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Lascia la Juventus e va all'estero per giocare di più, per il terzino può essere il salto decisivo

Nella scorsa stagione i primi passi in prima squadra, ora il trasferimento per cercare maggiore continuità

JUVENTUS SERIE A - JONAS JAKOB ROUHI

JUVENTUS SERIE A - Jonas Jakob Rouhi, difensore classe 2004, nella scorsa stagione 5 presenze in Serie A e 2 in Serie C

A volte bisogna cambiare campo, leggere il gioco e infilare la traccia giusta nello spazio. Jonas Rouhi, terzino svedese classe 2004 cresciuto nella Juventus Next Gen, prepara le valigie e lascia Torino per una nuova avventura: destinazione Westerlo, club della massima serie belga. Un passaggio che profuma di scatto in profondità e di voglia di minuti veri, quelli che irrobustiscono le gambe e il carattere. E allora la domanda è spontanea: questo è il momento di spingere sull’acceleratore?



UN ADDIO CHE SA DI RIPARTENZA
L’operazione si farà con la formula del prestito con opzione per l’acquisto definitivo. Una scelta chiara, quasi un triangolo disegnato col goniometro tra ambizioni personali, progetto tecnico e prospettiva. Rouhi partirà nelle prossime ore, salutando una Torino che lo ha visto formarsi nel laboratorio bianconero della Next Gen e affacciarsi alla prima squadra. Dopo una stagione con sole 5 presenze in Serie A (e 2 nel team di Serie C), l’esterno mancino ha deciso di imboccare l’uscita giusta per trovare la sua autostrada.

IDENTIKIT ESSENZIALE: CORSA, MANCINO E FAME
Di Rouhi sappiamo ciò che basta per capire la direzione del vento: è un terzino, è svedese, è del 2004, è mancino e arriva dalla Juventus Next Gen. Un profilo moderno, chiamato a fare su e giù sulla corsia come un pendolo, attento dietro e propositivo davanti. Sei presenze nel calcio dei grandi sono un assaggio, un antipasto che stimola l’appetito. Ma per saziare la fame di campo servono continuità e fiducia, quelle che un passaggio in un contesto diverso può garantire. E quale contesto più stimolante di un club della massima serie belga come il Westerlo?



PERCHÉ WESTERLO È UNA SCELTA CHE PARLA CHIARO
Il Belgio è spesso una scuola severa ma illuminante per chi vuole crescere con il pallone tra i piedi. Il passaggio al Westerlo, con la formula del prestito e l’opzione per l’acquisto definitivo, traduce nero su bianco un’idea: testare il ragazzo ad alto livello, valutare la risposta e poi tirare le somme. È una mossa che tiene insieme presente e futuro. Se Rouhi spinge, corre, alza la cresta e dimostra di reggere il ritmo della massima serie belga, l’opzione potrà diventare concreta. Se servirà altro tempo, il prestito avrà comunque aggiunto esperienza, spessore e nuove letture del gioco. In ogni caso, palla al piede e testa alta: la corsia a sinistra aspetta di essere arata.

SEI PRESENZE NON BASTANO: IL BISOGNO DI MINUTI VERI
Dopo una stagione con poche apparizioni in prima squadra, è naturale cercare un ambiente dove le lancette scorrano sul cronometro personale. La crescita di un esterno mancino passa per la ripetizione di gesti e situazioni: uno contro uno, letture preventive, diagonali difensive, sovrapposizioni, cross dal fondo o tagli dentro al campo. Tutto questo richiede chilometri e responsabilità. La Juventus Next Gen ha svolto il suo compito formativo; ora tocca a Rouhi verificare sul terreno di una massima serie straniera quanto profondo sia il suo serbatoio. Perché si sa: i terzini si fanno nella polvere dei duelli e nell’adrenalina delle corse di ritorno.



PRESTITO CON OPZIONE: UNA FORMULA, DUE LETTURE
Cosa racconta, in sostanza, la formula scelta? Il prestito con opzione per l’acquisto definitivo è il classico compromesso lungimirante: nessun salto nel buio, ma la porta aperta alle opportunità. Per il Westerlo, la chance di testare un terzino giovane, mancino e con background in un contesto competitivo come quello bianconero. Per il giocatore, l’occasione di misurarsi con un campionato esigente, mettere benzina nelle gambe e presentarsi alla prossima estate con un bagaglio più ricco. Per chi guarda da Torino, la possibilità di valutare l’evoluzione senza bruciare le tappe. Tre prospettive, un’unica traccia: lasciare che sia il campo a parlare.

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