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Business o identità? Quanto conviene davvero esportare all'estero le partite di campionato?

Il dilemma tra profitto e immagine: una singola partita può cambiare l’equilibrio? I casi di Milan-Como e Villareal-Barcellona

Business vs. Principio: quanto conviene davvero esportare partite di campionato?

Immaginate una partita di Serie A, il pezzo forte del weekend italiano, che invece di essere giocata tra le mura di uno storico stadio italiano si sposta a migliaia di chilometri di distanza, in Australia o negli Stati Uniti. Un evento che apparentemente punta a conquistare nuovi mercati e portare grosse cifre nelle casse dei club e delle leghe, ma che scatena immediatamente un terremoto di critiche, polemiche e proteste istituzionali. È questo il curioso, e complesso, scenario che si sta delineando nel 2025 con le partite di Milan-Como e Villarreal-Barcellona fuori dal continente europeo. Ma conviene davvero questo gioco di equilibri tra business e principio? Quali sono i guadagni attesi, i rischi reputazionali e le possibili reazioni di organi come l'Unione Europea e le federazioni calcistiche?

L’offensiva commerciale di Serie A e Liga

La Serie A ha previsto di spostare la partita fra Milan e Como a Perth in Australia, mentre la Liga spagnola ha deciso di portare la sfida tra Villarreal e Barcellona a Miami il 20 dicembre 2025, con la storica possibilità di essere la prima partita di un campionato top europeo giocata ufficialmente fuori dal proprio territorio nazionale. L’obiettivo dichiarato è quello di internazionalizzare il brand, incrementare la notorietà e soprattutto moltiplicare le entrate economiche. La manovra economica è rilevante: a Miami, secondo fonti di settore, Barcellona e Villarreal potrebbero incassare una cifra tra i 5 e i 6 milioni di euro a squadra per la trasferta oltreoceano, con un leggero extra compenso per Villarreal dovuto alla perdita delle entrate da botteghino in casa. Anche per la partita di Serie A, il ricavo complessivo atteso per la Lega e i club è stimato in milioni, una boccata d’ossigeno che potrebbe riflettersi anche nei programmi di sviluppo giovanile e di sostenibilità economica.

Un’umiliazione per i tifosi e un problema politico

Tuttavia, questo boom economico arriva accompagnato da un coro di dissensi. L’Unione Europea, attraverso le parole del commissario allo Sport Glenn Micallef, ha espresso un giudizio duro, definendo la decisione come un “tradimento” nei confronti dei tifosi, di quei supporters passionali che vedono nel campionato nazionale un patrimonio culturale e identitario da vivere sul proprio territorio. Per Micallef, il calcio deve restare in Europa e l'esportazione di competizioni nazionali fuori dal continente è “una linea rossa”.
Dal canto suo, la Lega Serie A ha risposto liquidando come populista e fuori luogo l’attacco, ricordando che si tratta di una partita su un totale di 380 giornate stagionali, evidentemente una “goccia nel mare”, e sottolineando come l’iniziativa porti benefici complessivi all’intero sistema calcio, dai club ai tifosi lontani, passando per le categorie giovanili e dilettantistiche.

Rischi reputazionali e limiti di una svolta commerciale

Dietro le promesse di ricavi si nascondono tuttavia rischi pesanti: la percezione negativa tra tifosi tradizionalisti, la reazione dei gruppi organizzati e l’impatto sulla reputazione delle società e delle leghe, accusate di vendersi al business a discapito della passione autentica. La contrapposizione tra logica economica e principi di appartenenza sembra acuirsi proprio nel momento in cui i tifosi chiedono autenticità e radici nazionali. Inoltre, l’opinione pubblica ha appreso con una certa sorpresa la modalità con cui le decisioni sono state prese, denunciando una scarsa trasparenza soprattutto nel caso spagnolo, dove l’Asociación de Futbolistas Españoles (AFE) si è mostrata fortemente contraria e ha chiesto maggior coinvolgimento dei capitani delle squadre e criteri più chiari nella scelta della partita da esportare.

L'asse tra club, leghe e istituzioni si incrina

L’importante componente istituzionale non va sottovalutata: la partita tra criterio commerciale e rispetto delle regole internazionali è ancora aperta. La Real Federación Española de Fútbol (Rfef) ha approvato la richiesta di portare la sfida a Miami, ma resta da ottenere l’ultimo via libera della Fifa e della Uefa. Intanto, nella Serie A si valuta l’impatto delle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina, che rendono inagibile lo stadio San Siro, spiegando almeno in parte la scelta di spostare la partita a Perth. Le posizioni istituzionali si scontrano. Da un lato, le leghe spingono per la crescita dei profitti e per l’apertura a nuovi mercati; dall’altro, le istituzioni europee e le associazioni dei tifosi difendono con forza il senso di comunità e il valore simbolico del calcio come fenomeno radicato nel territorio.

Alternativa o compromesso? Guardando al futuro

Nonostante le polemiche, entrambe le esperienze rappresentano un tentativo concreto di ridefinire i confini del calcio moderno, con una bilancia che pesa profitti tangibili e rischi di lungo termine. In questo equilibrio incerto, i club come Milan, Como, Villarreal e Barcellona si trovano a giocare una partita anche fuori dal campo, tra il rischio di perdere fedeltà e la possibilità di conquistare nuovi tifosi nel mondo. Quello che resta da capire è se questa nuova strategia di esportazione potrà essere sostenibile o se si rivelerà una forzatura destinata a spaccare ulteriormente il rapporto calcio-tifosi soprattutto in Europa, dove il valore identitario resta un elemento non negoziabile.

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