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Serie A

Compie 100 anni l'allenatore che rese la Regione Campione d'Italia per la prima e unica volta, disciplina e ironia le sue armi

Storia di un tecnico controcorrente che vinse lo Scudetto: insegnò che il calcio è regola e libertà, metodo e fiducia nei giocatori

CAGLIARI SERIE A - MANLIO SCOPIGNO

CAGLIARI SERIE A - Manlio Scopigno nacque a Paularo in Friuli Venezia Giulia il 20 novembre 1925 e morì a Rieti nel 1993 (FB Cagliari Calcio)

È una domenica di vento, 12 aprile 1970. Nello stadio di Amsicora, a Cagliari, l’aria odora di salsedine e sigarette. In panchina, al posto dell’allenatore, c’è un vuoto: Manlio Scopigno è squalificato. Eppure, il suo Cagliari gioca come se la voce del «Filosofo» arrivasse comunque, a bassa frequenza, tra una diagonale perfetta e una ripartenza pulita. È il giorno dello scudetto. Il più improbabile, il più coerente con la sua idea di calcio: togliere rumore, lasciare spazio all’intelligenza. E dare fiducia ai calciatori perché si sentano adulti. Nato a Paularo il 20 novembre 1925 e scomparso a Rieti il 25 settembre 1993, Scopigno ha legato il proprio nome a una visione capace di anticipare i tempi: tattica non come gabbia, ma come linguaggio condiviso; allenatore non come sorvegliante, ma come regista discreto. A 100 anni dalla nascita, il suo lascito è più vivo che mai.

LE ORIGINI: TERZINO ELEGANTE, MENTE CURIOSA
La biografia di Scopigno sembra un paradosso: friulano d’anagrafe, cresciuto calcisticamente a Rieti, dove si trasferì da ragazzo e alla quale rimase legatissimo fino alla fine. Da calciatore fu un difensore destro dal passo elegante: Rieti (1946-1948), Salernitana (1948-1951), Napoli (1951-1953), Catanzaro (1953-1954). Un grave infortunio al ginocchio spezzò presto una carriera promettente, ma rivelò l’altra: quella dell’allenatore capace di leggere gli uomini oltre gli schemi. Negli anni da studente lavoratore a Roma s’iscrisse alla Sapienza: non diventerà un accademico, ma l’abitudine alla lettura, al cinema, all’arte gli restò addosso come un modo di stare al mondo. Lo chiamavano «il Filosofo» non per posa, ma per attitudine: poche parole, mai banali.

DALLA PROVINCIA ALLA SERIE A
Allenatore-giocatore a Rieti, poi le prime esperienze in panchina tra Ortona e lo stesso Rieti. La svolta arriva come vice al Lanerossi Vicenza, quindi da primo allenatore: 1961-1965 per forgiare una squadra ordinata, competitiva, dal calcio essenziale. Nel 1965-66 passa al Bologna in Serie A: campionato intenso, secondo posto sfiorato nella memoria cittadina, e una stagione che rimane negli archivi rossoblù come tappa significativa. È qui che Scopigno consolida un’idea: squadra corta, prima il senso del gioco, poi la corsa.

CAGLIARI, LABORATORIO DI IDEE MODERNE: IL LIBERO DI COSTRUZIONE
Nel 1966 approda a Cagliari. È l’inizio della storia. La rosa non è lunga, ma è ricca di personalità: Riva, Domenghini, Nenè, Greatti, Niccolai, Albertosi. Scopigno non colonizza lo spogliatoio: lo ascolta. Niente ritiri punitivi, niente orari da caserma. Una regola non negoziabile: responsabilità. Il gruppo diventa un organismo che ragiona. Quando serve, il «Filosofo» abbassa la voce: così lo si ascolta meglio. La sua intuizione più citata è una rivoluzione gentile: arretrare Pierluigi Cera a «libero» con licenza di impostare. Il 11 gennaio 1970, dopo il grave infortunio del titolare Giuseppe Tomasini, Scopigno decide di ridisegnare l’asse: Cera, nato centrocampista, retrocede ma non rinuncia all’anticipo, all’uscita palla al piede, alla verticalizzazione. Non un semplice tappabuchi: è la nascita del «libero di costruzione» in salsa italiana, un modello che influenzerà Scirea e Tricella negli anni successivi. Quella mossa, più di molte lavagne, dice chi era Scopigno: non farsi legare dal ruolo, ma costruire attorno alle qualità dei suoi calciatori.

LO STORICO SCUDETTO 1969-1970
Il Cagliari 1969-1970 è un’opera compiuta. I numeri sono scolpiti: 45 punti (media inglese), frutto di 17 vittorie, 11 pareggi e appena 2 sconfitte; 43 reti segnate e solo 11 subite in 30 partite: una difesa impermeabile, ancora oggi riferimento storico nei tornei a 16 squadre. Dietro, Inter a 41 e Juventus a 38. Record, equilibrio, freddezza. E un dato quasi «scopignano»: lo scudetto arriva con l’allenatore lontano dalla panchina per buona parte del girone di ritorno. Il 14 dicembre 1969 a Palermo, un gol di Riva viene annullato per segnalazione dell’assistente Cicconetti. Scopigno protesta, prima in campo, poi, a gara finita, con parole durissime: il 23 dicembre il giudice sportivo lo squalifica per 5 mesi (poi ridotti a 4). Da quel momento il Cagliari vince senza il suo allenatore in panchina, ma con lui a dirigere gli allenamenti e a impartire, attraverso il vice Ugo Conti, l’ordito tattico. Sembra un paradosso; è la conferma del metodo: il gruppo è adulto, l’allenatore ha già costruito una grammatica interna. «Dalla tribuna si vede meglio», dirà con ironia chi lo conosce bene.

STATI UNITI, UN'ANTEPRIMA DI GLOBALIZZAZIONE
Nel 1967 il Cagliari vola negli Stati Uniti per giocare, con il nome di Chicago Mustangs, la United Soccer Association: una lega «importata», nella quale franchigie americane schierano squadre europee e sudamericane già formate. In panchina c’è Scopigno, in campo anche Roberto Boninsegna, capocannoniere del torneo con 11 gol in 9 presenze. Un terzo posto di girone e un’esperienza che racconta un’epoca: calcio globale ante litteram, viaggi, adattamento, nuove pressioni mediatiche. Anche lì, lo stile Scopigno: organizzazione, misura, ironia. La cifra umana di Scopigno è stata nel dialogo e nella responsabilizzazione. In un calcio che a fine anni ’60 sta irrigidendosi tra marcature e ritiro permanente, lui taglia gli eccessi: meno imposizioni, più fiducia. Il ritiro? Solo quando serve. Le consegne? Chiare, ma non infantili. Cento anni dopo, il suo nome continua a reggere la domanda più severa che si possa fare a un allenatore: hai lasciato la squadra migliore di come l’hai trovata? Nel 1970, in Sardegna, la risposta restò scritta sul tricolore. E non si è più cancellata.

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