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Serie C

Il presidente tuona: «Pronto a portare la squadra a giocare in un'altra città se le cose non cambieranno»

Il numero uno della vice capolista è pronto ad azioni eclatanti se non si risolverà la diatriba con il Comune sull'impianto sportivo

LECCO SERIE C - ANIELLO ALIBERTI

LECCO SERIE C - Aniello Aliberti, presidente del Lecco dall'estate 2024 dopo aver in passato posseduto anche la Salernitana

Allo stadio di via Don Pozzi l’odore di gasolio rimane sospeso nell’aria anche dopo il triplice fischio. Quando scende il buio, le luci del «Rigamonti‑Ceppi» si accendono grazie a un generatore termico: è il simbolo perfetto di un impianto che vive di soluzioni tampone. Ed è il detonatore che ha spinto il presidente Aniello Aliberti a rompere gli indugi: «Senza risposte in tempi rapidi, le partite casalinghe del Calcio Lecco 1912 si giocheranno altrove, fino a 50 chilometri di distanza». Parole nette, pronunciate nella conferenza stampa trimestrale e ribadite poche ore dopo: «non voglio essere preso in giro». Un ultimatum che incendia il dibattito cittadino e costringe Palazzo Bovara a mettere in fila priorità, responsabilità e tempi.

LA POSTA IN GIOCO: NON SOLO UN CALENDARIO
L’eventuale «esilio» del Lecco andrebbe oltre il disagio per i tifosi. Sarebbe un colpo alla credibilità della piazza e alla sostenibilità del progetto sportivo varato dalla nuova proprietà nel 2024, quando il club è passato dalla famiglia Di Nunno alla holding della famiglia Aliberti. Allora furono promesse ricapitalizzazione e investimenti, ma oggi è il capitolo impianti a dettare l’agenda. E nelle ultime uscite pubbliche, Aliberti ha alzato la voce: «Discorso chiuso con il Comune» finché non arriveranno impegni concretissimi. In conferenza ha persino ipotizzato una soluzione provvisoria: affittare un gruppo elettrogeno moderno in container per superare l’inverno, a fronte di un costo stimato in circa 250 mila euro — cifra che però non risolve il problema strutturale e che, a fine stagione, «ti porti via». Da qui la minaccia: finire l’annata a Lecco e poi cercare uno stadio alternativo nel raggio di 50 chilometri. Un messaggio inequivocabile rivolto non solo al sindaco Mauro Gattinoni, ma all’intero ecosistema cittadino che ruota attorno allo stadio.

IL COMUNE
Dall’altra parte, il Comune di Lecco rivendica un dato: la convenzione in vigore assegna alla società sportiva tanto la manutenzione ordinaria quanto quella straordinaria dello stadio, pur essendo l’impianto di proprietà pubblica. «È scritto nero su bianco», ha ricordato più di una volta in tempi non sospetti il sindaco Gattinoni, aggiungendo che alcune opere potranno essere riconosciute o cofinanziate, ma nei limiti di tempi e bilanci della pubblica amministrazione. Un passaggio che fa chiarezza sul quadro giuridico e sposta il baricentro del confronto su priorità, programmazione e cash-flow.

LAVORI FATTI E DA FARE
Il 19 maggio 2025 sono partiti gli interventi per l’abbattimento delle barriere architettoniche nel settore Distinti: servizi igienici dedicati, nove nuove postazioni carrozzine, rampa adeguata e sistemazione dei solai. Opere condivise tra Comune e Calcio Lecco, con chiusura indicata per la prima metà di luglio e conseguente aggiornamento della capienza totale a circa 5.433 posti. Segnali positivi, che testimoniano come la macchina possa muoversi quando responsabilità e risorse si incastrano. Ma restano da sciogliere i nodi più onerosi.

DOVE POTREBBE GIOCARE IL LECCO SE LASCIASSE IL RIGAMONTI-CEPPI?
Nelle parole di Aliberti l’orizzonte è chiaro: un impianto alternativo nel raggio di 50 chilometri. In quel cerchio finiscono diverse opzioni lombarde, da valutare per disponibilità, costi, capienza, omologazioni e coabitazioni con altre squadre. Un «trasloco» comporterebbe: 1) costi operativi maggiori (affitto, stewarding, trasporti); 2) impatto su abbonati e incasso gara; 3) gestione logistica di giovanili e attività accessorie; 4) perdita di «territorialità» in un campionato in cui il fattore campo è spesso decisivo.L’ipotesi non sarebbe inedita in Serie C, ma resterebbe un passaggio traumatico per una piazza che rivendica il proprio stadio come bene identitario.

UN IMPIANTO CON MOLTA STORIA E UN PRESENTE DA RISCRIVERE
Il «Rigamonti‑Ceppi» è un frammento di storia cittadina: inaugurato negli anni ’20, ingrandito negli anni ’60 per la Serie A, rimodulato negli ’80, convertito al sintetico nel 2018. Ogni stagione aggiunge un capitolo; l’estate 2025 ha portato il cantiere dell’accessibilità, l’autunno l’aggiornamento della capienza e un intervento di «ringiovanimento» del manto artificiale. Ma gli stadi, come le squadre, invecchiano se non si allenano: l’aggiornamento degli impianti elettrici non è un vezzo, è un requisito. E nella Serie C di oggi, tra diritti tv e standard più stringenti, l’impiantistica non è più il «dopo»: è il «prima».

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