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A 40 anni dice addio al calcio l'archetipo del mediano moderno: vinse tutto con il Manchester City

Fernandinho smette; l'ultima esperienza lo scorso dicembre con l'Athletico Paranense, era svincolato da gennaio 2025

“Ho corso abbastanza”: Fernandinho saluta il calcio a 40 anni, tra lucidità e gratitudine

Fernandinho saluta il calcio a 40 anni, tra lucidità e gratitudine

La scena è quasi domestica, lontana dai riflettori delle finali: una serata di beneficenza alla Ligga Arena di Curitiba, qualche scatto con i tifosi, il respiro ancora corto dopo una mezz’ora di corsa. Poi le parole, semplici e spiazzanti: “Sono già stanco… nel calcio non ho più alcuna motivazione. Ora è tempo di godermi la famiglia”. Così Fernandinho – nato il 4 maggio 1985, campione di equilibrio e letture – ha messo il punto alla sua carriera. Un punto fermo, non un colpo di teatro. A 40 anni, e dopo quasi un anno vissuto senza contratto, l’ex centrocampista di Shakhtar Donetsk, Manchester City e Athletico Paranaense saluta il pallone giocato con una lucidità che gli è stata compagna per oltre due decenni.

UNA SCELTA MATURATA NEL TEMPO

La scelta non è figlia di un giorno. Il contratto con l’Athletico Paranaense è scaduto a fine dicembre 2024 e non è stato rinnovato: il club, reduce da una stagione difficile culminata nella retrocessione, ha avviato una ristrutturazione; il giocatore ha preso atto che la spinta interiore si era esaurita. Da gennaio 2025 il brasiliano era formalmente svincolato, in attesa di capire se corpo e testa avrebbero chiesto un’ultima sfida. Non l’hanno fatto. “Non ho più nulla da dimostrare. Ho già ottenuto quello che dovevo”, ha spiegato durante l’evento benefico a Curitiba. Parole che confermano un addio ponderato, più di sostanza che di scena.

L’ultimo atto ufficiale da professionista resta l’8 dicembre 2024: Atlético Mineiro–Athletico Paranaense 1-0, Serie A brasiliana. Un match che chiude un ciclo più che una stagione, e che segna l’ultima presenza del numero 5 in maglia rossonera. Quasi un anno dopo, nella stessa città, con uno spirito diverso e con in tasca soltanto l’altruismo della beneficenza, Fernandinho ha pronunciato il suo “basta”. È un cerchio che si chiude dove era cominciato: a Curitiba, casa calcistica e affettiva.

DALLO SHAKHTAR AL CITY: L'ARCHETIPO DEL MEDIANO MODERNO

Per capire cosa perde il calcio con l’addio di Fernandinho bisogna tornare al 2005, quando lascia il CAP per abbracciare la scuola tattica e tecnica dello Shakhtar Donetsk. In Ucraina diventa subito molto più di un interditore: palleggio corto e pulito, capacità di uscire da pressioni complesse, tempi di accorcio, aggressività “educata”. Risultato: sei campionati ucraini, quattro coppe nazionali e la storica Coppa Uefa 2008/09. Un bagaglio che nel 2013 lo porta al Manchester City di Pep Guardiola (arriverà tre anni dopo) e di un club proiettato verso il dominio del gioco.

In Inghilterra Fernandinho si trasforma nel mediano-totem del ciclo contemporaneo dei Citizens: equilibrio sistemico, duelli gestiti con il corpo prima che con il fallo, linee di passaggio chiuse con anticipo più che con rincorse. Con il City colleziona 383 presenze complessive e 13 trofei, tra cui 5 Premier League e 6 EFL Cup; è il giocatore che, per continuità, ha dato struttura a un’idea di calcio che vive di rischi calcolati e di controllo delle transizioni. Nell’era dei “registi fisici”, il brasiliano è stato manuale vivente.

Le sue performance in Premier League sono fotografia e sostanza: 264 presenze nel campionato inglese, 20 reti e una costanza di intercetti tra i migliori valori di squadra, dettaglio che racconta il suo modo di leggere anzitutto il “prima” dell’azione avversaria. Non solo corsa: anche geometria preventiva.

