Serie C
18 Novembre 2025
SORRENTO SERIE C - Mirko Conte, ex difensore classe 1974, era arrivato la scorsa estate in rossonero dopo l'esperienza della stagione precedente alla Turris
C’è un’immagine che racconta più di molte parole: lo Stadio Italia vuoto, ancora in cantiere, e una squadra che da due stagioni gioca «in casa» a Potenza. Nel frattempo, la classifica si fa pesante, il calendario non aspetta, e il club decide di intervenire con la freddezza di chi sa che rimandare costerebbe di più. Il 18 novembre 2025 il Sorrento ha cambiato pelle in un pomeriggio: separazione consensuale con il direttore sportivo Alessandro Amarante ed esonero del tecnico Mirko Conte, ex difensore da calciatore e poi vice alla Juventus Next Gen, accompagnato all’uscita insieme a parte del suo staff. Una doppia mossa che suona come un manifesto: serve un’altra rotta, subito.
IL SIGNIFICATO SPORTIVO: LA QUESTIONE TEMPORALE
Il Sorrento ha messo insieme solo 2 vittorie in 14 partite di campionato, con un filotto di 8 risultati utili spezzato dai ko contro Crotone e Audace Cerignola. Un trend che, unito alla zona calda della classifica, ha spinto il club a intervenire. Parallelamente, più fonti nelle ultime 24-48 ore hanno anticipato l’intenzione societaria di rivedere non solo la guida tecnica ma anche l’assetto dell’area sportiva, con Davide Cacace, «storica bandiera rossonera» e fino a oggi responsabile dell’area tecnica, indicato come profilo in rampa di lancio per il ruolo di direttore sportivo.
LA SCELTA DI CONTE, L'IDEA DI CONTE
Il cortocircuito è evidente: Mirko Conte, scelto a giugno con un annuncio ufficiale e salutato come tecnico di metodo e campo, paga una striscia negativa in un girone complesso come il C. La sua nomina, lo scorso 14 giugno 2025, era stata accolta come un passo ambizioso dopo l’addio a Giovanni Ferraro e la salvezza raggiunta nel 2024-2025. Il profilo dell’allenatore, ex difensore di Inter, Napoli, Sampdoria, vice in Svizzera e quindi alla Juventus Under 23 Next Gen, poi alla Turris, portava con sé una promessa: organizzazione, intensità, cura dei dettagli. Ma la Serie C non aspetta.
L'OSTACOLO INVISIBILE: GIOCARE FUORI CASA DA 2 ANNI
È impossibile leggere i risultati del Sorrento senza considerare un dato «fuori campo» ma decisivo: il club non gioca nel proprio stadio dal 7 maggio 2023. Per due stagioni, gare interne a Potenza (stadio «Viviani»), per l’indisponibilità dello Stadio Italia e per una lunga trafila di dinieghi e ritardi. La società lo ha denunciato in più di un comunicato, parlando di «totale disinteresse delle Istituzioni» regionali nell’offrire un impianto a norma in Campania per la Lega Pro. Il tema è rimbalzato anche sulla stampa nazionale, che ha raccontato l’anomalia di una tifoseria costretta a chilometri di distanza da casa. Un vantaggio competitivo sottratto che, alla lunga, pesa in punti e in energie.
LA PANCHINA: CRITERI DI SCELTA TRA VARI NOMI
Nel vortice dei candidati, sono emersi i profili di Cristian Serpini (protagonista del «miracolo Carpi» tra 2023 e 2025) e, in alcune ricostruzioni, anche quello di Andrea Dossena. Oltre la cronaca, la domanda vera è: che allenatore serve al Sorrento, oggi? Uno che sappia lavorare su: 1) costruzione bassa pulita ma elastica, per ridurre gli errori in uscita che hanno pesato nei finali; 2) gestione delle transizioni difensive, tallone d’Achille riemerso nei secondi tempi; 3) valorizzazione delle corsie, dove i rossoneri hanno il maggior potenziale di progressione. Il profilo ideale, quindi, non è necessariamente quello «di nome», ma un tecnico capace di portare principi chiari in poco tempo e di fare «micro-allenamenti» ad alto impatto tra un turno e l’altro.
NON SOLO RISULTATI, IL FATTORE PSICOLOGICO
Il Sorrento ha vissuto negli ultimi 30 mesi una successione di cambi tecnici e scelte correttive: da Vincenzo Maiuri (l’artefice della promozione in Serie C) a Enrico Barilari, poi Giovanni Ferraro, fino alla scommessa Conte. Ogni volata salvezza ha un pedaggio psicologico. A un certo punto, anche un club solido deve ridare certezze e semplificare processi. L’assenza di uno stadio amico, con tutto ciò che comporta in termini di abitudini, routine e stimoli, amplifica ogni piccola crepa. Da qui l’esigenza di riaccendere subito la competitività: riportare la squadra a una media-punti da salvezza diretta e riallineare lo spogliatoio a un lessico comune. La rivoluzione attuale ha un senso se porta identità, prima ancora che risultati.