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02 Dicembre 2025
Perché il Wolverhampton si è incastrato in un declino che non è solo tecnico (INSTAGRAM @wolves)
Lo scricchiolio di un’idea: quella di un Wolverhampton stabile in Premier League, capace di crescere nel tempo e di trasformare la propria casa in un’arena moderna. La sera in cui l’ennesima vernice nuova ha provato a coprire le crepe dello Steve Bull Stand, un tifoso ha indicato con il dito un pannello rovinato e ha sussurrato: “Qui, un tempo, si costruiva; oggi si rimanda”. Nel frattempo, in campo, una squadra che dall'ambizione di volersi guadagnare un posto in Europa, si è abituata a guardarsi alle spalle per la salvezza, spesso fino a maggio con la calcolatrice in mano. È qui che inizia il racconto del declino recente dei Wolves, iniziato all’addio di Nuno Espírito Santo nel 2021 e alimentato, stagione dopo stagione, da scelte tecniche discontinue, conti da quadrare e un progetto stadio naufragato.
Il commiato di Nuno Espírito Santo al Molineux, 23 maggio 2021, è stato un momento identitario. Con lui i Wolves erano risaliti dalla Championship e avevano toccato l’Europa; senza di lui, la traiettoria si è fatta incerta: cambi in panchina, cicli incompiuti, una proposta di gioco che ha perso spessore e continuità sin dalla gestione di Bruno Lage nel 21-22. La “scossa” più evidente è arrivata nel 2022-23, quando la squadra era ultima a Natale e ha risalito la china soltanto con l’avvento di Julen Lopetegui, centrando la salvezza in primavera. Il dato, oltre la narrativa, conta: la permanenza fu messa al sicuro nelle ultime settimane, confermando un club che non corre più in avanti, ma arretra passo dopo passo per non scivolare del tutto.
Nel 2023-24 il Wolverhampton è tornato a respirare un po’ meglio sotto la guida di Gary O'Neil ma non ha invertito la tendenza: 14° posto con 46 punti, senza crollare ma senza segnali di crescita strutturale. Un campionato “ponte”, insomma, prima di un 2024-25 più sofferto: 16° posto con 42 punti, salvezza agguantata all’ultima curva di maggio 2025. E l’autunno 2025-26 si è aperto nel peggiore dei modi: avvio senza vittorie, l’esonero di Vítor Pereira a inizio novembre 2025 e il ritorno “a casa” di Rob Edwards, chiamato a rimettere in asse una stagione già in salita. I comunicati e i referti di gara dicono molto più di tante frasi fatte.
Nel 2018, l’allora sogno da 50.000 posti era il manifesto dell’era Fosun: consolidarsi in Premier League e ampliare il Molineux, restando sul sito storico. Dopo la pandemia, però, il piano è stato ridimensionato fino alla dichiarazione – molto netta – dell’executive chairman Jeff Shi nel 2025: “capacità attuale 32.000 buona, semmai un giorno si andrà a 35/40 mila, ma non è urgente; la priorità sono gli spazi di ospitalità, lo Steve Bull Stand è vecchio e va migliorato; si faranno tweak, non una ricostruzione totale”. È una frase che fotografa il cambio di paradigma: non più il salto dimensionale, ma l’ottimizzazione. Il contesto storico rende la virata ancora più evidente: il Molineux è del 1889 e ha vissuto ristrutturazioni profonde tra 1991 e 1993, oltre al rifacimento dello Stan Cullis Stand nel 2011-12. Oggi la capacità ufficiale oscilla attorno a 31.700-32.050 posti; lo Steve Bull Stand (ex John Ireland, 1979) resta il segmento più datato. La casa dei Wolves, un tempo simbolo di modernità, sconta la concorrenza di impianti più nuovi e polifunzionali; soprattutto, sconta la prudenza finanziaria e strategica di questi anni.
