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28 Ottobre 2025
Carlo Ricchetti (CREDIT FOTO Instagram Salernitana)
Allo stadio Arechi il silenzio, quando cala, ha il rumore dei ricordi. È il suono dei tagli senza palla di Carlo Ricchetti, la corsa improvvisa alle spalle del terzino, il pallone che arriva nello spazio e la curva che esplode un attimo dopo. Oggi quei tagli restano sospesi nell’aria: Ricchetti è morto a soli 55 anni, vinto da una malattia che lo aveva provato negli ultimi tempi. Se ne va il calciatore che, più di tanti altri, ha impersonato l’idea di gioco e di riscatto di una Salernitana capace di tornare prima in Serie B e poi in Serie A, dopo un’attesa lunga mezzo secolo. E se ne va un uomo che in granata aveva scelto di tornare anche da allenatore, come per chiudere un cerchio di vita attorno alla città che lo aveva adottato.
I numeri, a volte, non bastano a spiegare un legame. Ma servono a fissarlo. Con la Salernitana, tra il 1993 e il 1999, Ricchetti ha segnato 25 gol e disputato — a seconda delle fonti — 140 oppure 157 partite. L’oscillazione non è un dettaglio: l’articolo di Fanpage ricostruisce un totale di 140 presenze, mentre il comunicato di cordoglio del club granata e diverse testate locali indicano 157 gare. Verosimilmente la differenza dipende dai conteggi che includono o meno Coppa Italia, playoff e altre competizioni ufficiali, ma la sostanza non cambia: per sei stagioni Carlo è stato una costante sulla fascia destra, una delle firme della squadra di Delio Rossi.
Più dei numeri, però, restano i fotogrammi. La finale dei playoff di Serie C1 al San Paolo di Napoli contro la Juve Stabia per tornare in B nel 1994. La cavalcata del 1997-98, quella che riconsegnò la Serie A a Salerno dopo 50 anni. E poi l’Arechi pieno, fino a 40.000 persone nelle giornate decisive: una città che si scopriva, di nuovo, grande. In mezzo, la nascita di un soprannome che ancora oggi basta da solo a evocarlo: il “Re del taglio”. Taglio inteso come movimento, come gesto tecnico-tattico, come modo di pensare il calcio: partire largo, fendere verso l’area senza chiedere palla addosso, farsi trovare nel corridoio giusto. Una specialità d’altri tempi, affinata a Salerno fino a diventare marchio di fabbrica.
Nato a Foggia l’11 febbraio 1970, Ricchetti cresce in un calcio di provincia che — negli Anni 80 e 90 — pullula di scuole tattiche e tecnici esigenti. Passa da Foggia, Monopoli, Nola, Monza, e approda a Salerno nell’estate 1993. Lì incontra un giovane Delio Rossi che sta costruendo una squadra verticale, coraggiosa, capace di ribaltare le partite sulle corsie esterne. Il 4-3-3 del “Profeta” cerca ali che sappiano attaccare lo spazio più che l’uomo: Ricchetti si rivela l’interprete perfetto.
Quell’anno, in C1, firma 6 gol e una serie di prestazioni che lo trasformano in un punto fermo. La stagione seguente, in B, conferma tenuta e continuità: gamba, tempi di inserimento, freddezza sotto porta. Nel 1994-95 e 1995-96 mette insieme oltre 50 presenze e 6 reti complessive. Nel 1997-98, la stagione della promozione, scrive altre pagine rimaste nella memoria collettiva: Salernitana leader di Serie B, con Delio Rossi in panchina e un’idea di gioco riconoscibile. La foto più iconica è una diagonale perfetta: palla da sinistra a destra, Ricchetti che taglia verso il centro, controllo e conclusione. Semplice da dire, difficile da difendere.
La Salernitana vince il campionato di Serie B 1997-98 e torna in A dopo 50 anni. Il gruppo è una miscela di solidità difensiva, corsa e qualità nelle ripartenze. In quel sistema, l’esterno destro granata diventa una minaccia costante all’interno dell’area piccola avversaria: si presenta dove i difensori non se l’aspettano, spesso alle spalle del terzino, a volte tra centrale e mediano. È una lettura preventiva del gioco che oggi chiameremmo “attacco del mezzo-spazio”, che lui praticava in anni in cui la definizione non esisteva ancora.I gol pesanti non mancano. Nella memoria dei tifosi resta, tra gli altri, la rete casalinga alla Reggiana, simbolo di quel repertorio fatto di tagli, tempi e malizia calcistica. Il numero sulla schiena è la 7, la maglia dei dribblatori e degli esterni: Ricchetti la onora per tre stagioni, fino a vestire quel numero anche in Serie A.
Il calcio è linguaggio e il linguaggio è immagini. Per questo “Re del taglio” racconta meglio di qualsiasi analisi la natura del suo gioco. Cosa significa, davvero, quel soprannome? Significa percepire in anticipo il corpo del terzino e la postura del centrale, scegliendo il varco in cui infilarsi. Dopo il ciclo granata, tra 1998 e 2003 Ricchetti vive tappe diverse: Cesena in B, Juve Stabia in C1, ancora Foggia, poi Nardò, Potenza, Angri nelle categorie inferiori.
La storia con Salerno non finisce con l’ultima partita. Nel 2005-06 Ricchetti rientra nel club come allenatore del settore giovanile, lavorando con i ragazzi. Più avanti, costruisce un percorso da vice al fianco di ex compagni: nello staff di Roberto Breda (tra Latina, Ternana, Perugia, Virtus Entella), collaborazioni successive in staff tecnici legati a figure vicine all’ambiente granata, tra cui Mirko Cudini. È la prova di un profilo professionale apprezzato: discrezione, competenza tattica, cura del dettaglio, attenzione al rapporto umano. Il tipo di tecnico che tiene corta la distanza tra campo e spogliatoio.
Il messaggio della U.S. Salernitana 1919 alla notizia della scomparsa sottolinea tre aggettivi: “mite, buono, riservato”. È l’immagine del professionista che non ha bisogno di invadere la scena per farsi sentire, che sa guidare con l’esempio. La comunità granata — dirigenti, ex compagni, tecnici e tifosi — lo ricorda così: un uomo perbene, prima ancora che un calciatore di livello. E quell’ultimo “Grazie, Carlo” che chiude la nota ufficiale suona come il coro di una curva: breve, definitivo, vero.