Mirko Vucinic, l’attaccante che ha fatto impazzire le difese italiane tra Lecce, Roma e Juventus, torna nel mondo del calcio dalla porta principale: la panchina del Montenegro. Sì, proprio lui, chiamato a vestire i panni del commissario tecnico della sua nazionale. Una scelta che profuma di coraggio e di appartenenza, la prima tappa di una nuova vita professionale dopo il ritiro. E allora la domanda sorge spontanea: può l’istinto del bomber trasformarsi nel «manico» del CT? La risposta, per ora, è nella promessa di una sfida affascinante, tutta da giocare col cronometro in mano e lo sguardo fisso sulla crescita del gruppo. Con un dettaglio non da poco: tra i convocabili c’è Vasilije Adzic, talento della Juventus, pronto a incrociare la strada di un ex bianconero che conosce l’aria di Torino come pochi.
MIRKO VUCINIC, DAL CAMPO ALLA PANCHINA: UN PASSAGGIO NATURALE?
Il bello del
calcio è che ti riporta sempre a casa.
Vucinic aveva salutato l’erba qualche anno fa, quando si è ritirato, e adesso rientra in scena con il ruolo più esposto: guidare il
Montenegro, il suo paese. Un debutto assoluto da allenatore, è vero, ma con uno zaino pieno di
esperienze d’alta quota. In
Italia ha imparato il valore del dettaglio, della
tattica, del
sacrificio. A
Lecce è sbocciato, a
Roma ha imparato a giocare coi riflettori addosso, alla
Juventus ha respirato la
pressione delle grandi ambizioni. Tutta benzina per affrontare una panchina che non perdona distrazioni, perché una
nazionale non la alleni: la interpreti, la orienti, la porti a battere un colpo nei momenti che contano.
LA SCELTA DEL MONTENEGRO: CORAGGIO, IDENTITÀ E RESPONSABILITÀ Prendere
Vucinic significa puntare su una
guida riconoscibile, simbolica. Non è un
tecnico di lungo corso, è vero: è il suo primo incarico. Ma c’è una logica che va oltre i numeri sulla lavagna. Il
Montenegro cerca una scintilla, un collante tra
generazioni, una voce capace di parlare la lingua dello spogliatoio e della piazza. Chi meglio di un ex attaccante che ha visto e vissuto il
calcio ai massimi livelli? Il
CT, qui, diventa il «capobranco»: disegna una rotta, lavora sulla mentalità, alza il livello competitivo. E
Vucinic ha tutto per accendere quella luce che talvolta fa la differenza tra squadra e squadra
nazionale.
L’INCROCIO BIANCONERO: VASILIJE ADZIC SUL RADAR DI VUCINIC C’è un dettaglio che accende la fantasia:
Vasilije Adzic, giocatore attuale della
Juventus, potrebbe diventare una delle chiavi del progetto. Un
talento da svezzare, da accompagnare, da mettere nelle condizioni di osare. E qui il filo si tende: un ex bianconero, ora
CT, che lavora con un bianconero di oggi. Non è solo una suggestione, è un’opportunità concreta. Perché
Vucinic conosce l’
ambiente, ne ha respirato l’intensità, sa quanto contano
disciplina,
fame e
ambizione. E potrà trasmettere a
Adzic il gusto del rischio calcolato, la cattiveria tecnica nei trenta metri finali, l’arte della scelta giusta nel momento giusto.
IDEE DI GIOCO: PRAGMATISMO, CORAGGIO, VERTICALITÀ? LA LAVAGNA È BIANCA MA L’INTUIZIONE C’È Quale sarà la fisionomia del
Montenegro versione
Vucinic? La palla è al centro, la lavagna ancora bianca. Ma possiamo immaginare alcune linee
guida figlie della sua esperienza: squadra corta, concentrazione maniacale, rispetto delle distanze, capacità di ribaltare il campo in pochi tocchi. A
Roma e a
Torino,
Vucinic ha imparato che nelle partite vere si vince stando dentro ai
dettagli: una
pressione ben dosata, la scelta dei tempi in
transizione, la gestione dei momenti emotivi. Giocherà con prudenza o con il coltello tra i denti? Spingerà sulle corsie o proverà a sfruttare l’uno contro uno tra le linee? Domande che fanno venire voglia di accendere la TV e mettersi comodi, perché l’esordio di un
CT alla prima esperienza è sempre una storia da raccontare.
LA PRIMA SFIDA DA CT: CREARE GRUPPO, DARE UNA TRACCIA, ALZARE L’ASTICELLA La
nazionale è un club senza quotidiano: poco tempo, molta
pressione, obiettivi chiari. Serve un’idea semplice, ripetibile, credibile. Qui
Vucinic dovrà essere allenatore e selezionatore, motivatore e gestore: scegliere gli uomini, dare ruoli, accordare il coro. La parola d’ordine?
Identità. In campo si traduce in
compattezza e
coraggio, fuori in
verticalità di messaggi: poche frasi, molto chiare. Lavorare sul
talento e trasformarlo in
rendimento è la prima pietra. Il
Montenegro ha bisogno di sentirsi pericoloso, fastidioso, mai domo. Un po’ come certi gol di
Vucinic: non belli per forza, ma pesanti, decisivi, capaci di spostare l’inerzia. L'attaccante ha vissuto spogliatoi italiani in cui il senso di
appartenenza è stato un valore fondante. Portare quel codice in
Nazionale può essere la mossa vincente, la scintilla che accende la
competitività.