Lutto
03 Novembre 2025
Giovanni Galeone ha ottenuto 2 promozione in Serie A con il Pescara, una con l'Udinese e una con il Perugia
È morto ieri a Udine a 84 anni Giovanni Galeone, allenatore di campo e di pensiero, tecnico capace di lasciare un’impronta che travalica i confini delle panchine percorse tra gli anni ’80 e ’90. Dalla Ponziana al Monza e poi all’Udinese da calciatore, fino a una carriera in panchina iniziata nel 1974 e formalmente conclusa nel 2007 (con ritiro annunciato nel 2013), Galeone ha attraversato 4 decenni di calcio italiano portando con sé un’idea precisa: il gioco come costruzione collettiva, responsabilità e coraggio. Un vero esponente di quello che è stato per anni un calcio popolare amato da tutti gli italiani, ben diverso da quello attuale dove non sempre il merito viene premiato. Inoltre di tutto si può dire di Galeone, ma non che non sia stato un vero esempio di signorilità dentro e fuori dal campo.
LA SCUOLA GALEONE
Le sue 155 panchine in Serie A sono la parte visibile di un iceberg fatto di lavoro quotidiano, studio, curiosità. Galeone amava la letteratura e la filosofia — Bertolt Brecht e Jean-Paul Sartre fra i preferiti — e portava quella sensibilità nello spogliatoio, con modi pacati e signorili che sapevano però diventare inflessibili quando il gruppo smarriva l’orientamento. Da qui nasce la sua «scuola»: una generazione di allenatori formatisi nel suo sguardo, a cominciare da Massimiliano Allegri e Gian Piero Gasperini (e Marco Giampaolo), oggi riconosciuti per identità forti e complementari. Loro sono gli eredi più noti, ma chiunque abbia incrociato Galeone porta addosso un’eco di quell’educazione calcistica: curiosità tattica, attenzione all’uomo, ironia come antidoto alla pressione.
IL 4-3-3 COME MANIFESTO
Il 4-3-3 era il suo manifesto più che un semplice modulo. Non una gabbia, ma una tela: ali e terzini chiamati a raddoppiare gli sforzi, a coprire lunghezze di campo da maratoneti, a partecipare alla costruzione dall’uscita bassa fino alla rifinitura. Il regista non doveva essere per forza un «dieci» romantico: spesso preferiva un centrocampista associativo, capace di tempi di gioco e di linee di passaggio, mentre le mezzali interpretavano la profondità e la pressione senza palla. Oggi ci sembra normale: all’epoca era controcorrente, soprattutto in contesti dove si preferiva abbassare i giri e proteggersi. Galeone pretendeva invece campo largo, coraggio e responsabilità: se si sbaglia, si rimedia giocando ancora.
PESCARA, IL LUOGO DELL'ANIMA
Fra tutte le tappe, Pescara è il suo altare calcistico. Qui si compie la doppia impresa delle promozioni del 1986-87 e del 1991-92 e qui si cementa un rapporto sentimentale con la città e i suoi tifosi, che lo vorranno idolo oltre la dimensione tecnica. A Pescara il calcio di Galeone diventa racconto popolare: la squadra vola, entusiasma, e riporta allo stadio generazioni diverse unite dalla stessa curiosità di vedere «cosa inventerà stavolta». È anche una questione di stile: nelle piazze dove l’ansia per il risultato potrebbe soffocare l’idea, Galeone riusciva a proteggere il gioco e a farlo diventare motivo di orgoglio civico.
UDINESE E PERUGIA, ALTRE SODDISFAZIONI
A Udine torna in veste di allenatore dopo i trascorsi da calciatore e centra una promozione subentrando nel novembre 1994 ad Adriano Fedele: un percorso senza fronzoli, pragmatico, ma fedele ai suoi principi. A Perugia firma un’altra risalita nel 1995-96, dimostrando di saper portare a termine cantieri complessi. La sua forza nelle stagioni di trincea non era il trasformismo, bensì la coerenza: aggiustare i dettagli, mai rinnegare il progetto. Da qui discende anche la difficoltà di incastrarsi in realtà dove la panchina è centrifuga: in alcune piazze — come Napoli — il tempo per sedimentare le idee è un lusso raro. Nel suo viaggio compaiono anche Pordenone, Adriese, Cremonese, Sangiovannese, Grosseto, SPAL, Como, Napoli, Ancona. Non tutte storie d’amore, e lui non lo ha mai nascosto: carattere vulcanico, rapporti talvolta burrascosi con i presidenti, Luciano Gaucci su tutti. La sua franchezza era la cartina di tornasole di un calcio che stava cambiando.
ALLEGRI E GASPERINI, GLI EREDI
Il rapporto con Massimiliano Allegri è stato sempre speciale. La cronaca recente racconta di una visita in ospedale prima di Milan-Udinese: un gesto semplice e profondissimo, che dice più di mille aggettivi. Allegri, tecnico spesso etichettato in modo sbrigativo, ha dentro di sé la pragmatica leggerezza del maestro: capire i momenti, scegliere linee essenziali, fidarsi dei giocatori. Gian Piero Gasperini, all’opposto per immaginario, incarna un’altra eredità galeoniana: l’organizzazione aggressiva, la valorizzazione degli esterni, l’idea che l’allenamento sia un laboratorio permanente. In mezzo, la figura di Marco Giampaolo, custode di una ricerca posizionale rigorosa. Tre declinazioni diverse che rimandano alla stessa radice. Di una persona che sapeva farsi ascoltare senza alzare la voce, con la fermezza di chi argomenta invece di imporre. E che manca già da ora molto al calcio italiano.