ct Silvio Baldini, ha parlato da grande, di quelli che hanno già capito che il calcio è una maratona con sprint improvvisi.
UN PREDESTINATO CHE HA IMPARATO A SOFFRIRE Il suo era il nome sussurrato a bassa voce nei corridoi dell’
Udinese, poi gridato al cielo di novembre 2022 quando
Roberto Mancini, con un colpo a sorpresa, lo spedì in Nazionale maggiore a soli 16 anni facendolo debuttare in amichevole contro l'Albania.
Monfalcone sul passaporto, fantasia in tasca, il talento di chi vede la giocata un attimo prima degli altri. Poi, però, è arrivata la parte dura della formazione: presenze centellinate in
Serie A, minutaggio ridotto, la corsa spesso in salita. È la parabola di tanti predestinati che scoprono presto il peso del palcoscenico.
Pafundi non lo nega e non si nasconde.
LE PAROLE CHE PESANO COME GOL Il tono è sereno, la sostanza è da leader che si costruisce giorno dopo giorno. «Io mi sento un giocatore tanto importante quanto tutti gli altri – ha dichiarato – e credo che ognuno di noi debba dare il massimo per una sana
competizione individuale e per fare squadra». Non è solo autopresentazione: è un manifesto tecnico e mentale. La sana competizione è il pressing alto applicato al proprio percorso, la squadra è la cornice in cui un 10 diventa uomo ovunque lo metti, tra le linee o largo per venire dentro col piede forte. E ancora, guardandosi allo specchio: «Riguardo al mio percorso degli ultimi anni, penso che di
errori ne ho fatti come tutti – ha ammesso – però sono uno che non ha mai mollato e continuerò a lavorare per gli
obiettivi che ho». Parole da spogliatoio vero, dove gli
errori sono palloni persi da trasformare nel recupero successivo. Il suo dribbling ora è sulla narrativa, non solo sull’uomo: trasformare le «battute d’arresto» in rincorsa.
LA SCELTA SAMPDORIA E L’ABBRACCIO DI GENOVA Per dare forma al rilancio, la curva l’ha fatta verso Genova. Dopo aver lasciato l’
Udinese in estate,
Pafundi ha scelto la
Sampdoria, una piazza calda e ambiziosa, che vibra e pretende ma sa anche aspettare chi mostra di saper sudare. «Quando ho avuto poche opportunità mi sono buttato giù, ma ora sono in una nuova piazza con persone che mi apprezzano e non vedo l’ora di far vedere quello che posso fare». La frase pesa come una carezza ai tifosi blucerchiati e come un promemoria a se stesso: fidarsi del processo, giocare semplice quando serve, accendere la luce quando il pallone chiede fantasia. Nel progetto di
Massimo Donati, poi, un
trequartista con istinto da raccordo e ultimo passaggio diventa un attrezzo prezioso nella cassetta: tra linee, nei mezzi spazi, a cucire corto-lungo. L’obiettivo è chiaro, ed è scritto nel suo orizzonte: diventare un punto fermo nella rincorsa alla promozione in
Serie A. La costanza sarà la sua partita più importante: continuità di scelte, ritmo, letture. Non basta un colpo d’esterno: servono 90 minuti di presenza, da squadra che ambisce al cambio di categoria.
L’OMBRA LUNGA DI MANCINI E LO SGUARDO A NUNZIATA Impossibile raccontare
Pafundi senza citare
Roberto Mancini. Quel battesimo a 16 anni non è un dettaglio da almanacco, è un imprinting: un commissario tecnico che scommette su di te quando il corpo è ancora in costruzione e gli occhi sono pieni di sogni. Oggi i riflettori si sono fatti più freddi, ma la riconoscenza resta: «
Mancini? Ho scelto la Samp perché ho pensato che potesse essere il posto giusto per dare una svolta alla mia carriera. Il mister l’ho sentito solo il giorno dopo che sono arrivato a Genova». Rispetto, gratitudine e una bussola rivolta in avanti. Accanto a
Pafundi, intanto, c’è
Silvio Baldini, il tecnico dell’Under 21, a garantirgli un contesto in cui il talento sia accompagnato da
responsabilità. Qui conta l’atteggiamento, la capacità di leggere le partite e di mettersi a servizio del collettivo.
LA VIGILIA AZZURRA: TRA MONTENEGRO E LIECHTENSTEIN, SERVE IL COLPO GIUSTO La fotografia è questa: alla vigilia della sfida con il
Montenegro,
Pafundi sorride, risponde e rilancia. La testa è sulle prossime tappe, magari già su quella con la
Macedonia del Nord, perché per rimettersi a correre non basta una partenza morbida: serve il passo del maratoneta con lo scatto dell’ala. È un bivio? No, è un rettilineo: dimostrare di poter essere determinante anche nei dettagli, nella gestione dell’ultimo passaggio, nella lettura di quando ricevere tra le linee e quando allungare in profondità. E che cos’è un 10 senza
libertà di inventare? È una domanda retorica che trova risposta nel campo. Ma la libertà, nel calcio dei grandi, te la guadagni con la
disciplina.
Pafundi questo lo sa. L’ha detto, l’ha ripetuto, e ora lo sta incarnando: lavoro quotidiano, fame, voglia di stare dentro le partite come si sta dentro una storia che non vuoi lasciare ad altri.