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08 Ottobre 2025
DEMETRI MITCHELL (CREDIT FOTO, CORRIERE DELLA SERA)
Immersi in un mondo dove un ex calciatore può stringere un contratto senza alcun intermediario umano, grazie all’uso di un’intelligenza artificiale, la domanda sorge spontanea: possono davvero gli algoritmi prendere il posto degli agenti sportivi? La storia di Demetri Mitchell, classe 1997, ex giocatore del Manchester United, che ha negoziato autonomamente il suo ingresso nel Leyton Orient affidandosi a ChatGPT, ha acceso un dibattito sul ruolo tradizionale dell’agente sportivo e sui limiti della tecnologia nel campo delle negoziazioni sportive.
Nel settembre 2025, Demetri Mitchell ha stupito il mondo del calcio inglese rivelando di aver utilizzato un’intelligenza artificiale per prepararsi alla firma con il Leyton Orient, club militante nella Football League Two. Senza appoggiarsi a nessun agente, Mitchell ha chiesto a ChatGPT consigli su come condurre la negoziazione contrattuale, oltre a raccolte specifiche di dati sulla vita a Londra, come i costi per mantenere la sua famiglia. Il risultato è stato un successo: un contratto a misura, con una commissione alla firma, di solito prerogativa di agenti esperti.
Questa storia, riportata da Corriere dello Sport l’8 ottobre 2025, è solo la punta dell'iceberg di una rivoluzione in atto. Ma se da un lato l’IA può offrire informazioni preziose e simulare scenari con precisione, dall’altro emergono questioni legali, etiche e professionali che nessun codice può ancora risolvere pienamente.
Gli agenti sportivi non sono solo negoziatori di contratti, ma figure complesse che agiscono da consulenti strategici, psicologi e mediatori in un ambiente ad altissima volatilità. Il ruolo degli algoritmi al momento si limita a supportare decisioni con dati e simulazioni.
Marco Rossi, agente fra i più noti in Italia, spiega: «L’IA può fornire strumenti utili, ma non può sostituire il rapporto umano. Un agente capisce la personalità di un giocatore, protegge i suoi interessi in modo flessibile e può captare segnali sottili nelle trattative che un algoritmo non rileverebbe».
Il mondo del calcio è storicamente poco regolamentato sull’utilizzo dell’IA nelle negoziazioni. Gli avvocati specializzati come Elena Grassi, esperta di diritto sportivo, sottolineano come «l’assenza di un intermediario certificato o un agente riconosciuto può lasciare il giocatore esposto a rischi contrattuali, anche perché non esistono standard legali chiari sul ruolo e la responsabilità dell’IA in queste trattative».
Un’ulteriore sfida è la privacy e la protezione dei dati personali, soprattutto quando gli algoritmi sono usati per analizzare o negoziare contratti a favore di giocatori meno esperti. Molti calciatori vedono nell’IA una risorsa utile per aumentare la loro autonomia nelle trattative. Tuttavia, il rischio più grande è affidarsi a informazioni non sempre aggiornate o contestualizzate. La media di vita lavorativa di un calciatore è breve – circa 8 anni in buona salute – e la gestione del patrimonio e della carriera richiede una consulenza calibrata e umana.
Nonostante l’eccezionalità del caso di Mitchell e l’avanzamento tecnologico, al 2025 non esistono esempi consolidati di agenti completamente virtuali nel calcio professionistico. La tendenza è invece quella di strumenti ibridi: agenti umani che si avvalgono di intelligenza artificiale per analizzare dati e scenari, ma senza abdicare al ruolo personale. Tuttavia, la rapidità con cui l’IA si evolve richiederà alle leghe, ai club e alle istituzioni una riflessione approfondita su responsabilità, etica e diritto.