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Lutto

Ci lascia un grande uomo di sport e di racconti, passione e competenza i tratti che lo hanno fatto amare da tutti

L'inizio con le TV private, poi l'importante approdo sulle reti nazionali sempre fedele a una vocazione che non conosce orari

MEDIASET - FRANCO LIGAS

Franco Ligas era entrato in Fininvest nel 1984 e aveva concluso la sua avventura televisiva nel 2013 con il pensionamento

Chi racconta lo sport, in fondo, gioca una sua partita. E Franco Ligas quella partita l’ha vinta per decenni, con la classe di un regista che sceglie sempre l’inquadratura giusta. Il giornalismo sportivo italiano perde una voce storica: Ligas si è spento a 79 anni, lasciando in eredità stile, ironia e una lezione chiara su come si sta davanti a un microfono.



GLI INIZI A FIRENZE: IL DEBUTTO DEL 1976 E L’INTERVISTA DEI SOGNI
Tutto comincia nel 1976, a Firenze, con Tele Libera Firenze. Giovane, curioso, affamato di storie: Ligas azzecca subito il primo colpo grosso. Intervista Adriano Panatta e Nicola Pietrangeli «freschi» della storica Coppa Davis vinta dall’Italia nel 1976. Che cos’è se non un biglietto da prima fila per la grande narrazione sportiva? Quella conversazione, tra due simboli del tennis azzurro, gli spalanca una strada che non si chiuderà più.

L’OFFICINA FIORENTINA: ELEFANTE TV E L’ESPERIMENTO MARATONA DDA
A Firenze Ligas affina il mestiere e costruisce la sua versatilità. Su Elefante TV conduce DDA – Dirittura d’Arrivo, un contenitore-monstre: ben 8 ore al giorno dedicate allo sport, un Tour de Force che spazia dall’ippica al pugilato, dal basket al ciclismo. Chi altro teneva il ritmo così? Ligas, metronomo della tv locale, cambia registro come un regista d’orchestra: stesso timbro, suoni diversi. E nasce il suo marchio di fabbrica. Amava il calcio, certo: ma non si fermava al fischio del direttore di gara. Il suo taccuino parlava anche la lingua del pugilato, dove riconosceva tecnica e cuore; del tennis, con i suoi tempi sospesi e le sue fiammate; dell’ippica, tra tattica e falcate; del basket, ritmo e lavagna; del ciclismo, fatica e poesia. Una tavolozza completa, perché lo sport, per Ligas, era un’unica grande storia da raccontare con rigore e passione.



LA SVOLTA FININVEST: 1984-2013, L’IRONIA CHE CONQUISTA IL PUBBLICO
Nel 1984 la chiamata che cambia la carriera: Fininvest. La TV commerciale sta ridisegnando il palinsesto italiano e Ligas diventa un volto familiare per quasi trent’anni delle emittenti di Silvio Berlusconi, fino al 2013. La sua cifra? Ironia affilata ma mai sguaiata, il dribbling giusto al momento giusto. Saper alleggerire senza banalizzare: è qui che il cronista si fa «voce», riconoscibile, attesa, amata. Generazioni di telespettatori lo seguono come si seguono i bomber di fiducia: perché sanno che, con lui, la partita del racconto non finisce mai zero a zero.

CUORE DIVISO: CAGLIARI E FIORENTINA, FEDE E RADICI
Professionista tutto d’un pezzo, sì. Ma con un cuore calcistico dichiarato: Cagliari e Fiorentina. Due colori che raccontano due vite. Nato in Sardegna a Oristano, Ligas si trasferisce a 23 anni a Firenze, dove mette radici umane e professionali. Nel capoluogo toscano nasce suo figlio: destino segnato, la città medicea diventa casa. E allora, cos’è il tifo se non memoria che pulsa? Ligas lo sapeva bene e lo raccontava senza mai confondere passione e mestiere.



DOPO IL 2013: LA VOCE NON SI SPEGNE, CAMBIA CANALE
Il pensionamento nel 2013 non ferma la sua voglia di sport. Ligas apre un blog personale e continua a commentare l’attualità, fedele a una vocazione che non conosce orari. Quando la telecamera si spegne, resta la parola. E la parola, per lui, è sempre stata gioco di squadra con il pubblico. Qual è il lascito di Franco Ligas? Competenza tecnica, misura, ironia al servizio del racconto. Il suo modo di stare in onda ha alzato l’asticella del racconto sportivo in Italia: niente enfasi vuota, niente rumore. Solo ritmo, rispetto, curiosità. Una voce capace di attraversare generazioni conservando credibilità e fascino. Una bussola per chi oggi vuole raccontare lo sport senza perdere la partita più importante: quella con chi ascolta.

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