Lutto
23 Novembre 2025
Gianni Balugani, classe 1946, ha allenato tra Serie C1 e Serie C2 dirigendo anche in due riprese il Sassuolo
Un cortile silenzioso a Modena, un pallone che rimbalza piano contro un muro e una sedia vuota, come se aspettasse l’uomo che non arriverà più. È in questa immagine che molti hanno scelto di ricordare Gianni Balugani, morto nella sua città natale a 79 anni in una giornata fredda di fine novembre 2025. Un’assenza che fa rumore soprattutto dove la voce si abbassava per ascoltare: negli spogliatoi, nei corridoi degli stadi di provincia, sui campi di allenamento dove, per decenni, il «Mister» ha insegnato a stare in campo ma soprattutto a stare insieme. Un calcio fatto di rapporti umani, di regole chiare e lavoro quotidiano, in cui le panchine si guadagnavano con le idee più che con i contatti. La notizia della scomparsa è arrivata rapida tra gli addetti ai lavori e ai club che ne hanno incrociato il cammino. A Modena lo ricordano da difensore coriaceo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, al Sud da allenatore che sapeva farsi voler bene. La sua biografia è un atlante sentimentale del calcio italiano: Modena, Savoia, Lanciano da calciatore; Lanciano, Teramo, Francavilla, Chieti, Civitanovese, Fano, Maceratese, Monopoli, Ischia, Nocerina, Sant’Anastasia, Casarano, Carpi e un lungo capitolo nel Sassuolo da tecnico. Non un curriculum vistoso, ma un mosaico di storie che compongono il ritratto di un professionista serio, di un «allenatore gentile».
LE RADICI: MODENA, LA B E IL RUOLO DI DIFENSORE
Nato a Modena il 25 maggio 1946, Balugani cresce calcisticamente in un ambiente in cui il pallone è cultura popolare. Con i canarini scrive pagine rispettate in Serie B, mettendo insieme 57 presenze tra i cadetti: un difensore di posizione, pragmatico, capace di leggere prima l’avversario che la palla, figlio di una scuola italiana che formava «marcatori» e non solo atleti. Una breve parentesi al Savoia gli guadagna ulteriore esperienza, poi il trasferimento al Lanciano, dove il rapporto con la città abruzzese diventa affettivo e destinato a protrarsi nel tempo. Con i rossoneri frentani arriva il sigillo da calciatore: la vittoria del campionato di Serie D nella stagione 1977-1978, preludio a una transizione naturale verso la panchina. Le cronache abruzzesi ricordano un ragazzo del Nord che d’estate tornava spesso a Francavilla, quasi un adottato del medio Adriatico, coinvolto nella comunità ben oltre il campo.
IL SALTO IN PANCHINA: INIZIA UNA CARRIERA LUNGA 40 ANNI
La data spartiacque è il 1978: finita la carriera da difensore, Balugani siede per la prima volta su una panchina, proprio quella del Lanciano. Il suo esordio da tecnico è all’insegna della concretezza: un 4° posto alla prima stagione, quindi la conferma. È la scintilla che accende una lunga maratona sulle panchine della Serie C1 e della Serie C2, categorie in cui costruirà una reputazione di allenatore affidabile, capace di dare ordine tattico senza snaturare la personalità dei suoi calciatori. Nel 1982-1983 guida il Teramo in C2 a un 7° posto con 10 vittorie e 11 sconfitte: numeri che fotografano un campionato senza squilli clamorosi, ma ben tenuto sul piano della tenuta difensiva e della disciplina tattica.
UN TECNICO «CON LA VALIGIA»
Tra Marche e Abruzzo, Balugani diventa volto familiare. Alla Maceratese allena in tre stagioni distinte (prima a metà anni ’80, poi nel 1997-1998), contribuendo a costruire gruppi competitivi in Serie C2. Tra Civitanovese e Fano si ritrova spesso a fare i conti con bilanci magri e aspettative robuste: il suo tratto è la gestione delle difficoltà, la capacità di tenere la barra dritta anche quando le classifiche non sorridono. È in quelle stagioni che matura la fama di “gentiluomo della panchina”: lo apprezzano dirigenti, tifosi e soprattutto i ragazzi che allena A fine anni ’80 e lungo i primi anni ’90, il suo baricentro si sposta al Sud. Sulle panchine di Monopoli, Ischia, Nocerina e Sant’Anastasia, Balugani si misura con realtà calde, identitarie, dove il calcio è rito e dovere civile. Nelle stagioni 1990-1991 e 1991-1992 vive un biennio particolarmente significativo al Casarano: in C1 i rossoblù chiudono una volta terzi e un’altra all’ottavo posto, con prestazioni che ancora oggi restano negli album della memoria dei tifosi salentini.
CHIETI E GLI ANNI DEL SAPER STARE SOTTO PRESSIONE
Sulla panchina del Chieti, all’inizio dei ’90, si confronta con un girone di ferro: Palermo, Perugia, Avellino, Reggina e club storici a formare un contesto competitivo, quasi una B mascherata. Le cronache di quelle stagioni, scorrendo risultati e classifica, restituiscono la fotografia di un tecnico che prepara le gare con cura maniacale dei dettagli: fase di non possesso stringata, attenzione alle seconde palle, lavoro individuale sui difensori centrali per tenere la linea corta. Non sempre basta per fare risultato, ma contribuisce a consolidare l’immagine di un professionista serio, che non si fa spaventare dai nomi e non perde lucidità nelle fasi delicate.
IL RITORNO AL NORD: CARPI E SASSUOLO DELLA PRIMA ERA MAPEI
Tra una tappa e l’altra, Balugani torna anche vicino a casa. A Carpi lavora in un calcio che iniziava a immaginare se stesso in grande, ma è soprattutto il Sassuolo a segnare un capitolo speciale: siede sulla panchina neroverde nel 1999-2000 e poi dal 2001 al 2004, agli albori di quello che diventerà un progetto industriale-sportivo capace di portare la squadra dalla C alla Serie A e in Europa League. Non vivrà in prima persona l’apice di quel percorso, ma parte dell’impalcatura culturale – organizzazione, serietà, cultura del lavoro, ha anche la sua impronta. La stessa società neroverde, nel giorno della scomparsa, ha ricordato con cordoglio il tecnico e il legame con la famiglia, sottolineando come l’eredità di Gianni viva anche nel presente: il figlio Davide è l’allenatore della Primavera femminile del Sassuolo, protagonista negli ultimi anni di un percorso in crescita.
FORMIGINE, IL FINALE DI CARRIERA
Dal 2006 al 2019 Balugani è allenatore e dirigente del Formigine, club dilettantistico del modenese. È qui che la sua vocazione di formatore si compie fino in fondo: guidare una società di territorio significa far crescere ragazzi e allenatori, cucire relazioni con le famiglie, portare il metodo della Serie C dentro l’artigianato della provincia. Nel Formigine, Balugani è ricordato come un punto fermo: lo chiamavano per un consiglio sul 4-4-2, ma uscivano dall’ufficio con un’idea sul progetto tecnico per la stagione successiva. Un gestore di persone oltre che di moduli. Un modo di intendere il calcio e la professione che oggi sembra lontano, ma che in molti, tra i giocatori passati dalle sue squadre, ricordano come un patto di responsabilità reciproca.