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Serie C

Debutta tra i Professionisti in uno stadio da 20mila posti e tiene la porta inviolata, per il numero 1 è un sogno

Dopo il prestito della scorsa stagione tra i Dilettanti il ritorno alla base con l'amata maglia gialloblù e la prima grande soddisfazione

PERGOLETTESE SERIE C - FILIPPO DOLDI

PERGOLETTESE SERIE C - Filippo Doldi, portiere classe 2005, sabato 4 in casa dell'Union Brescia ha giocato la sua prima partita tra i Professionisti (foto uspergolettese1932.it)

Il debutto tra i Professionisti, per di più da titolare, è spesso un tornante della carriera: si arriva con lo zaino pieno di speranze e qualche tremito nelle gambe, si riparte con una foto in più nella memoria — a volte una cicatrice, a volte un sorriso. Per Filippo Doldi, portiere classe 2005 della Pergolettese, quella prima volta ha il sapore buono delle cose difficili: 0-0 in casa del Brescia allo stadio Rigamonti, clean sheet alla prima e la sensazione di avere imboccato la direzione giusta. La cornice era importante, il contesto pure. Il match di sabato 4 ottobre metteva di fronte una formazione, l’Union Brescia, considerata tra le più attrezzate del Girone A di Serie C, e una Pergolettese che punta a un campionato lineare, senza scossoni, con l’obiettivo di una salvezza diretta che non costringa a passare dalla coda dei playout. È per questo che lo 0-0 in terra bresciana vale più della semplice X in schedina: è la cartolina di una squadra capace di soffrire con ordine e di scoprire, nel giorno dell’esordio di un ragazzo, un mattone di affidabilità su cui costruire.

IL RITORNO A CASA ESTIVA
La storia recente di Doldi racconta di un percorso che somiglia a un elastico teso e poi riportato con cura al punto di partenza. Dopo un’annata alla Pro Palazzolo in Serie D il portiere ha deciso di tornare in estate alla Pergolettese, la squadra della sua città. Si è inserito in un parco portieri dove il titolare designato è il 2004 Lorenzo Cordaro, accettando una gerarchia che sulla carta poteva sembrare penalizzante per un ragazzo richiesto da più club. Perché una scelta del genere? Lo aveva spiegato lui stesso all’epoca, con parole semplici e pesanti: «È un orgoglio vestire la maglia della squadra dove sono nato e cresciuto». Non marketing, non slogan, ma appartenenza. In un calcio che corre veloce tra prestiti, plusvalenze e incastri, la decisione di fermarsi dove si conoscono i corridoi dello spogliatoio e i volti dei magazzinieri ha il sapore di un azzardo romantico. E proprio per questo, quando la porta si è spalancata verso l’esordio, tutto è sembrato coerente: il coraggio di restare è diventato il coraggio di cominciare.

L'ANNO CHE TI FA GRANDE
La stagione a Palazzolo è stata un trampolino. La Serie D è un campionato ruvido, di campi complicati e avversari esperti, dove il giovane portiere impara presto che il primo intervento è spesso mentale: leggere la giocata prima che accada. Dalle 27 presenze, Doldi ha portato a casa più che minuti: ha imparato tempi, corridoi, comunicazione. «Andare via un anno dal Pergo mi ha aiutato a mettermi in gioco nel mondo dei grandi» aveva raccontato. Sembra un dettaglio, non lo è: uscire dal guscio significa scoprire di saper resistere al vento. Quell’esperienza si è vista al Rigamonti, dove la partita ha chiesto più equilibrio che acrobazie. Non serve sempre il volo plastico da copertina: a volte un esordio è una lezione di normale amministrazione fatta bene. Uscite pulite, piedi caldi quando serve accorciare su un retropassaggio, una presa sicura su un cross lavorato: dettagli che non fanno rumore ma tengono la casa in ordine.

L'ANALISI DELLA GARA: ORDINE E COMPATTEZZA
Contro un avversario annunciato come favorito, la Pergolettese di Giacomo Curioni ha costruito il suo punto partendo dall’ABC: linee strette, aggressione non scomposta, un lavoro attento degli esterni in ripiegamento e dei mediani a schermare la trequarti. In questo spartito, al portiere è chiesto di essere direttore d’orchestra più che solista: dettare l’altezza della linea, richiamare i centrali quando la squadra si allunga, interrompere il ritmo avversario accelerando o rallentando la rimessa. Doldi ha rispettato il copione con lucidità. Non ci sono state parate da cineteca — e questo, paradossalmente, è un pregio: significa che il sistema ha funzionato, che la squadra ha concesso poco, che i compagni hanno protetto l’area. Le «piccole» cose hanno fatto la differenza: la scelta di bloccare e non respingere un tiro centrale per togliere ossigeno alla seconda palla, il tempismo nell’uscita alta per spegnere sul nascere un cross profondo, la velocità di riavvio quando c’era spazio per risalire. Dettagli invisibili ai titoli, decisivi per chi guarda il quadro intero.

LE PAROLE DEL PROTAGONISTA, EMOZIONE E CONTROLLO
A fine gara, nello stomaco rimane spesso la vibrazione dell’ansia che scema. Doldi l’ha raccontata così sabato scorso nella «pancia» dello stadio Rigamonti: un’emozione forte, la voglia — a lungo coltivata — di esordire con quella maglia, la consapevolezza che l’ambiente e la cornice di pubblico aggiungono peso alle gambe e luce agli occhi. «L’emozione c’è sempre: basta controllarla, stare tranquilli e fare quello che si sa fare» ha spiegato. Dentro c’è la grammatica del ruolo: un portiere si definisce nei momenti in cui il pallone non arriva, nella capacità di rimanere dentro la partita anche quando il pallone è lontano. «Non ho dovuto fare grandi parate, ma ho gestito l’ordinario: per un portiere è fondamentale far bene anche la normale amministrazione». È una frase che vale come manifesto.

DAL TRAMPOLINO ALLA PISTA LUNGA
Un esordio non decide una carriera, ma la indirizza. Il clean sheet contro una rivale quotata vale fiducia, dentro e fuori lo spogliatoio. Per la Pergolettese, significa poter contare su un giovane affidabile in una casella decisiva; per il giocatore, significa un gradino salito con la naturalezza di chi non salta tappe ma le consuma. Le gerarchie non sono sentenze, sono fotografie del momento: il lavoro settimanale, la capacità di farsi trovare pronti, la continuità nel dettaglio sposteranno le scelte gara dopo gara. Intanto resta l’immagine che più racconta questo 0-0: minuto che scorre lento, pallone che spiove da destra, chiamata decisa, mani che avvolgono il cross e la squadra che respira. È un gesto semplice, la «normale amministrazione» di cui parlava Doldi. Ma nel calcio, come nella vita, le case solide si costruiscono con mattoni semplici, messi bene uno sull’altro.

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