News
21 Novembre 2025
Erling Haaland, il giocatore più pagato della Premier League (foto: Attribution 4.0 International - Haute.at)
Per la prima volta, nella casa del campionato più ricco del mondo, la discussione non è “chi compriamo?”, ma “quanto possiamo davvero spendere?” La Premier League ha imboccato la via della disciplina: il nuovo sistema del Squad Cost Ratio impone che l’insieme di stipendi, ammortamenti dei cartellini e compensi agli agenti non superi l’85% dei ricavi calcistici (più/minusvalenze da cessioni), con finestre di flessibilità misurate e sanzioni graduate. È un cambio di paradigma votato il 21 novembre 2025 con un margine minimo: 14 club favorevoli, 6 contrari.
Il via libera al Squad Cost Ratio (SCR) è arrivato in un’assemblea azionaria infuocata: “sì” di misura allo SCR, bocciato invece l’anchoring (il tetto agganciato ai ricavi del club più piccolo), passato all’unanimità il pacchetto di “Sustainability and Systematic Resilience (SSR)”, una sorta di check-up su liquidità, leva finanziaria e capacità di assorbire shock come la retrocessione. Il nuovo sistema entrerà in vigore dalla stagione 2026/27, dopo l’ultimo anno-ponte con le ormai note Profitability and Sustainability Rules (PSR). La Premier League rivendica una lunga consultazione e sottolinea la coerenza con gli obiettivi del futuro regolatore indipendente.
Per i club impegnati nelle competizioni europee, si applica il tetto UEFA più severo: il 70%. La regola europea — introdotta con il pacchetto di “Financial Sustainability Regulations” che ha sostituito il vecchio Financial Fair Play — copre salari di calciatori e allenatori, ammortamenti dei cartellini e commissioni agli agenti, come quota massima dei ricavi rettificati e del risultato da trasferimenti. È in vigore a regime dal ciclo 2025/26, dopo un progressivo avvicinamento (90% nel 2023/24, 80% nel 2024/25, 70% dal 2025/26).
Il cuore della riforma è il “costo della rosa”: dentro ci finiscono gli stipendi, gli ammortamenti dei cartellini e le commissioni agli agenti. L’obiettivo è frenare l’inflazione salariale e la spirale dei trasferimenti, collegando la spesa alla capacità di generare ricavi. Il tetto standard è l’85% per la Premier League, con un “green threshold” a quell’altezza e un “red threshold” più in alto, pensato come linea invalicabile per evitare distorsioni competitive.
Sforare l’85% ma restare sotto il limite “rosso” comporterà sanzioni pecuniarie, senza penalità sportive immediate. Oltre il “rosso”, scatteranno sanzioni sportive fino alla deduzione di punti. La stampa inglese indica il “rosso” attorno al 115%, soglia associata a penalizzazioni in classifica. Le verifiche saranno scandite: controllo a marzo (dopo il mercato invernale) e monitoraggio a ottobre. Un modo per prevenire corse all’ultimo minuto e calmierare i colpi di gennaio. Esiste un “multi-year allowance” fino al 30% per spendere oltre l’85% su base pluriennale, ma attivarlo comporterà un prelievo e, una volta esaurita, l’obbligo di rientrare nell’85% o subire sanzioni.
Una novità sostanziale: non si potranno più usare vendite di asset (come hotel o la squadra femminile) a parti correlate per sistemare i conti ai fini del fair play domestico. È una chiusura di un circolo vizioso che aveva fatto scuola con casi molto discussi, tra cui la cessione dei due hotel di Stamford Bridge da parte del Chelsea a una società del medesimo gruppo e le operazioni su team femminili di Chelsea, Aston Villa ed Everton. Con lo SCR, quei ricavi “extra-contabili” non potranno essere usati per rientrare nei parametri di spesa.
Negli ultimi due anni il sistema inglese ha vissuto una tensione crescente: tra chi spingeva per più libertà d’investimento — spesso club con proprietà forti o in crescita — e chi chiedeva regole dure per evitare corse al ribasso sulla sostenibilità. Il rinvio, a inizio 2025, dell’adozione anticipata delle nuove regole aveva segnalato che il cantiere non era chiuso; il voto del 21 novembre 2025 fissa finalmente una meta, con l’obiettivo di rendere la Premier compatibile con i paletti UEFA e più robusta agli shock.
In parallelo, UEFA ha cominciato ad applicare il nuovo corso con multe e settlement: casi come Roma, Aston Villa, Chelsea e altri club hanno già sperimentato che il 70% europeo è un tetto reale, non un auspicio. La convergenza delle regole riduce il rischio di “arbitraggio regolatorio” tra tornei.
Per i club con fatturati monstre — diritti tv internazionali, stadi sempre pieni, brand globali — l’85% lascia spazio di manovra, specie se la gestione sportiva è efficiente e se il conto economico beneficia di plusvalenze da cessioni o di ricavi commerciali innovativi. In più, il “paracadute” del 30% pluriennale può aiutare a gestire annate di transizione o cicli d’investimento più pesanti. Tuttavia, per chi gioca in Europa, il faro resta il 70% UEFA, più stringente: la doppia conformità diventerà l’arte quotidiana dei direttori finanziari.
I club emergenti, spesso senza la potenza commerciale dei top brand, rischiano di sentire di più la cinghia. La logica del tetto percentuale spinge a crescere nei ricavi (stadio, commerciale, academy, diritti), non a forzare sul costo della rosa. Ecco perché molte delle sei contrarie — tra cui, secondo la stampa, Bournemouth, Brentford, Brighton, Crystal Palace, Fulham e Leeds — hanno visto nello SCR un freno alla loro capacità di “aggredire” sportivamente la classifica.
Mettere nello stesso cappello stipendi, ammortamenti dei cartellini e commissioni agli agenti rende più “caro” ogni singolo colpo. Le società dovranno negoziare con più rigore su durata dei contratti (per ridurre l’ammortamento annuo), clausole e ingaggi legati a bonus di performance. Anche gli agenti percepiranno il cambio: le commissioni dovranno trovare un equilibrio in un quadro di cap all-in-one.