Per tanti tifosi, il Molineux è ancora un luogo identitario. Ma proprio qui è maturata la frattura simbolica con la proprietà: se i grandi piani sono stati archiviati, anche la manutenzione straordinaria è apparsa, agli occhi della curva, de-prioritizzata. Lo ha ammesso implicitamente lo stesso Jeff Shi, parlando di “ritocchi” progressivi e di una priorità data a ospitalità e ricavi non matchday. Non è un peccato capitale – è la linea prudente di molti club medio-piccoli del campionato – ma racconta perché, al Molineux, la pazienza si sia assottigliata. Il dibattito sui prezzi degli abbonamenti nel 2024 ha cristallizzato il malessere: rincari percepiti come eccessivi, contestazioni e richieste di confronto diretto con il club, con il Trust dei tifosi molto attivo. “Stadio stanco, prezzi su, prospettive vaghe”: è la sintesi che rimbalza nelle proteste e nei forum dei supporter.
L’economia della Premier League post-PSR si regge su equilibri sottili. Il Wolverhampton non ha fatto eccezione: il bilancio al 31 maggio 2024 registra una perdita netta di circa £14,3 milioni, molto inferiore ai £67,2 milioni dell’esercizio precedente (2022/23). Come ci si è arrivati? Con una combinazione di ricavi in salita (£177,7 milioni) e soprattutto con profitti da player trading (£64,6 milioni, grazie a cessioni come Rúben Neves, Conor Coady, Nathan Collins, Raúl Jiménez, Matheus Nunes, più componenti variabili su Jota, Gibbs-White, Boly, Cutrone). Dall’altro lato, ammortamenti e impairment su cartellini per £67,2 milioni, e un saldo di trading comunque negativo per £2,6 milioni, ridotto però in modo drastico rispetto ai numeri dell’anno prima. È la fotografia di un club che ha dovuto “rientrare” dentro i binari, anche a costo di sacrifici tecnici nell’immediato.
Il triennio resta rosso – £127,6 milioni di perdita cumulata – ma la normativa consente “add-back” su infrastrutture, academy, calcio femminile e comunità, elementi che hanno permesso ai Wolves di non sforare i paletti. Una scelta di equilibrio, certo, però con effetti sportivi: chi vende tanto per riequilibrarsi ha bisogno di grande efficienza nello scouting e nella costruzione di rosa, altrimenti la competitività si assottiglia.
Il tratto comune delle ultime stagioni è la discontinuità tecnica. Dopo l’addio di Nuno (2021), i Wolves hanno alternato idee e guide differenti, spesso costretti a “cambiare in corsa” per raddrizzare la rotta. Julen Lopetegui ha salvato il club nel 2022-23, poi l’addio ad agosto 2023; Gary O’Neil ha chiuso il 2023-24 a centro classifica ma è finito a sua volta nel tritacarne dei risultati; tra dicembre 2024 e novembre 2025 la parentesi di Vítor Pereira, finita con un esonero dopo un avvio shock. A novembre 2025, la scelta di Rob Edwards – ex difensore dei Wolves, promotore di calcio verticale e intenso nei passaggi a Forest Green e Luton – è un tentativo di ricollegare identità, ambiente e campo. Un “ponte” emotivo prima ancora che tattico, con un compito chiarissimo: rimettere la squadra in corsa salvezza e rinfrescare l’aria intorno al club.
Questa sequenza fotografa la sostanza: i Wolves non sono crollati in un colpo, ma si sono spostati verso il basso del campionato, vivendo di rimonta e “momenti”. Sul lungo periodo, senza investimenti strutturali (rosa e infrastrutture) e senza una linea tecnica coerente, il rischio è quello di rimanere intrappolati in una zona grigia: troppo pericolosa per programmare, troppo faticosa per crescere.
Resta una fotografia molto inglese: un club di provincia glorioso, proprietà internazionale con bussola finanziaria, un impianto storico che merita un racconto migliore, una tifoseria che chiede rispetto, visione e segnali concreti. Resta anche una Premier League che non perdona pause: se il Wolverhampton non cambierà ritmo tra dicembre e gennaio, la salvezza tornerà ad essere una maratona tutta in salita. Ma la soluzione è ancora nelle mani del club: ritrovare un metodo, consolidare la rosa, mettere mano – davvero – al Molineux secondo la linea annunciata. Non serve promettere la luna: basterebbe ricominciare a costruire, un mattone dopo l’altro, dove oggi si è imparato troppo bene a rimandare.