IL RITORNO IN BRASILE 

Nel 2022 la traiettoria si riavvolge: Fernandinho rientra a Curitiba, al CAP, con la volontà – dichiarata – di chiudere il cerchio dove era iniziato tutto. In due stagioni e mezza mette insieme oltre un centinaio di partite, contribuisce ai Paranaense vinti nel 2023 e nel 2024, e guida un gruppo giovane in un Brasileirão sempre più competitivo e diseguale. L’epilogo – il club retrocede – è distante dall’idea romantica che tutti avevano immaginato. Ma le storie vere, quelle che valgono, accettano anche il controcanto della realtà.

La separazione, formalizzata il 1° gennaio 2025, nasce dall’incrocio di necessità: il club deve ricalibrare risorse e ambizioni dopo la discesa in Série B; il giocatore percepisce che la spinta interiore non è più la stessa. Niente strappi, nessuna promessa tradita: resta una lettera aperta ai tifosi e una riconoscenza reciproca che, al netto di qualche reazione a caldo sui social, ha segnato il rapporto tra il capitano e la sua gente.

Le parole che contano: stanchezza, famiglia, misura

Sono già stanco… Nel calcio non ho più motivazioni… Ora è tempo di godermi la famiglia.” In un’epoca in cui gli addii diventano spesso narrativa autocelebrativa, Fernandinho spiazza con la normalità. Nessun proclama, nessuna iconografia costruita: solo una dichiarazione onesta dopo un match di beneficenza, come se l’ultimo dribbling fosse stato quello attorno all’enfasi. È un manifesto involontario di una generazione che ha messo il mestiere prima dell’io.

LA NAZIONALE E L'EREDITÀ TECNICA

In Seleção la storia è quella di un fedele gregario: 53 presenze tra 2011 e 2019, due Mondiali vissuti da dentro (2014 e 2018) e la Copa América 2019 sollevata a fine percorso. È lo stesso profilo che ha accompagnato Fernandinho ovunque: utile, affidabile, quasi “silenzioso”. Nel calcio dell’iper-narrazione, lui ha scelto di far parlare il campo, le distanze accorciate, la protezione dello spazio tra le linee.

Al City i numeri dei trofei riempiono le bacheche, ma la memoria dei compagni e degli allenatori esalta soprattutto ciò che non entra nelle statistiche: l’abitudine a “chiudere” la transizione sul primo controllo avversario, l’arte di “scivolare” lateralmente per dare sempre una linea di passaggio al centrale in uscita, la protezione del corridoio interno per evitare che la squadra venisse infilata centralmente. È il patrimonio invisibile che dal 2013 ha reso più semplice la vita a difensori, terzini invertiti e mezzali aggressive. E che ha permesso a Guardiola di spingersi con coraggio su principi estremi di occupazione offensiva, sapendo di avere dietro una bussola.

OLTRE IL CAMPO

C’è un’eredità tecnica, ma anche una culturale. Al City Football Academy c’è un mosaico dedicato a Fernandinho, simbolo di un club che negli anni ha imparato a celebrare non solo i numeri dieci ma anche i numeri cinque che tengono in piedi l’architettura del gioco. È il riconoscimento di un’idea di squadra, in cui il talento è anche saper scegliere quando non intervenire. Una lezione che non invecchia.

Nei mesi scorsi non sono mancati sussurri su un possibile ritorno a Manchester in vesti tecniche, segno di una stima che travalica il campo. Ipotesi che lo stesso contesto familiare e i tempi della vita post-carriera dovranno eventualmente incrociare: oggi, nelle sue parole, c’è prima di tutto la necessità di restare con i propri cari. E questo, paradossalmente, è l’ultimo atto di leadership: saper dire stop quando si è dato tutto. Piccole, grandi cose che gli hanno consentito di stare al centro del campo per oltre 600 partite tra club e nazionale, senza mai far mancare l’essenziale: essere affidabile. Oggi il calcio saluta un campione della normalità straordinaria. E non è poco. In fondo, questa storia finisce come doveva: con la sincerità di un campione che riconosce il momento giusto. “Sono stanco, voglio la famiglia.” Semplice. Autentico. Definitivo.

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