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15 Novembre 2025
Mattia Caldara dice basta: «Il mio corpo mi ha tradito»
Chi l’avrebbe mai detto? Un centrale cresciuto all’ombra di Bergamo, proiettato verso l’élite, costretto a fermarsi al minuto più bello. Mattia Caldara alza il cartellino rosso alla propria carriera: «Caro calcio, io ti saluto. Ho deciso di smettere». Parole che rimbombano come un pallone stampato sul palo al 90’. È il 15 novembre, ore 10:06, a Milano il cielo è grigio ma la voce di Mattia è chiarissima: basta inseguire l’utopia del “Caldara di prima”, basta dolore, basta protesi. Si abbassa il sipario, entra in campo l’uomo.
«Un foglio bianco, una penna. Chiudo gli occhi, butto fuori l’aria... Caro calcio, io ti saluto. Ho deciso di smettere». Poi la frase che ti entra nelle caviglie: «Mattia non hai più la cartilagine della caviglia. Se continui tra qualche anno dovremo metterti una protesi». È luglio 2025 quando uno specialista lo mette davanti al bivio. «Il mio corpo mi aveva tradito. Questa volta, forse, in modo definitivo». A 31 anni l’ex difensore di Atalanta e Milan sceglie la vita, prima del pallone.
Tutto nasce in oratorio, col nonno che lo accompagna al primo allenamento, la pasta di mamma prima delle partite, i viaggi in moto con papà. A 17 anni il primo allarme: tendine rotuleo lesionato. Ma il talento non si spegne. Il 2 ottobre 2016 la svolta: prima da titolare con l’Atalanta contro il Napoli. «Venivo da anni di prestiti in B… Ho iniziato a giocare, non sono più uscito». Da sconosciuto a intervistato ogni giorno: il campo, intanto, gli stava già cucendo addosso l’abito del grande. Dicembre: «Sono stato preso dalla Juve». Nel 2018 arriva a Torino, ma la BBC (Chiellini, Bonucci, Barzagli) è una muraglia. «Abbi pazienza Mattia. Resta qui», gli dice Giorgio Chiellini. Il treno si ferma al ritiro estivo, poi la chiamata del Milan. «Guardando indietro sarebbe stato meglio rimanere lì… Mi sono mancate forza mentale e maturità… È il più grande rimpianto che ho». Una confessione schietta come un tackle a piede aperto: «Il non essere rimasto a Torino sì».
Ottobre, allenamento a Milanello: «Una sensazione mai provata, come se qualcuno mi avesse sparato sul tendine». Mesi per risalire. Marzo: rientro in Coppa Italia contro la Lazio. Musacchio è squalificato, la Serie A chiama per il debutto col Milan. Giovedì, rifinitura: «Borini mi cade sul ginocchio. “Crack”… La gamba non mi reggeva, il mio ginocchio era spappolato». Sul lettino, lo sguardo di Paolo Maldini racconta più di mille parole. «Dal tendine mi ero ripreso, il ginocchio era diverso… “Non tornerò più quello di prima”». Ecco la frattura, non solo del legamento ma di una certezza. Poi il ritorno all'Atalanta in prestito e le avventure con Venezia, Spezia prima dell'unica presenza della seconda avventura in rossonero, il 25 maggio 2024 nell'ultima giornata con la Salernitana (finì 3-3). Poi l'ultimo atto, il 2024/2025 vissuto al Modena in Serie B; lascia il club emiliano al termine della stagione, alla scadenza naturale del proprio contratto.
«Ero nel punto più alto della mia carriera, poi in pochi secondi è cambiato tutto». Anni di cure e ricadute, «un tendine rotuleo rotto», la caviglia senza cartilagine. E la testa, soprattutto. «Tristezza, frustrazione, buio… Non so se si chiami depressione. So, però, cos’ho provato». La bolla si chiude attorno a lui: «Mia moglie e i miei genitori avevano paura di chiedermi come stessi… "Non ti riconosco più, non sei te stesso"», le parole della moglie che gli restano dentro; anche papà glielo confessa. «Le spegni. Le contamini con il tuo malessere». Aspettative, pressioni, la rincorsa a un’utopia che logora più di un supplementare senza fine.