Quante volte una squadra ha preso il suo uomo-simbolo in estate e poi, quando il pallone ha cominciato a rotolare, ha dovuto farne a meno? Nel caso del Monaco e di Paul Pogba, la storia suona esattamente così. L’ex centrocampista della Juventus è stato ufficializzato dai monegaschi alla fine di giugno, con un abbraccio emotivo degno delle grandi prime volte: lacrime alla firma del contratto, un’immagine che sembrava il calcio d’inizio di una nuova vita dopo i 18 mesi di squalifica. E invece, per ora, niente campo. Non una presenza, non una panchina. Domanda retorica: può un progetto tecnico reggere senza il suo volto più riconoscibile quando la giostra della Ligue 1 e della Champions League è già partita?
CRONACA DI UN’ATTESA Il dato è secco come un tackle ben riuscito: in questo avvio di stagione, il
Monaco ha già giocato partite in patria e in Europa, vincendone alcune e perdendone altre. C’è però un filo rosso, anzi un’assenza che diventa
presenza:
Paul Pogba non ha ancora messo piede in campo e nemmeno in panchina. Nessuna convocazione firmata da
Adi Hütter, l’allenatore chiamato a orchestrare il gioco dei monegaschi tra i confini della
Ligue 1 e sotto i riflettori europei. È un avvio a elastico, con risultati alterni, ma con un comune denominatore lampante: il giocatore più rappresentativo della rosa non è mai stato della partita.
ADI HÜTTER E LA LAVAGNA TATTICA SENZA IL SUO JOLLY Cosa significa per un
tecnico impostare settimane di lavoro senza il calciatore che, per status e carisma, dovrebbe fare da bussola?
Hütter ha dovuto lasciare la casella di
Pogba vuota sulla lavagna. Che si tratti di gestione delle risorse, di programmazione o di semplice prudenza, il punto non cambia: finora
Pogba non è stato convocato. Eppure, tra le righe di questo inizio, si legge un segnale incoraggiante: la sensazione è che la fine del tunnel sia sempre più vicina. Un bagliore in fondo al corridoio, una luce che cresce di intensità settimana dopo settimana. Perché in fondo, non è forse vero che i grandi percorsi partono dall’
attesa giusta?
IL MONACO TRA SALISCENDI E BUSSOLA MANCANTE Il
Monaco ha già assaggiato il gusto della vittoria e il morso della sconfitta. Un’altalena che racconta tanto quanto basta: quando si costruisce un’identità, avere o non avere il proprio
faro in mezzo al campo fa differenza. E qui il
faro ha un nome e cognome:
Paul Pogba. Il suo status da giocatore più rappresentativo non è un’etichetta messa lì per caso: significa aspettative, leadership, una
presenza che sposta gli equilibri anche solo nel riscaldamento. Immaginate una squadra che cerca ritmo, linee di passaggio, gerarchie: farlo senza il proprio punto di riferimento è come affrontare una ripartenza con la marcia giusta, ma senza la frizione perfettamente regolata. Si va, ma manca l’accompagnamento.
POGBA, SIMBOLO E PROMESSA C’è un’immagine che, più di tutte, racconta l’estate: le lacrime alla firma di fine giugno. Non scenografia, ma significato. Per
Pogba è stata la fotografia di un nuovo patto con sé stesso e con un club che, numeri alla mano, lo ha scelto come volto della stagione. Per i tifosi monegaschi, una stretta di mano ideale con un campione atteso come si attende il numero 19 che cambia il destino di un match. Eppure, basta riavvolgere il nastro: a oggi, nessuna panchina, nessun ingresso, nessun minuto. L’assenza pesa perché è
attesa, e l’
attesa pesa perché alimenta domande. Che cosa aspettiamo? Qual è la curva dopo la quale si apre il rettilineo? La risposta sta tutta in quella sensazione netta: l’uscita dal tunnel si avvicina.
LA GESTIONE DELLE ENERGIE E IL FATTORE TIMING Nel calcio moderno il
timing è un’arma tattica. Anticipare o ritardare una scelta può rovesciare la partita. In questo senso,
Hütter sembra aver scelto la via della pazienza: meglio aspettare il momento giusto che bruciare cartucce preziose. Avete presente quando un
tecnico tiene il suo cambio chiave fino all’80’, per poi sparigliare? Ecco, la fotografia di oggi è questa:
Pogba come carta coperta nel mazzo del
Monaco. Non una forzatura, ma un’
attesa pianificata, nella consapevolezza che l’ingresso del giocatore più rappresentativo abbia impatto non solo tattico, ma persino emotivo sulla squadra e sull’ambiente. E allora sì, la domanda retorica torna: quanto può spostare un ritorno atteso come questo? La risposta, molto presto, passerà dal campo. Perché se l’assenza è stata il comune denominatore dell’inizio, il rientro potrebbe diventare il tema portante della stagione.