Questa settimana sono andato alla ricerca di Massimo Piombo - personaggio che non conoscevo. Leggo: stilista creativo e direttore del grande colosso OVS, scrittore. Il suo ultimo libro "Vestire Viaggiare Vivere" - dice - è un breviario manuale della vita, un bignami della mia vita -. Lo leggerò. Questa mia curiosità di conoscerlo mi è venuta dopo aver letto un suo pezzo su un quotidiano non sportivo nella sua rubrica Tagli di Piombo, dal titolo: Tennis e calcio, l'eterna lotta tra l'ego e il team. Lo stilista nel suo articolo mette a confronto i due sport più seguiti in questo momento evidenziando che il tennis è in grande risalita grazie a quei pochi fuoriclasse che ci sono in circolazione.
Da una parte mette il calcio come uno sport di squadra e il tennis come il più avvincente degli sport individuali, nel football poi, dice - anche il più grande campione ha bisogno degli altri per regalare agli stadi gesti da cineteca, mentre per il tennis, l'atleta è solo in un faccia a faccia con l'avversario - paragonandolo addirittura alle gesta di un gladiatore che doveva salvarsi lottando da solo con un animale feroce nella sfida che avveniva nel Colosseo, o quella degli antichi arcieri che con arco, freccia, bersaglio da colpire, che mettevano in gioco la loro vita. Basta sostituire freccia con pallina, e arco con racchetta, e si capirà molto bene la solitudine di chi si scontra in un campo da tennis. Nel tennis poi, aggiunge, non c'è nessuno che può andare in soccorso del giocatore, si è davvero soli al di qua della rete, non è come nel calcio che vige lo slogan dei moschettieri - tutti per uno, uno per tutti - . Il saggista conclude dicendo che non dirà se apprezza di più il gioco di squadra per eccellenza, o quello che indica il tennista - la via della solitudine - .
Non essendo d'accordo con quanto letto vorrei esprimere un mio personale concetto: non c’è atleta più solo al mondo del calciatore con la palla tra i piedi.
Infatti il gioco di squadra non è altro che la somma delle capacità individuali dei singoli giocatori che da soli devono prendere le decisioni giuste nel campo. Si pensa che la solitudine di un calciatore sia alleviata dalla presenza dei compagni di squadra e dall'allenatore, ma è lui a dover affrontare la palla e gli avversari da solo, con la pressione di prendere soluzioni rapide e decisive. Più solo di Roberto Baggio nella finale dei Mondiali di USA 94 contro il Brasile al 106° minuto della partita, lui che ha sbagliato l'ultimo rigore, calciando la palla sopra la traversa, non c’è nessuno. Quel rigore tirato da un uomo solo è entrato nella storia come uno dei più grandi rimpianti del calcio Italiano.
Il tennista da solo con la sua racchetta, domina un campo di 8x11, metri ca. al di qua della rete, idem l'avversario, che sta al di là della stessa. I gesti tecnici del tennista, tutti particolarmente difficili, sono però soltanto otto: servizio, dritto, rovescio, volata, schiacciata, palla corta, palla tagliata, palla liftata. Tutti eseguiti con un unico arto, braccio-mano senza contatti fisici di impedimento della giocata.
Il calciatore con la palla tra i piedi è solo, affronta un campo di 64-75x100-110 metri, con 10 compagni e 11 avversari pronti a contrastarlo. Una gara di calcio è fatta di tanti momenti solitari dei calciatori (non per niente quelli che fanno vincere vengono chiamati solisti). Infatti nel calcio, ripeto, con la palla tra i piedi si è sempre soli, in fase di ricezione e trasmissione, nella guida della palla in velocità, nei lanci lunghi, se fai un assist, negli stacchi di testa aerei, nelle giocate volanti, in quelle acrobatiche, nella fantasia dei dribbling - uno diverso dall'altro - quando fai gol, quando solo davanti alla porta lo sbagli, quando vai al tiro, o provi un pallonetto sul portiere, se vai al cross, o calci una punizione, o un rigore magari decisivo…sei sempre solo.
Non vorrei che il mio articolo passasse per un confronto-scontro tra calcio e tennis, il mio vuole solo evidenziare che la solitudine del tennista che serve, è la stessa del calciatore che tenta una giocata estrosa: la paura di fallire, la speranza di riuscire, la certezza di essere soli con se stessi. La solitudine dell'atleta è la stessa indipendentemente dallo sport. Spero che la mia testimonianza - oltre che al sig. Massimo Piombo - possa servire a chi pensa che il calcio sia più facile per un singolo in quanto ha il sostegno di dieci compagni di squadra e l'allenatore in panchina. Concludo dicendo che, purtroppo, nella nostra Serie A, secondo il mio punto di vista, ci sono rimasti solo più quattro “Sinner”: parlo di Luka Modric, Paulo Dybala, Kenan Yildiz e Nico Paz. Nessun Italiano.