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Tragedia in Serbia: a soli 44 anni muore il tecnico che ha fatto sognare la città di 220mila abitanti

L'allenatore bosniaco si accascia a bordo campo al 22’: rianimazione, corsa in ospedale, poi l’annuncio

Mladen Žižović

Mladen Žižović muore a soli 44 anni

Allo stadio di Lučani, un gesto minimo rompe la routine: un assistente alza lo sguardo verso la panchina, alcuni giocatori del Radnički 1923 rallentano il passo, la curva non capisce. È il 22’ del primo tempo quando Mladen Žižović, 44 anni, crolla a pochi metri dalla sua area tecnica. I medici intervengono, l’ambulanza entra in campo, le procedure sono rapide come devono essere in questi casi. Il gioco – incredibilmente – riparte per qualche minuto; poi, poco prima dell’intervallo, la notizia deflagra nel recinto di gioco: il tecnico è morto. In pochi istanti il prato diventa un mosaico di calciatori in ginocchio, mani sul volto, abbracci. Le lacrime non hanno appartenenza. L’arbitro ferma tutto. La serata del 3 novembre 2025 si chiude con un lutto che attraversa confini, campionati, appartenenze.

UN FATTO, TRE TEMPI

Al 22’ della partita di SuperLiga serba tra Mladost Lučani e Radnički 1923 di Kragujevac, Žižović si accascia accanto alla panchina. Lo staff medico di entrambi i club interviene immediatamente; sono effettuate sul posto le prime manovre salva-vita. Il tecnico viene caricato in ambulanza e trasportato verso l’ospedale: secondo le cronache locali, le manovre di rianimazione proseguono anche durante il tragitto, senza esito. La gara, inizialmente ripresa, viene interrotta attorno al 41’ dopo la comunicazione ufficiale del decesso. Le immagini mostrano i giocatori di entrambe le squadre stesi sull’erba, in lacrime, mentre si abbracciano. Al momento dell’interruzione, il Radnički 1923 stava conducendo per 2-0: un dettaglio che non cambia nulla, ma racconta la fotografia tecnica di una partita spezzata da un evento più grande del risultato.

CHI ERA MLDAEN ŽIŽOVIĆ

Nato a Rogatica il 27 dicembre 1980, Žižović è stato un trequartista elegante prima e un tecnico in rapida ascesa poi. Da giocatore ha vestito, tra le altre, le maglie di Radnik Bijeljina, Rudar Ugljevik, Zrinjski Mostar, Tirana, Borac Banja Luka e Mladost Rogatica, mettendo in bacheca anche un titolo in Bosnia e una Coppa d’Albania e guadagnandosi 2 presenze con la Bosnia ed Erzegovina nel 2008. Appesa la maglia al chiodo, nel 2017 passa in panchina: Radnik Bijeljina, Zrinjski Mostar (2019–2020), Sloboda Tuzla (2021–2022), poi le esperienze all’estero con Al-Kholood in Arabia Saudita e Shkupi in Macedonia del Nord, prima del ritorno in patria al Borac Banja Luka e del passo in Serbia con il Radnički 1923 il 23 ottobre 2025.

Il suo “vestito tattico” preferito era il 4-2-3-1. Al Borac la sua impronta è stata storica: un percorso europeo senza precedenti, fino agli ottavi di UEFA Europa Conference League, con eliminazioni prestigiose e un’estate, quella del 2024, che i tifosi ricordano come “mitica”. Un ciclo intenso, chiuso tra luci e inevitabili strappi, ma sufficiente a consegnargli un posto nella mappa recente del calcio bosniaco.

L'ULTIMA SETTIMANA: UNA NUOVA PANCHINA

Il Radnički 1923 lo aveva chiamato da poco, in un momento delicato. Il debutto, gli aggiustamenti rapidi, l’idea di una squadra corta e verticale: in tre partite ufficiali, la sensazione che il gruppo avesse già messo a fuoco principi chiari. Niente proclami, solo lavoro. Nel comunicato diffuso in serata, il club ha parlato di un allenatore capace di meritare rispetto “in pochissimo tempo” grazie a energia, professionalità e qualità umane. È un dettaglio che vale più di tante statistiche.

    Arrivano messaggi da club rivali, ex squadre, istituzioni. Il Radnički 1923 parla di perdita “di un grande professionista e, prima ancora, di un uomo perbene”. Dai canali federali emergono note di cordoglio e rispetto. L’onda emotiva si estende oltre la Serbia: media internazionali – dall’area balcanica fino alla stampa sportiva di Spagna, Svezia e Regno Unito – rilanciano la notizia e le immagini del campo. È l’effetto di un calcio interconnesso: una tragedia locale che diventa subito globale, con comunità diverse che riconoscono un dolore comune.

    OLTRE IL RISULTATO

    Gli stadi moderni sono dotati di defibrillatori, protocolli di emergenza e squadre di pronto intervento. A Lučani l’intervento è stato immediato, come raccontano le cronache; il fatto che, nonostante ciò, non sia bastato, ricorda il limite del controllo umano di fronte a eventi acuti e imprevedibili. È una verità scomoda, che non assolve nessuno e non incolpa nessuno: nell’attesa che le autorità competenti diano eventuali riscontri clinici ufficiali, resta un invito alla prudenza e alla responsabilità nel trattare cause e dinamiche che solo i medici possono certificare.

    Sul piano sportivo, la decisione di interrompere la gara è la risposta corretta: di fronte alla morte, la competizione perde significato. Per gli atleti, lo staff e gli spettatori, il ritorno all’ordinario sarà graduale. È comprensibile che la Lega e la Federazione valutino tempi e modalità per l’eventuale recupero, ma nessuna calendarizzazione potrà archiviare in fretta la ferita.

    UN PROFILO TECNICO-UMANO

    Chi ha lavorato con Žižović lo descrive come un allenatore capace di coniugare ordine e coraggio: linee strette, baricentro dinamico, ricerca delle ampiezze con esterni pronti a stringere sul lato debole. La predilezione per il 4-2-3-1 suggerisce un’idea di squadra in cui il trequartista – ruolo che fu il suo – diventa cerniera tra le linee. Ma oltre ai moduli, restano i racconti degli spogliatoi: la cura del dettaglio, la calma esibita nei momenti caldi, la capacità di accorciare le distanze con i giocatori senza scadere nel cameratismo. Sono tratti che spiegano perché, in pochi giorni, avesse già conquistato il Radnički 1923.

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